Alfonso Perfetti

In un tiepido pomeriggio autunnale, un temporale improvviso e piuttosto irruento sorprende noi pendolari del treno delle diciassette e diciotto durante il tragitto tra i vari luoghi di lavoro e studio e la stazione. Chi può si ripara con gli immancabili ombrellini pieghevoli, ma dispettose folate di vento si divertono a rovesciarli e a romperli. C’è chi si protegge i capelli con un foulard, chi affretta il passo, chi si mette a correre, chi si rifugia nel rientro di un portone o di un negozio. Quelli che hanno avuto la fortuna di incrociare uno degli affollatissimi autobus, si ritrovano fermi, imbottigliati nel traffico, intrappolati in uno spazio ridottissimo in cui l’aria è irrespirabile a causa dell’umidità.

Arrivati alla stazione, siamo tutti piuttosto stravolti: scapigliati, esausti, con le scarpe e i piedi fradici, le borse e i capelli gocciolanti. Tutti, tranne lui: Alfonso Perfetti. Non si sa come abbia fatto, ma lui, sul treno, sale impassibile e impeccabile, come sempre.

In effetti, è difficile sorprendere Alfonso Perfetti. La mattina, appena si alza, controlla con una delle sue app installate nel telefonino le condizioni del meteo e sulla base delle previsioni decide cosa indossare. Prima di uscire da casa, un’altra app lo informa se il treno è o meno in orario. Se ci fossero ritardi eccessivi o cancellazioni, un’altra app ancora verifica il percorso ottimale e gli orari degli autobus. Se non ci fossero soluzioni a questo punto Alfonso prenderebbe la propria auto, non prima di aver consultato, tramite un’apposita app, le condizioni del traffico e l’eventuale presenza di lavori o rallentamenti lungo il percorso.

Il suo aspetto è sempre impeccabilmente, ma sobriamente, elegante, dalla punta delle scarpe alla sommità dei capelli. Non mancano mai giacca, cravatta, e camicia immacolata e perfettamente inamidata, anche nel pomeriggio, dopo una giornata di lavoro.

Porta con sé uno zainetto leggero, dalle forme stondate, ergonomiche, che contiene un piccolo ma potente computer portatile e un taccuino nero. In tasca, non manca mai il fedele smartphone, con tutte le sue app. Ha sempre il modello di punta, quello più aggiornato, con il processore più veloce, la memoria più capiente, lo spessore più sottile, la forma più elegante.

Gli piace tenere tutto sotto controllo: a casa, al lavoro, e anche nel suo viaggio pendolare. Alfonso si prepara sempre un pochino in anticipo all’arrivo a destinazione del treno: gli piace essere il primo a scendere e tirare la maniglia per aprire la porta della carrozza. Nei treni più nuovi, quelli in cui ci sono gli schermi che riportano le principali condizioni del viaggio, tiene d’occhio i dati, la velocità in particolare, e la confronta con quella che gli fornisce una delle sue app.

A un primo sguardo, potrebbe sembrare una persona arida di sentimenti, che sta meglio con chip e processori che con i suoi simili, una specie di cyborg, uno che vede il mondo attraverso una matrice di pixel. Ma è davvero così?

Quando non digita freneticamente sulla tastiera del piccolo computer, Alfonso ama leggere. Anche per questa attività è stato tentato dalla tecnologia: ha provato gli ebook sul tablet, poi è passato all’ebook reader, ma la soluzione digitale non lo ha convinto e alla fine è tornato al cartaceo. Legge soprattutto i gialli classici, quelli in cui la vittima muore nelle prime pagine e l’investigatore per tutto il tempo raccoglie indizi e mette insieme i pezzi del puzzle, fino a scovare l’assassino, che si sfoga in un’accorata confessione, per permettere al lettore di capire. Alfonso è piuttosto severo nel giudicare le sue letture. Di solito, già dopo pochi capitoli si fa un’idea di cosa è successo. Se, alla fine, la sua teoria è confermata, liquida l’opera come prevedibile e banale, se, invece, la vicenda prende una piega per lui inaspettata, la critica di essere inverosimile. Alla fine di ogni volume annota questi giudizi con cura, con una delle sue app, insieme al titolo e l’edizione, la data d’inizio e fine lettura.

