di pirati, corsari, bucanieri e guasti temporanei all’infrastruttura

Sono già alcuni minuti che cammino, su e giù, lungo la banchina in attesa del treno, quando la voce meccanica dall’altoparlante annuncia che il treno che sto aspettando “arriverà con un ritardo previsto di dieci minuti a causa di un guasto temporaneo agli impianti di circolazione”. Mmmh… la cosa non mi convince molto, di solito quando ci sono guasti di questo tipo i minuti di ritardo sono ben più di dieci, ma cosa posso farci? Mi rassegno a prolungare l’attesa. Dieci minuti sono troppo pochi per andare al bar fuori dalla stazione a prendere qualcosa di caldo, ma sono troppi per starsene lì in piedi ad aspettare. Nell’ultima panchina c’è un posto libero, accanto a una ragazza alle prese con il suo smartphone. Mi siedo, prendo il libro dallo zaino e riprendo la lettura dal punto in cui l’avevo lasciata, ieri sera.

Il libro è “I segreti di Londra” di Corrado Augias. Ho scelto questo saggio come lettura di oggi, perché ho recentemente soggiornato per alcuni giorni nella capitale britannica, che non avevo mai avuto occasione di conoscere “per bene”, e ne sono rimasta davvero affascinata. Dello stesso autore avevo già letto “I segreti di Parigi”, e proprio grazie a quel libro avevo avuto occasione di scoprire e visitare luoghi veramente interessanti, al di fuori delle solite mete turistiche.

Stamani parto da pagina 164, dal capitolo intitolato “Corsari, pirati e bucanieri”. Fin dall’inizio la narrazione è interessante. Chi mai si ricordava le definizioni e le differenze tra corsari, bucanieri, filibustieri, farabutti?

Stanno ormai passando i dieci minuti di ritardo previsti, quando la voce meccanica dell’altoparlante aggiorna la previsione a venti. I miei compagni di viaggio iniziano a spazientirsi: c’è chi cammina nervosamente avanti e indietro, chi inizia a brontolare, chi scende nel sottopassaggio per controllare il monitor, chi telefona per avvisare del ritardo, ecc.. Anche a me quest’annuncio provoca un certo disappunto: se lo avessi saputo subito che il ritardo era così consistente sarei potuta andare al bar ad aspettare, almeno lì l’attesa sarebbe stata un po’ più confortevole. Che faccio, ci vado ora? Ma no, per dieci minuti non ne vale la pena. Riprendo la lettura.

Inizio a figurarmi in un’isoletta dei Caraibi: spiagge bianchissime, vegetazione lussureggiante, acque cristalline su cui galleggia una grossa nave dall’aspetto sinistro, dal cui albero maestro sventola l’inconfondibile Jolly Roger.

Sulla nave, poco a poco si materializzano figure dall’aspetto affascinante e al tempo stesso grottesco, oscuro e minaccioso, ma variopinto, uomini capaci di grandi avventure e gesti ignobili e crudeli. Sono catturata dalle loro imprese, le avventure, i viaggi intorno a un mondo nuovo, enorme rispetto a quello in cui viviamo noi, in buona parte ancora sconosciuto e inaccessibile. E, ancora, gli attacchi per depredare navi cariche di tesori a loro volta sottratti dalle terre appena scoperte nel continente americano, le liti, le risse, le tempeste in mare, i naufragi, le condizioni di vita precarie.

E intanto i minuti di ritardo diventano trenta.

Conosco e ritrovo personaggi immaginari e realmente esistiti: Barbanera, Francis Drake, il Corsaro Nero, Edward Low, capitan Kidd… Leggo con interesse i riassunti delle loro vite e delle rocambolesche imprese.

Quaranta minuti… Ma dai, così non si fa, però, non possono centellinare così le informazioni! Ma come si fa? Le telefonate di aggiornamento a colleghi, compagni di scuola e familiari si infittiscono e si arricchiscono di epiteti coloriti, un gergo quasi marinaresco, quasi come quello dei protagonisti delle storie che sto leggendo. Il volume delle lamentele nelle conversazioni lungo la banchina aumenta, non è semplice rimanere concentrati nella lettura.

