Ne ho già parlato o meglio ne ho accennato, in vari miei post, del mio modo preferito di trascorrere il tempo sul treno durante i miei quotidiani spostamenti: leggere. Uno dei pochi vantaggi che vedo nell’essere pendolare è quello di avere a disposizione tempo, a sfare nel mio caso, per la lettura. Penso sia quindi arrivato il momento di dedicare almeno uno dei post di questo blog, che parla appunto della parte pendolare della mia vita, a questo argomento.
Circa tre anni fa, all’inizio della mia attuale situazione oscillatoria, quando ancora ero traumatizzata dal sonno negato, dai ritardi, dalle corse verso il binario, una mattina passai dalla biblioteca del paese della mia infanzia, dove ancora trascorro molti fine settimana, e scelsi diversi libri. Arrivata al bancone per la registrazione, la bibliotecaria mi disse:
“Quanti libri, ma li leggi tutti? Come fai?”
Ed io:
“Sai, ho cambiato lavoro e adesso devo fare ogni giorno un viaggio in treno di un’ora e mezzo, la mattina e la sera, e in tre ore al giorno se ne leggono di pagine!”
A onor del vero devo dire che non passo proprio tutto il tempo del viaggio a leggere: spesso ne approfitto anche per lavorare con il portatite.
La bibliotecaria allora commentò:
“Beata te, io non ho mai tempo per leggere!“
Come, scusa, beata me?! Visto che lei abita a dieci minuti a piedi dall’ufficio, non mi sembrava un’osservazione felice. Ma avevo fretta quella mattina e non potevo approfondire la discussione, così presi i miei libri, conclusi con un generico: “Eh, già! ”, salutai, e ripresi il mio giro.
Ripensandoci, a tre anni e mezzo di distanza (allora non credevo che avrei resistito così tanto), forse la bibliotecaria non aveva tutti i torti, almeno dal suo punto di vista.
Scrive Pennac:
“Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (Come il tempo per scrivere, d’altronde, o il tempo per amare). Rubato a cosa? Diciamo, al dovere di vivere.
Ecco, a noi pendolari è proprio il dovere di vivere a rubare un sacco di tempo, spesso la sensazione è quella di buttarlo proprio via. Continua, infatti, Pennac:
”E’ forse questa la ragione per cui la metropolitana (ed il treno, aggiungo io!)– assennato simbolo del suddetto dovere – finisce per essere la più grande biblioteca del mondo. Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.”
Allora possiamo a nostra volta decidere di reinvestirlo questo tempo sprecato, riciclarlo in un certo senso. E leggere penso sia un’ottima attività di riciclaggio del tempo buttato via.
Non ho un genere preferito, la scelta dipende molto dal mio stato d’animo, dal livello di stress, da quanto mi impegna il lavoro. Leggendo testi molto diversi tra loro, c’è da chiedersi come faccio a dire quale mi piace e quale no. Un primo criterio di valutazione che ho elaborato è il seguente: un libro secondo me è brutto se rimane troppo tempo nella borsa, chiuso, un libro è bello se, quando il treno si ferma nella mia stazione, mi dispiace un po’ di essere arrivata e di doverlo momentaneamente abbandonare. Ma non basta, perché ci sono libri che divoro a tutta velocità, per il ritmo serrato della narrazione, i colpi di scena a raffica, sapientemente costruiti, ma che dopo una settimana ho completamente rimosso dalla mia memoria. Quelli sono libri belli, ma solo esteriormente, magari li ho scelti perché erano in bella mostra nella vetrina della libreria in centro, ma una volta arrivati in fondo, tirato un sospiro di sollievo perché il protagonista è riuscito a fuggire alla più feroce trappola e a sventare un intrigo di portata planetaria, non rimane granché. Ricordo a malapena la trama dell’ultimo thriller finito una settimana fa, ancora sulle vette delle classifiche delle vendite, mentre posso ripercorrere a mente tratti del “Gattopardo” o di “Anna Karenina”. Forse allora, un criterio migliore per decidere se un libro è bello davvero è quello di valutare che cosa ti ha lasciato di sé una volta che lo hai richiuso e riposto nella libreria, nello scaffale dei volumi “già letti”.
Ho comprato un kindle, effettivamente è uno strumento utile e comodo, specialmente se si sceglie di leggere un tomo voluminoso e pesante (da trasportare intendo), ma quando posso preferisco il libro tradizionale. Non riesco a spegarmi bene il perché, forse per la consistenza al tatto della carta stampata, o, forse, per il mio vizio di sbirciare cosa succede nelle pagine successive. Insomma, sfogliare le pagine è un po’ come aprire una tenda per curiosare dentro una stanza, farlo premendo un pulsante non è la stessa cosa, no?
E poi adoro le librerie. Mi piacciono soprattutto quelle piccole e antiche, che ormai vanno scomparendo, sostituite da negozi di articoli cinesi tutti uguali. Quelle dove il libraio ti aiuta, ti consiglia, dove ci sono libri ammassati ovunque, a volte sono vecchi, polverosi e le pagine sono ingiallite. Ne ho scoperta una bellissima a Parigi, quest’estate durante le vacanze. Per inciso, Parigi è piena di librerie, ce ne sono veramente tantissime, di tutte le dimensioni, di tutti i generi. Quella a cui mi riferisco si chiama Shakespeare and Co. e ci si possono trovare soprattutto libri in lingua inglese. Il negozio è un labirinto in cui è piacevole perdersi, tra scaffali sbilenchi carichi oltre misura di pubblicazioni di ogni tipo, dimensione e tempo. Ogni fessura, ogni pertugio, è pieno zeppo di libriccini, tomi polverosi, opuscoli. E poi ci sono degli angolini inaspettati: in una saletta appare un vecchio pianoforte, davanti a una finestra, una serie di vecchie sedie da cinema di legno, e, poi, un microscopico ripostiglio, sufficiente per uno sgabello, una mensola e una vecchia macchina da scrivere, poco più avanti, c’è persino un letto.
Spesso la mia lettura non si ferma sul treno ma continua a casa, la sera a letto, prima di addormentarmi. A volte capita che la mattina, quando riparto, per la fretta dimentico il mio libro sul comodino. Ecco, quando succede il viaggio in treno diventa davvero interminabile.
