Solitudine pendolare

L’estate appena iniziata sta cominciando a farsi vedere anche lungo i binari: le scuole sono finite, alcuni pendolari iniziano a manifestare qualche segno di abbronzatura, altri sono momentaneamente scomparsi, lasciando il posto a turisti variopinti, l’atmosfera è più sonnolenta e rilassata. Almeno così la vedo io, specialmente stamani che posso prendere il treno un’ora dopo il mio consueto orario pendolare. Salita sulla carrozza, mi sorprendo a trovare lo scompartimento completamente vuoto. Guardo per bene, forse c’è qualcuno, magari piccolo di statura, forse accucciato in un angolino, addormentato. No, non c’è proprio nessuno. Questo scompartimento è tutto per me. Il sogno di molte mattinate passate in piedi compressa nel vestibolo, o imprigionata nel seggiolino tra corpulenti viaggiatori pieni di valigie, si è avverato. Che bellezza, nessun grido, nessuna conversazione chiassosa, nessuna gita delle scuole elementari, nessun brontolio. Posso aprire il finestrino e godermi il vento, anche se mi scompiglia i capelli, la danza rilassata della tenda blu, che ondeggia leggera, ogni tanto si affaccia fuori, poi rientra, sbattendo mollemente sul vetro. E ancora, l’odore dei tigli in fiore, il rumore ritmico delle ruote sulle rotaie, che oggi mi sembra meno frenetico. Tutto perfetto, pare.

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Eppure… Eppure non mi sento proprio a mio agio. Provo una sensazione di fastidio, una sottile inquietudine, che non mi fa stare totalmente in pace. Non sarà mica nostalgia dei ciarlieri compagni di viaggio? Delle risate sgangherate dei giovani studenti? Dei trolley che ribaltano? Cerco di leggere un po’. Un rumore improvviso mi fa trasalire. È solo la porta scorrevole dello scompartimento che, mentre il treno passava su uno scambio, si è aperta e richiusa, sbattendo. Ma questo evento fortuito, mette miei sensi in allerta, quasi inconsciamente. Stiamo arrivando a destinazione e come sempre, prima dell’ultima fermata dobbiamo attraversare una galleria abbastanza lunga. Che mi pare ancora più lunga, oggi. Le luci che illuminano il vagone mi sembrano più fioche, il buio della galleria, più buio. Sento aprire e chiudere una porta nel vagone adiacente. L’inquietudine aumenta. Passano alcuni istanti e di nuovo quel rumore, questa volta più vicino. Non è uno scambio, qualcuno si sta avvicinando. Chi vuoi che sia, cerco di tranquillizzarmi, sarà uno dei passeggeri del vagone accanto che si sta spostando, dato che là l’aria condizionata è veramente molto forte. Ma che senso ha, ora, che siamo quasi arrivati? Sarà qualcuno che sta cercando una toilette? Ma non potrebbe aspettare un paio di minuti e andare alla stazione? E se fosse un malintenzionato che vuole derubarmi e farmi del male? A chi posso chiedere aiuto, qui? E se non ci fosse più nessuno sul treno, per qualche strano motivo? Se, uno per uno, si fosse sbarazzato di tutti i miei compagni di viaggio? Si apre uno spiraglio nella porta del mio scompartimento, istintivamente prendo la borsa e l’abbraccio, come faccio a casa con il cuscino del divano quando guardo in tv i film horror. Dallo spiraglio spunta una mano, che inizia a spingere la porta. Sembra si sia incastrata nella guida. Spero quasi che sia così. Piano piano spunta un avambraccio, con un tatuaggio minaccioso e un grosso braccialetto metallico, poi una spalla. “Accidenti a queste porte!”, sento borbottare, dall’altra parte. La voce è grave, graffiata, sento odore di tabacco. La figura piano piano inizia a completarsi. Stringo ancora di più la mia borsa. Maledico il momento in cui ho scelto questo scompartimento deserto. Mai più, mi dico, piuttosto vado accanto ad Amanda Ciarlieri e alla sua amica Gianna e mi sorbisco le loro disquisizioni culinarie per tutto il viaggio. L’oscuro personaggio è davanti a me, adesso, con lo sguardo severo e le braccia incrociate. “Biglietto, prego!”… E’ solo il capotreno, per la verifica dell’abbonamento.