Leggo delle tecniche di attacco, delle armi utilizzate, delle regole di comportamento. Una vita non semplice, la loro. Se un pirata veniva giudicato colpevole di un furto, ad esempio, veniva “sbarcato su un’isola deserta con una bottiglia d’acqua, un fucile e qualche pallottola”. In caso di disobbedienza o ammutinamento erano previsti vari tipi di punizioni, fustigazioni, torture, tra cui il temutissimo “giro di chiglia”.

Cinquanta minuti, sessanta…

E alla fine sono poco meno di settanta i minuti passati su quella panchina a leggere e ormai mi manca solo mezza pagina per finire il capitolo del libro, quando finalmente appare all’orizzonte il tanto atteso vascello… ehm… treno, tra i brontolii e gli improperi degli ormai esasperati pendolari superstiti.

20150316_213006_Lucas_Burn_Cornered

il grande e potente… Azz

In questo periodo dell’anno, in cui il mio orario di partenza la mattina coincide più o meno con l’alba, il cielo a volte regala degli spettacoli che compensano, almeno parzialmente, il disagio della levataccia. Stamani, per esempio, uno spesso strato di nuvole scure spadroneggiava a est, diventando via via più sottile e rarefatto nella parte alta del cielo, per poi svanire verso ovest. Il sole tentava con fatica di aprirsi uno spiraglio, come se dovesse sollevare una pesante serranda arrugginita e, mi piace immaginare, per lo sforzo era diventato tutto rosso. L’atmosfera era avvolta da questa luce morbida, nei toni dell’arancio, del rosa, del giallo. Tutto sembrava più bello: i visi ancora assonnati dei pendolari, il vetro sudicio dell’ascensore, le baracche abbandonate, persino le macchinette distributrici di cibarie e bevande, sul cui vetro si specchiavano i riflessi rossastri, avevano un inaspettato fascino. Mi sono spostata lungo il binario, verso la fine del marciapiede, per ammirare lo spettacolo e fare qualche foto. A un certo punto una lama di luce ha colpito i binari in un tratto che iniziava pochi metri davanti a me e proseguiva fino al punto ideale in cui, dopo una leggera curva verso sinistra, convergevano, all’orizzonte, rendendoli luccicanti come se fossero fatti d’oro. Una via dorata, quindi, anche se, invece che di mattoni, era fatta di ferro.
IMG_20140916_072021
Ho lasciato liberi di correre lungo quei binari luminosi la fantasia e i ricordi delle letture di quando ero piccola, e allora, ecco che la ragazzina “emo” con i capelli per metà neri e per metà blu e gli stivaletti pieni di borchie metalliche che brillavano, come d’argento,  è diventata Dorothy, il signore elegante con il completo grigio e la borsa per il portatile si è trasformato nell’Uomo di Latta, quel ragazzo con i vestiti trasandati, i capelli e la barba incolti non poteva che essere lo Spaventapasseri e la signora seduta sulla panchina, con quella cascata di riccioli biondi, il Leone pauroso. Tutti in attesa del treno per la Città di Smeraldo (previsto in arrivo con dieci minuti di ritardo). La magia è durata solo pochi secondi, poi le nuvole hanno avuto la meglio e tutto è tornato grigio come sempre. Sono rimasta sospesa, ancora per qualche istante, in questa specie di sogno ad occhi aperti, ma ci ha pensato la gracchiante voce dell’altoparlante, l’uccellaccio del malaugurio di noi poveri pendolari, a riportarmi alla realtà quotidiana: “Si avverte la gentile clientela che il treno 12345 proveniente dalla Città di Smeraldo e diretto alla Strega del Sud –quello che sto aspettando io, per intenderci- oggi non sarà effettuato per un guasto al treno, Trenitalia si scusa per il disagio”. Ed è da questo triste e così poco poetico epilogo della vicenda che trae origine il titolo del post 🙂

Messaggi misteriosi…

A volte noi pendolari ci lamentiamo che siamo poco informati sul treno e nelle stazioni, ma anche quando ci informano ce ne vuole un po’ per capire cosa intendono. Ad esempio, qualche minuto fa, dopo essere partiti regolarmente, ci siamo fermati nel mezzo del nulla, è buio pesto e la voce dall’altoparlante annuncia:

