Domenica a Modena

Tra le tante cose belle che questo blog mi ha regalato, una di quelle a cui tengo di più è l’avermi dato la possibilità di conoscere, dal vivo per di più, alcuni altri blogger che come me parlano del loro quotidiano pendolare. Da alcuni anni abbiamo preso l’abitudine di trovarci per un raduno “ufficiale” in una delle nostre città (qui la pagina di Pendolante con tutti i resoconti delle varie edizioni), ma capita talvolta l’occasione per altri ritrovi più estemporanei. Domenica scorsa per esempio, con Ilaria di vitadapendolare.it e con nostri rispettivi consorti, è stata la volta di Modena, patria di Pendolante. Noi fiorentini siamo arrivati con un comodo intercity (peccato ce ne siano sempre meno), che ha percorso la vecchia linea appenninica, più lenta rispetto al tracciato delle Frecce, ma più rilassante. All’arrivo, Pendolante ci ha accolto con i suoi riccioli e il suo sorriso lungo il binario. La cittadina emiliana, che conoscevo pochissimo, ci ha regalato un sacco di piccole grandi sorprese: dalle prove del ballo delle debuttanti alle stradine graziose che si chiamano come i canali di Venezia, agli artisti di strada che dipingevano scorci tridimensionali (li abbiamo soprannominati Madonnari 2.0), al Museo della Figurina Panini. Proprio qui, mentre eravamo in piena crisi di nostalgia degli anni ’80 e ’90 e iniziavamo a canticchiare le sigle dei cartoni animati della nostra infanzia, siamo stati raggiunti da Ilaria. Il giro turistico è continuato per il centro cittadino, un quodlibet di storia, arte, cultura, ma anche aneddoti della nostra vita pendolare e non. Giro che non poteva non finire davanti a un tavolo ricco di squisitezze emiliane che non dimenticheremo sicuramente. L’intercity che ci avrebbe riportato a casa è arrivato fin troppo presto, nel pomeriggio. E mentre riguardo le foto scattate nel display e sfoglio il libro autografato da Pendolante, non posso non pensare già al prossimo raduno. 🙂

 

Dal finestrino della linea 6

Dopo lo scatto rubato alla lettrice della Ferrante sulla metropolitana parigina, rieccomi con alcune altre immagini dalla Ville Lumière, sempre dalla metro. Questa volta siamo sulla linea 6, quella che attraversa la Senna sul Pont de Bir-Hakeim, tra le stazioni di Passy e Bir-Hakeim, da cui si può ammirare la Tour Eiffel. Sarà banale ma è la mia linea preferita,  per il tragitto sopraelevato sui tetti della città, per le carrozze un po’ vintage, per il tipico odore di gomma bruciacchiata degli pneumatici nelle stazioni. In questa occasione mi sono divertita a fare foto volutamente mosse dei passeggeri in attesa sulla banchina, trasformati per qualche istante in evanescenti fantasmini 🙂

©vitadapendolare.wordpress.com, 2017

Auguri!

Cari pendolari e cari lettori, mi dispiace aver abbandonato il blog, ma purtroppo gli impegni si moltiplicano e il tempo per scrivere scarseggia. La mia vita pendolare però continua, tra traversie e traversine, e spero di tornare presto a raccontare qui le mie (dis)avventure.

Vi faccio tanti auguri di Buon Natale con un video che sfrutta un’altra delle mie passioni che dovreste già conoscere 😀

Ringrazio Marco per l’assistenza al montaggio del trenino e del video, per entrambi era il primo esperimento di time lapse!

A presto!

Sogni d’oro

Mi sono un po’ spaventata quando li ho visti salire tutti insieme in treno: un’allegra combriccola composta da una quindicina di studenti americani in gita. Hanno invaso la carrozza solitamente semivuota e silenziosa a quest’ora, con le loro risate sguaiate, i selfie con faccine ridicole, i pantaloni con grandi strappi sulle ginocchia, da brividi con questo freddo. Poi, inaspettatamente, le risate sono diradate, le chiacchiere assopite, le schiene incurvate: uno per volta tutti i giovani si sono appisolati, disattivati. Tutti con le cuffiette nelle orecchie collegate ai rispettivi telefonini. Chissà cosa ascoltano, ho pensato, probabilmente una canzone di quelle che piacciono agli adolescenti di oggi, con un bel sottofondo di “tunz tunz” e un articolato monologo rap, ma forse, visto l’effetto collettivo, potrebbe essere anche la ninna nanna di Brahms…

ninnananna

Quelli nuovi

Quelli nuovi

L’autunno nel mondo pendolare è una stagione di inizio. Ripartono le scuole, i corsi universitari, qualcuno ha trovato lavoro, qualcuno è stato trasferito… Forse questo è il periodo dell’anno in cui ci sono più novità, in fondo.