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Un buon libro in borsa

Un buon libro in borsa

Purtroppo in questo periodo non ho molto tempo per scrivere e ho abbandonato un po’ il blog, scusatemi! Ho avuto pero` l’onore di essere intervistata nel nuovo blog pendolaresimo.wordpress.org che vi consiglio di seguire. Ecco la mia intervista!

pendolaresimo

Nome e cognome
Monica M. (Pendolo0)

Come ti possiamo raggiungere?
Il mio blog:
https://vitadapendolare.wordpress.com/
Su Instagram sono: monik1810

Il tuo lavoro
Sono ricercatrice universitaria.

Pendolare da
Sono pendolare dal 2009, nella tratta Firenze-Siena, ogni giorno passo circa 3 ore in viaggio per andare/tornare al lavoro. Ho fatto un conto approssimativo della distanza percorsa finora: equivale praticamente a ventitré Transiberiane e otto giri del mondo!

Pendolare è bello o brutto? Perché?
Brutto e bello.
Brutto perché toglie un sacco di tempo alla famiglia, al lavoro, al tempo libero, perché si diventa un po’ nomadi e non ci si sente a casa da nessuna parte, perché richiede una rigida organizzazione e pianificazione.
Bello perché il tempo “perso” nel viaggio lo si può “ritrovare”; guardandolo da un’altra prospettiva può essere tempo “guadagnato”, ad esempio per leggere, scrivere, ascoltare musica, seguire corsi on line, ecc.