“Ricordiamo ai signori viaggiatori che questo treno non effettua servizio viaggiatori”

E ora? Che si fa? Aiuto!!! :-S

Pubblicità regresso

Alzarsi la mattina quaranta minuti in anticipo rispetto solito, per prendere il treno che precede quello consueto e arrivare in tempo e possibilmente non troppo trafelata a un importante appuntamento di lavoro, salvo poi vedere vanificare il tutto a causa dei quaranta minuti di ritardo accumulati per “inconvenienti al materiale rotabile” e arrivare al suddetto appuntamento appena in tempo, scapigliata e con il fiatone, non ha prezzo…. Anzi, ce l’ha: centotredici euro e cinquanta centesimi al mese per l’esattezza.

Per tutto il resto, c’è Trenitalia….

2012-08-29 17.41

Quotidiana odissea ferroviaria – reloaded

 

Sottotitolo: meglio un intercity oggi che un regionale veloce mai

 

Premetto che il racconto che segue non è frutto della mia fantasia, ma è realmente accaduto, proprio a me, oggi pomeriggio.

 

Oggi devo rientrare dal lavoro con un po’ di anticipo, mi aspetta l’annuale visita della caldaia a casa. Nel primo pomeriggio mi avvio verso la stazione, entro nella sala di aspetto, guardo il tabellone. Il regionale veloce delle quattordici e quarantatre è previsto al binario quattro, come sempre. Mi incammino verso il sottopassaggio, salgo le scale e percorro la banchina fino in fondo. Questo mi permette di salire sui vagoni di testa che solitamente sono più vuoti e all’arrivo sono più vicini all’uscita. Aspetto leggendo qualche pagina del mio libro. La vocina dall’altoparlante, annuncia che il treno viaggia con un ritardo di cinque minuti. Niente di grave, penso, cinque minuti sono fisiologici, mi preoccuperei se arrivasse in orario. Continuo a leggere. Mi interrompe di nuovo il “dlin dlon” dell’altoparlante che rettifica: il treno è in arrivo con dieci minuti di ritardo. E subito dopo annuncia, al binario tre, l’arrivo dell’intercity previsto alle quattordici e cinquantadue. A me andrebbe bene anche l’intercity, però per fare le cose per bene dovrei correre alla biglietteria e fare l’integrazione all’abbonamento. Inizio a fare i calcoli su chi arriverà prima, sapendo che ogni mia valutazione verrà inesorabilmente confutata dalla legge di Murphy.

Mentre penso e ripenso sul daffarsi parte il valzer dei ritardi: “il regionale veloce viaggia con un ritardo di quindici minuti contrariamente a quanto annunciato in precedenza”, “l’intercity viaggia con un ritardo di dieci minuti”. E ancora, regionale veloce, venti minuti. Intercity, quindici. Venticinque. Venti. Ad un tratto, la sorpresa: il regionale veloce è in arrivo al binario sei. Come un branco di bufali, tipo quelli del parco del Serengeti quando devono attraversare il fiume Mara (ho già usato in un altro post questa metafora, lo so, ma mi piace troppo, è tutta colpa di superquark!), gli aspiranti viaggiatori si buttano nel sottopassaggio per raggiungere il binario sei.

Siamo tutti in fila che ci sporgiamo sul binario per vedere se all’orizzonte appare questo treno fantasma, senza oltrepassare la linea gialla ovviamente, quando giunge un altro messaggio inquietante, l’intercity è in arrivo al binario tre. La tentazione di fare un altro scatto e di salirci abusivamente senza l’integrazione è forte. Però un mix di pigrizia, paura di dover fare una sceneggiata al controllore e fatica di cambiare nuovamente il binario mi fa desistere.

Aspetto con pazienza al binario sei. L’intercity arriva e riparte, quando lo vedo sparire nel punto di fuga della prospettiva dei binari, mi assale una certa inquietudine. E infatti, nonostante la lucina sul tabellone si ostini a lampeggiare per l’arrivo imminente, i minuti di ritardo diventano trenta, trentacinque.