Quelli nuovi si riconoscono facilmente, non sono ancora abituati alla routine pendolare e la subiscono un po’. La mattina arrivano con molto anticipo, girano incerti su e giù per la banchina, ricontrollano per sicurezza che il numero del binario sia giusto, l’orario corretto. Non di rado si avvicinano e ti chiedono se il loro treno è già passato. Se sono in gruppo, li senti chiacchierare tra loro con entusiasmo e vivacità del nuovo lavoro, dei nuovi corsi, dei nuovi colleghi…

Ricordo la sottile tensione dei primi tempi, quando passavo la maggior parte del viaggio a guardare dal finestrino, cercando di costruirmi dei punti di riferimento. Ricordo con quanto anticipo iniziavo a prepararmi per scendere, adesso spesso e volentieri quando il treno si ferma alla mia stazione ho ancora il libro aperto o il computer acceso. Ricordo come la sera, con il buio, cercavo di riconoscere qualcosa di familiare nel panorama fuori, proteggendomi dalla luce della carrozza con le mani intorno agli occhi, appiccicati al finestrino. Con il tempo ho sviluppato le mie facoltà propriocettive al punto che riconosco la parte del tragitto in cui mi trovo dalle oscillazioni del vagone e dal rumore: le curve, gli scambi, la differenza di vibrazioni nella parte nuova della linea rispetto a quella vecchia. Una specie di simbiosi con il treno, insomma. Ho imparato a svegliarmi cinque minuti prima della sveglia, per evitare che suoni, ad arrivare alla stazione giusto un paio di minuti prima del treno, a scegliere la carrozza al ritorno in modo da fermarmi più vicino possibile al sottopassaggio che mi porta all’uscita. Non so se sia una cosa positiva, ma di fatto questi automatismi mi permettono di estraniarmi dalla realtà pendolare e di concentrarmi su altre attività, recuperando almeno parte del tempo necessario per il viaggio.

Quindi, a tutti i pendolari nuovi, a cui vedo che stanno già spuntando le occhiaie grigiastre della levataccia mattutina, un caloroso benvenuto e un grosso in bocca al lupo!

 

Tracce di umanità

Le condizioni di squallore e degrado in cui versano molte delle nostre stazioni hanno molteplici cause. Una delle principali è la consuetudine, purtroppo abbastanza diffusa, di considerarle un po’ come discariche personali, in cui possiamo liberarci comodamente dei nostri piccoli rifiuti quotidiani, senza perdere troppo tempo a cercare cestini, cassonetti, o comunque luoghi e contenitori più idonei. Cartacce, fazzolettini di carta usati, lattine, giacciono un po’ ovunque, come relitti alla deriva, contribuendo all’atmosfera sciatta e trasandata di questi luoghi.

In questo contesto poco gradevole si inserisce il mio primo incontro pendolare di oggi, a metà della scala che porta dal sottopassaggio al marciapiede lungo il binario da cui parte il mio treno. Abbandonata, su un gradino, in posizione ortogonale rispetto alla direzione di percorrenza, mi accoglie un’inusuale suola di scarpa. Usata, e anche parecchio, a giudicare dall’ombra scura che riproduce in modo inequivocabile l’impronta di colui o colei che l’ha indossata. Un’altra immagine di sciatto degrado che denuncia maleducazione e disinteresse. Eppure, inaspettatamente, non posso fare a meno di trovare, in questa scena, un qualcosa di estetico, di aggraziato, in qualche modo. Sarà la posizione, sarà il contrasto tra la forma approssimativa ma armoniosa dell’impronta e le linee nette e squadrate dei gradini e delle piastrelle, sarà il chiaroscuro, sarà che sono sveglia da poco e i miei canali percettivi sono ancora assopiti. Scatto velocemente una foto con il cellulare (lo so, non è tanto normale mettersi a fotografare suole di scarpe lungo le scale dei sottopassaggi).

Chissà di chi era? Dove stava andando? Perché? Perché proprio sui gradini, visto che a pochi metri, sul marciapiede, ci sono delle panchine (e dei cestini, anche), dove tutta l’operazione si sarebbe potuta svolgere in modo più comodo e discreto? Accompagnata da tutte queste domande filosofiche, più o meno, mi avvio a prendere il treno.

piede

Pendolare onirico

Viaggio in compagnia di una famigliola chiassosa: marito, moglie, bimbo 1 e bimbo 2, di circa due e quattro anni, stimo. Marito e moglie discutono su dove sia meglio mettere il passeggino. I bambini litigano e si becchettano, mettendosi a piangere alternativamente. Mi metto a leggere, per distrarmi.

La tua intelligenza non ha ali. Vai dietro a Comte e a tutta la sua viscida prole di ruffiani e leccapiedi. Parli della tua posizione nell’universo con una sicumera strabiliante. Dai l’impressione di pensare che un misero individuo come te possa avere una presa salda sull’Assoluto. Eppure stanotte andrai a letto e sognando darai vita a uomini, donne, bambini del passato e del futuro. Come fai a sapere che in questo istante, con tutta la boria che ti viene dal pensiero contemporaneo, non sei solo una creatura di un sogno sul futuro nella mente, poniamo, di un filosofo del Cinquecento? Come fai a sapere che non sei solo una creatura di un sogno sul passato di un hegeliano del 2500? Come fai a sapere, ragazzo, che non svanirai nel XVI o nel XXVI secolo nel momento in cui chi ti sta sognando si sveglierà?*

Il bimbo 1, non so come, si è arrampicato sullo schienale del sedile e ora incombe pericolosamente sulla mia testa. Il bimbo 2 sta gridando, cercando di imitare non so quale animale. Marito e moglie baloccano distrattamente con i rispettivi smartphone.

Mi viene da ripensare al brano appena letto. Se è vero che tutto questo è un’illusione, se è solo la proiezione di un sogno di qualcuno, nel passato o nel futuro, o in un mondo parallelo, questo “qualcuno” deve aver mangiato molto pesante, stasera a cena…

* Edward Page Mitchell, “L’orologio che andava all’indietro”, nella raccolta “Viaggi nel tempo”,  pag. 119-120, edita da Einaudi.

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