Viaggi solo o in compagnia? Perché?
Di solito sono…

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Il viaggiatore inquieto

Sale sul treno quando mancano ancora cinque minuti alla partenza. È affannato, deve aver fatto una bella corsa per arrivare in tempo. E inquieto, un viaggiatore inquieto. Porta con sé solo una borsa di pelle da ufficio. Cerca tra i viaggiatori già seduti uno dall’aspetto esperto e lo interroga sulla destinazione del treno, per avere conferma di quanto scritto sul tabellone lungo il binario, che si trova proprio davanti a questa carrozza e che ha controllato almeno due volte prima di salire. Si sposta verso il centro dello scompartimento, poi ci ripensa e torna indietro, verso l’entrata. Sceglie un posto, si siede. Si guarda intorno, ci ripensa e si sposta dalla parte opposta del corridoio, sul lato lungo il binario, in modo da poter tenere sott’occhio il tabellone. Posa la borsa sul sedile accanto al suo, libero. Anche i due posti di fronte sono liberi. Arriva l’orario della partenza, il treno inizia a muoversi, in direzione opposta a quella del sedile su cui si trova il viaggiatore inquieto. Si alza, leggermente contrariato, e va a sedersi nel posto di fronte. Come se le sue natiche, nell’atto di sedersi, anziché posarsi sul tessuto del sedile, si fossero imbattute in un cespuglio spinoso, il viaggiatore inquieto, non ancora terminato lo spostamento, si rialza immediatamente, per prendere la borsa e il giubbotto, rimasti nel posto davanti a lui, e spostarli accanto a sé. Finalmente, si siede, posa un braccio sui suoi averi, accanto a lui, e inizia a guardare fuori dal finestrino. Non c’è molto da vedere, a dire il vero: è buio, siamo in campagna, si riconoscono appena i profili delle colline, con qualche luce qua e là, e il tutto è mascherato dal riflesso pallido della carrozza semivuota sul vetro. Il treno rallenta, sta per arrivare alla prossima fermata del suo quotidiano tragitto. Il viaggiatore inquieto scatta in piedi, chiede a uno degli altri passeggeri dove ci troviamo. Ottenuta la risposta, chiede conferma del fatto che ancora non siamo arrivati nella stazione dove lui deve scendere. No, non ci siamo ancora, mancano ancora quattro fermate, manca almeno una quarantina di minuti. Il viaggiatore inquieto si risiede, apre la borsa, prende un foglio stampato, che riporta in alto il logo delle Ferrovie e nella parte centrale un elenco. Cerca ancora nella borsa, più a fondo. Trova un paio di occhiali e una penna. Inforca i primi, mentre con la seconda spunta i primi due nomi dell’elenco sul foglio. Rimette a posto il tutto e ricomincia a guardare fuori dal finestrino, anche se il panorama non è molto più interessante di prima. Dalla parte opposta della carrozza entra il capotreno e inizia la verifica dei titoli di viaggio. Il viaggiatore inquieto scatta come un soldatino sull’attenti. Inizia a frugare nelle tasche dei pantaloni. Si sente il tintinnare di alcuni spiccioli e lo scricchiolare di un mazzo di chiavi. Niente. Passa alle tasche posteriori. Ma dove l’ho messo? Passa ad esaminare il giubbotto, senza successo. È il turno della borsa, che ha due scomparti esterni. Nel primo che apre trova finalmente l’agognato cartoncino. Aspetta impaziente il suo turno per la verifica, in capotreno è stato trattenuto da una coppia di turisti che gli chiedono informazioni su una coincidenza. Tocca a lui, tutto a posto. Grazie, buon viaggio. Il viaggiatore inquieto ripone il biglietto nella tasca esterna della borsa. Non quella da cui l’aveva presa, l’altra. Ha appena chiuso la cerniera quando si accorge dell’incongruenza, a cui pone rimedio immediatamente. Nella fermata successiva, il treno indugia qualche minuto prima di ripartire. Nessun problema particolare, sta solo aspettando il treno che deve arrivare dalla direzione opposta, poiché nel tratto successivo la linea è a binario unico. Il viaggiatore inquieto guarda nervosamente l’orologio. Riprende il foglio stampato dalla borsa, lo controlla, calcola qualcosa mentalmente, riguarda l’orologio, poi, di nuovo, il foglio e ancora l’orologio. Il fischio della chiusura delle porte pone fine ai suoi tormenti, almeno per un po’. A ogni fermata si ripete la coreografia del foglio, la spunta dell’elenco, il controllo dell’orologio e la verifica che il biglietto sia ancora nella tasca giusta, non si sa mai, potrebbe essere scivolato, qualche malintenzionato potrebbe averlo preso, bisogna stare attenti, un altro controllo all’orologio, un altro al foglio, un calcolo mentale, ancora, finché il treno non riparte. Dopo un tempo che sembra infinito arriviamo alla penultima spunta dell’elenco del foglio stampato. Ci siamo quasi: alla prossima fermata il viaggiatore inquieto dovrà scendere dal treno. Anche se manca almeno un altro quarto d’ora al termine di quest’agonia, il viaggiatore inquieto inizia a prepararsi. Piega in quattro il foglio con l’elenco delle fermate, lo rimette nella borsa, già che c’è ricontrolla che il biglietto ci sia ancora, sì, c’è ancora, si alza, indossa il giubbotto, chiude la cerniera, poi i bottoni, sistema le maniche, prende la borsa, poi, indovinate un po’, la riapre, ricontrolla che ci sia tutto, anche il biglietto nella tasca esterna, richiude le varie cerniere, si guarda intorno, identifica l’uscita più vicina e inizia a camminare in quella direzione. Passa gli ultimi minuti in equilibrio davanti ai gradini della porta. Il treno sta ancora rallentando, non è ancora fermo, nonostante ciò il viaggiatore inquieto afferra saldamente la maniglia di apertura. Ecco lo sbuffo dell’aria compressa, si possono aprire le porte, ora. Il viaggiatore inqueto tira con forza la maniglia, si sente un rumore strano, la porta non si apre, riprova, niente. Inizia a tirare avanti e indietro la maniglia in modo convulso, aiutandosi con oscillazioni di tutto il corpo, niente da fare, sembra inesorabilmente bloccata. Un pendolare paziente si offre di provare. Il viaggiatore inquieto si sposta malvolentieri, rimane apprensivo a ridosso dell’uscita, per ora interdetta. Il pendolare paziente tira con decisione la maniglia. Tac, si sente uno scatto e la porta si apre. Il viaggiatore inquieto, ora anche contrariato, scende i due gradini e s’incammina verso il sottopasso. Lo osservo dal finestrino, forse sembra un po’ meno inquieto, e lo siamo anche noi, i suoi compagni di viaggio di oggi.IMG_20160219_095247

Natale pendolare #24

Evviva! Sono riuscita ad arrivare in fondo a questo calendario dell’Avvento pendolare-fotografico iniziato quasi per caso!

Riprenderò presto con i miei racconti pendolari e, visto è stato divertente e interessante per me in questi ventiquattro giorni cercare qualcosa da fotografare durante ogni viaggio pendolare, penso che proporrò in altre occasioni serie di post a tema come questi!

E allora, Buon Natale a tutti voi e a presto!

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