Alla fine ecco il regionale veloce che si avvicina lentamente. Si ferma, vado alla porta della carrozza a me più prossima e, visto che sono la prima ad arrivarci, tento di aprirla. Ma non ci riesco. Ad un tratto, il treno riparte. Che sta succedendo? Riparte senza nemmeno aprire le porte? Le lamentele aumentano di volume. Ma per fortuna il treno percorre soltanto qualche metro e si riferma. Adesso il più vicino alla porta è un signore con una valigia, che riesce dove io avevo fallito.

Saliamo sul treno e ci sistemiamo.  Aspettiamo che riparta. Aspettiamo. Aspettiamo ancora. Si sente gracchiare l’altoparlante, “il treno ha un guasto al locomotore ed è costretto a una sosta della durata al momento non quantificabile, il prossimo treno è in arrivo al binario quattro alle quindici e quarantatre”. Già, perché nel frattempo è passata un’ora dall’inizio di questa avventura. Quindi, di nuovo, la transumanza dei viaggiatori verso il binario quattro. Non mi sembra il caso di riportare qui i loro commenti, potrei urtare la sensibilità dei miei pochi lettori.

Rieccoci, ancora una volta, tutti in fila sul binario quattro. E rieccola, l’odiosa vocina dall’altoparlante: “il treno bla bla bla in arrivo al binario quattro viaggia con dieci minuti di ritardo”. Basta! Vi prego, ditemi che è un incubo, ditemi che siamo tutti su “Scherzi a parte” e facciamoci una risata sopra! Non ce la faccio più!

Ma non è ancora finita. Riecco la vocina stridula e beffarda “Il regionale veloce delle quattordici e quarantatre (quello con il locomotore guasto, per intenderci) è in partenza in ritardo al binario sei”.

E, ancora una volta, la massa informe dei viaggiatori si sposta al binario sei. Solita carrozza, solito posticino, aspettiamo la partenza. Aspettiamo… Aspettiamo ancora… E riecco la vocina: “Si avvisano i signori viaggiatori che questo treno è soppresso”. Ad alcuni viene la bava alla bocca. Ancora, ancora una volta, tutti al binario quattro.

Alla fine, con quindici minuti di ritardo, ecco che arriva piano piano il regionale delle quindici e quarantatre.

Arrivo a casa un’ora e mezzo dopo il previsto. L’appuntamento con il tecnico è saltato, ho perso un pomeriggio di lavoro e ne dovrò perdere un altro la prossima settimana. Che bella giornata!

Non sopporto

Ispirata dalle prime pagine del libro di Paolo Sorrentino che sto leggendo (Hanno tutti ragione, Universale Economica Feltrinelli), stanca, stressata e desiderosa di ferie, voglio fare un elenco delle cose che non sopporto della mia vita da pendolare.

Quindi, oggi eccomi in versione Puffo Brontolone.

Non sopporto i treni affollati, dover smettere di leggere per estrarre dalla borsa l’abbonamento richiesto dal controllore, quelli che mettono i piedi sul seggiolino, quelli che gettano la plastica nel contenitore della carta e viceversa, dover cambiare treno perché quello su cui sono salita è rotto, l’aria condizionata che non funziona, l’aria condizionata che funziona troppo, arrivare alla stazione e dover scendere quando mi manca mezza pagina per finire il capitolo del libro che sto leggendo, i libri con i capitoli troppo lunghi, arrivare in ritardo e non avere il tempo di prendere il caffè al bar della stazione, la gente che urla quando parla al cellulare, le suonerie dei cellulari sparate a tutto volume, assistere alla scenetta tra controllore e passeggero senza biglietto e senza documenti, i bambini che piangono, le panchine tutte occupate quando vorrei sedermi, gli scioperi il venerdì, quelli che rubano il rame, i turisti che invadono con le valigie il corridoio, scendere e risalire le scale del sottopassaggio per cambiare binario, incontrare una vecchia conoscenza (di cui non sentivo proprio la mancanza) e rischiare di perdere il treno perché questa ha da raccontarti tutto-vita-morte-miracoli degli ultimi dieci anni in cui non ci siamo visti.

Non sopporto non avere nessuno che mi aspetta alla stazione, aver voglia di scrivere ma non sapere cosa, avere qualcosa da scrivere ma non avere tempo perché bisogna scendere, ascoltare i resoconti del weekend il lunedì mattina, che pare che tutti siano stati in località meravigliose e abbiano avuto esperienze fantastiche mentre io sono dovuta rimanere a casa per rimettermi in pari con i panni da stirare, arrivare trafelata di corsa sul binario proprio quando il treno sta iniziando a muoversi e le porte sono ormai tutte chiuse, il cambio del binario all’ultimo minuto, avere pochi minuti, a volte secondi, per cambiare da un treno in arrivo al binario 1A ad uno in partenza al binario 17, quelli che prendono il Frecciarossa in orario mentre io sto aspettando la mia caffettiera con le ruote in ritardo, prendere finalmente il Frecciarossa e scoprire che il posto indicato sul biglietto acquistato ieri sera on line coincide con quello di altre due persone, di cui un turista tedesco che non capisce e che pensa che io sia la solita italiana-pizza-mandolino che vuole fregarlo, comprare un ombrello a cinque euro dai venditori ambulanti perché improvvisamente è iniziato a piovere, che si romperà sicuramente appena uscita dalla stazione.

Non sopporto l’odore di umanità che si spande nella carrozza nel tardo pomeriggio quando l’aria condizionata è rotta, i cartelli gialli alle porte rotte, lo spread e il bund, le notizie catastrofiche riportate sui giornali gratuiti distribuiti alla stazione, le mamme che brontolano i bambini che piangono, il telefono che squilla mentre mi sto preparando per scendere, i finestrini bloccati, le porte aperte delle toilette, svegliarsi di soprassalto al suono della sveglia, addormentarsi alle nove di sera davanti alla televisione per la stanchezza accumulata durante il giorno, le pareti del sottopassaggio imbrattate dalle scritte, quelli che ogni  giorno mi si avvicinano per chiedermi qualche spicciolo benedicendo la mia famiglia e raccontandomi per l’ennesima volta tutte le loro sventure, non trovare l’abbonamento nella borsa perché l’ultima volta  il controllore me l’ha chiesto appena prima di scendere e per la fretta non l’ho rimesso nel solito posto.

Non sopporto il salasso al conto corrente che devo fare ogni inizio del mese per rinnovare l’abbonamento, il caldo torrido dell’estate se non sono in ferie, bruciarsi il palato con il caffè bollente, perché sono arrivata tardi stamani, ma non troppo tardi da doverci rinunciare, la nebbia che fa svolazzare i capelli stirati ieri dal parrucchiere, l’affollamento sull’autobus, il treno in ritardo quando ho un appuntamento importante al lavoro, il treno in ritardo la sera quando devo tornare a casa, il treno in ritardo, sempre.

Non sopporto i bivacchi nella stazione, quelli che chiedono di firmare per una petizione e poi chiedono un contributo per sostenere le loro iniziative, gli adolescenti che dicono le parolacce e bestemmiano in modo raccapricciante, la gita della scuola, l’uscita degli scout con i loro zaini megalitici, la gita dei pensionati, che attaccano discorso a chiunque gli capiti a tiro, quelli che dicono “si stava meglio quando si stava peggio”, quelli che dicono che i giovani di oggi non sono buoni a niente, le coppiette di adolescenti che stanno tutto il tempo del viaggio a baciarsi, le ragazzine che passano tutto il viaggio a discutere di smalti, i professori delle scuole superiori che si lamentano dell’inadeguatezza e della maleducazione dei loro studenti.

Non sopporto gli uomini d’affari impinguinati che passano il tempo del viaggio al telefono, discutendo le loro strategie vincenti, le signore che, andando a una visita medica, ritengono opportuno informare chiunque sul loro stato di salute e sull’originalità e gravità dei loro sintomi, gli aumenti del prezzo dell’abbonamento, dimenticarsi di convalidare il biglietto, i surgelati, quelli che salgono sul treno prima di far scendere le persone che sono arrivate, quelli che si piazzano proprio davanti alla porta ostacolando chi vuole scendere, la voce della macchinetta dei biglietti che esclama a tutto volume: “inserire la carta!!!”, non avere lo spazio libero accanto per posare la borsa, l’inizio della scuola, le toilette delle stazioni, la voce dell’altoparlante che mi informa che il treno che sto aspettando “oggi non sarà effettuato, ci scusiamo per il disagio”.

Poggio e buca fan pari

Chi l’ha detto che la vita del pendolare è monotona? Ogni viaggio è una sorpresa, bella o (spesso ahimè) brutta. Quello di stamani ad esempio come posso definirlo? Non saprei, diciamo insolito. Ad attendermi alle 7.20 sul binario c’è una serie di carrozze nuove di zecca, come ieri, wow! Allora non è una coincidenza! Devono essere quelle di cui parlavano i quotidiani locali qualche giorno fa, acquistate dalla Regione per i treni pendolari. A dire il vero non speravo che toccassero proprio a me.  Ne scelgo una, salgo i gradini, entro, mi accoglie un’atmosfera insolita. Sento una musica nell’aria, a volume piuttosto alto, cerco la sorgente e mi accorgo con sorpresa che proviene dagli altoparlanti all’interno del vagone. Si tratta della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, o, meglio, ascoltando con attenzione, di un pezzetto di quel brano di circa trenta secondi, riproposto ciclicamente. L’aria condizionata piuttosto gelida e il ritmo serrato del pezzo mi svegliano bruscamente dal torpore mattutino, come uno schiaffo. Mi siedo, per fortuna il treno è poco affollato, accendo il computer e inizio a lavorare. Alle note Wagner intanto si sostituisce la voce del capotreno, che con tono chiaro e gentile ci informa sulle fermate intermedie e sull’orario di arrivo.  Sono proprio contenta, non sono abituata a viaggiare in condizioni così confortevoli (l’aria condizionata è un po’ freddina, è vero, ma è sempre meglio di quando è rotta e il treno si trasforma in una fonderia). Lo so, non mi devo illudere, domattina probabilmente ci sarà il treno scassato degli altri giorni, ma per ora godiamoci il presente. Mentre mi abbandono a queste riflessioni ricche di soddisfazione, immagino un mondo di treni perfetti con temperatura perfetta e orari perfetti, una goccia di acqua dal soffitto cade proprio nel mezzo della tastiera del mio MacBook. Alzo lo sguardo e mi accorgo che, proprio sopra di me, lungo la canalina che percorre tutto il vagone, c’è una grossa fessura, da cui gocciola la condensa dell’aria condizionata. Ecco, appunto, mi sembrava che funzionasse tutto troppo bene! A parte questo piccolo neo, al quale ovvio semplicemente cambiando posto a sedere, il viaggio procede regolarmente: partenza e arrivo in orario, tutto calmo, a parte la consueta scenetta tra controllore e passeggero senza biglietto. Arrivo in ufficio più contenta del solito e la giornata lavorativa si rivela rilassata e proficua. Insomma, inizio a illudermi che forse il sistema funzioni. E rifletto anche su come sarebbe bello, quanto migliore sarebbe la nostra vita, se il sistema funzionasse!

Ma… che post sarebbe se non ci fosse un ma? E, infatti, come dice mia nonna, “poggio e buca fan pari”, per ristabilire il consueto tasso di disagio e malumore quotidiani, durante il viaggio di ritorno succede di tutto. Arrivo alla stazione e il binario del mio treno non è segnato sul tabellone. Il treno precedente, il locale che si ferma in tutte le stazioni, è previsto con trentacinque minuti di ritardo. I treni provenienti dalla direzione opposta viaggiano con ritardi di quindici e trentacinque minuti. Completano il quadro trentasette gradi di temperatura esterna e un’umidità assurda. Ho un brutto presentimento che presto si materializza: il locale viene soppresso e il mio cosiddetto regionale veloce oggi deve fare tutte le fermate… Tranne la mia ovviamente! Quindi, dovrò comunque cambiare treno a metà strada, ma con queste perturbazioni mi salteranno tutte le coincidenze.

Mentre scrivo, sono appena partita, il treno è pieno zeppo a causa della cancellazione di quello precedente, in un gruppetto più avanti, altri pendolari, si stanno raccontando a vicenda storie di ordinaria follia ferroviaria, storie di treni soppressi, spostati, compressi… Chissà a che ora arriverò?

Un tranquillo venerdì on the rail

Stamani, andando verso il  binario, mi accorgo che sotto i monitor con gli orari si è formato un capannello di gente che discute animatamente. Brutto segno, penso tra me. Mi avvicino al monitor per vedere di che cosa si tratta e vedo che il mio treno è segnalato con dieci minuti di ritardo. Un’inezia, sono abituata a ben di peggio. Abbandono il capannello, ignorando il perché della sua esistenza, e salgo le scale del sottopassaggio per raggiungere il binario. Sono ormai arrivata quando sento la metallica voce dall’altoparlante annunciare che “Causa guasto sulla linea, i treni potranno subire ritardi fino a trenta minuti”.

A questo punto è doveroso aprire una parentesi. Applicando alla frase precedente le regole dell’analisi logica che si apprendono durante i primi anni di scuola, quello che se ne deduce è che il ritardo in questione, se presente, potrà avere entità minore o uguale a trenta minuti. Ma qui non funzionano le regole della logica. Basta frequentare per pochi giorni le nostre linee ferroviarie regionali per capire che, quando sono previsti ritardi <fino a> x minuti, in realtà significa che, se sei veramente fortunato, il tuo treno arriverà`, e se arriverà (…e sottolineo se… cantato con la voce di Mina) lo farà con <almeno> x minuti di ritardo.

Tornando a stamani, sono sul binario che aspetto, continuando con i miei astratti ragionamenti di logica, per ingannare il tempo, mentre la voce robotizzata, che ha preso il posto del capostazione in molte stazioni secondarie, si ostina imperterrita a sostenere, contro ogni evidenza, che il mio treno arriverà con dieci minuti di ritardo (doveva essere già partito da tredici minuti ormai). Forse sta arrivando, penso, forse è là, dietro la curva, adesso apparirà. Invece, niente.

Passano ancora un paio di minuti, a un certo punto la voce dall’altoparlante si arrende e ammette la cocente sconfitta: “Il treno regionale xyz è stato soppresso”. Sul binario il brusio aumenta di volume, alcuni pendolari scuotono la testa, increduli, altri iniziano ad agitarsi, partono imprecazioni di vario tipo, dai grandi classici “Mavaff…”, a espressioni più fantasiose e colorite, indici di spiccata creatività verbale.

Io intanto mi interrogo su dove sia finito quel treno, che è stato così brutalmente soppresso. Se fino a poco fa viaggiava con dieci minuti di ritardo vuol dire che esisteva, era da qualche parte. E allora, cosa gli è successo? E` stato risucchiato in un imbuto spazio-temporale e adesso viaggia sui binari di un universo parallelo? Oppure, come in “Ritorno al Futuro”, uno scienziato pazzo ci ha installato un dispositivo in grado di generare un “flusso canalizzatore” che, non appena la velocità ha raggiunto le ottantotto miglia orarie, lo ha spedito negli anni Cinquanta? Oppure, ancora, a causa del guasto sulla linea, uno scambio difettoso lo ha fatto finire diritto nel tunnel dei neutrini e, più veloce della luce, è arrivato fino a Ginevra?

Dalla logica, alla matematica, alla fantascienza, i miei pensieri vagano sempre più lontano, cercando di astrarsi dalla grigia realtà.

Giunge così l’orario di arrivo del treno successivo, anche questo viaggia con quindici minuti di ritardo dichiarato. Dopo diciotto minuti abbondanti di ritardo effettivo lo vedo spuntare all’orizzonte. Ovviamente, a causa della cancellazione del treno precedente, è pieno zeppo di gente, a malapena riesco a salire. Per fortuna oggi è vacanza per le scuole e non ci sono gli studenti, altrimenti non  ce l’avrei di sicuro fatta. Molti sono arrabbiati, si lamentano rumorosamente, altri stanno cercando di rimandare appuntamenti e impegni. Altri fremono per la paura di perdere la coincidenza. Io oggi non ho impegni con orari vincolati, per cui non sono particolarmente arrabbiata, diciamo che sono solo rassegnata.  Certo, ho perso un’ora di tempo che dovrò recuperare stasera, ma comunque stanno arrivando alcuni giorni di vacanza per riprendermi…

Buona Pasqua a tutti i pendolari!