Il pomeriggio, Alfonso Perfetti arriva alla stazione sempre dieci minuti prima della partenza del treno, si ferma al bar e gusta un caffè decaffeinato e un muffin al cioccolato. Non è chiaro se gli piaccia di più il muffin o la barista. Ora che ci penso… ecco perché non è stato sorpreso dal temporale, oggi!

Difficilmente Alfonso Perfetti perde il controllo della situazione, ma a volte, molto di rado a dire il vero, cede a qualche segno di stanchezza. Oggi pomeriggio, per esempio, verso la metà del viaggio di ritorno in treno, Alfonso sembra quasi ipnotizzato dallo scorrere all’indietro delle case, degli alberi e delle colline fuori dal finestrino. Lascia vagare liberi i pensieri, nella sua testa è come se fosse apparso quel cerchietto che gira al centro delle schermate dei computer quando sta caricando un programma molto pesante. Solo dopo qualche istante si ricorda di essere sul treno e si rende conto di avere quasi metà dell’indice della mano destra dentro la corrispondente narice. E solo allora si accorge della pendolare svampita, quella che arriva sempre tardi, che, seduta poco più avanti, lo osserva. Ha in mano quel suo cellulare dai colori pacchiani… non l’avrà mica fotografato mentre aveva le dita nel naso? No, dai, è troppo imbranata, neanche le saprà fare, lei, le foto con il cellulare. Non sembra molto avvezza alla tecnologia in effetti. Ecco che ricomincia a leggere il suo libro.

Scorrono lenti i minuti, siamo quasi arrivati. Alfonso, con il solito anticipo, si avvia verso l’uscita. Il treno si ferma, la porta si apre, i passeggeri scendono. Alfonso è il primo, come sempre. La pendolare distratta no, ha fatto tardi con il suo libro, la vede dal finestrino che si dispera per aver perso la fermata. Quando è lei ad accorgersi che lui la sta fissando, dal marciapiede, la disperazione le si trasforma improvvisamente in un sorrisetto ironico e beffardo. Il treno riparte, lei lo saluta agitando il braccio, mostrando fiera il suo cellulare pacchiano…

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Pendolare multi-tasking

Vorrei invitare tutti gli sceneggiatori di fiction, fotoromanzi, telenovelas, soap opera e affini a farsi qualche viaggio su un treno pendolare, la mattina, vi assicuro che è una fonte inesauribile di ispirazione 🙂

Il treno è piuttosto affollato stamani e sono costretta a condividere lo spazio compreso tra i quattro sedili con cui è suddiviso il vagone con altre due donne. Una è seduta al mio fianco, a destra, l’altra di fronte a me. È quest’ultima, stamani, a catturare la mia attenzione. Indossa abiti e accessori scelti con cura, siede con eleganza, anche se la postura è abbastanza piegata su un lato e le gambe accavallate sconfinano nello spazio del sedile di fianco al suo, vuoto, sul quale ha sistemato le due borse che porta con sé. La testa è piegata un po’ in avanti e un po’ a sinistra, cosicché lo sguardo può concentrarsi sul tablet appoggiato sulle ginocchia, mentre la spalla e il lato sinistro della mandibola  contribuisce a sorreggere il telefonino seminascosto dai lunghi capelli biondi contro l’orecchio. Con la mano destra sfiora ritmicamente la superficie del tablet, in orizzontale e verticale, alternativamente. Di tanto in tanto dal dispositivo esce un’allegra musichetta: deve trattarsi di uno di quei giochini elettronici che vanno di moda. Allo stesso tempo porta avanti una confidenziale conversazione con l’incognito interlocutore all’altro capo del telefono. Le due azioni sono totalmente scollegate tra loro: non esiste alcuna relazione tra la traiettoria del suo indice sulla piastra di vetro e le variazioni del ritmo della voce nella comunicazione, come se fossero controllate da due processori distinti e indipendenti tra loro. A un tratto, uno squillo sonoro la distrae momentaneamente da entrambe le mansioni. Proviene da una delle due borse, anzi, per essere precisi, dal secondo telefonino, bianco in questo caso, in essa contenuto.

“Scusa, scusa, amore, aspetta un attimo, ho un’altra telefonata.”

Posa delicatamente il primo cellulare dentro la borsa, aperta, senza chiudere la comunicazione, e prende l’altro. Inizia una seconda conversazione, con lo stesso tono affettuoso e confidenziale della prima.

“Buongiorno, amore, come stai? Dormito bene? Sì, sì, anche io, sono già in treno…”

Continua così per alcuni minuti, e riprende anche l’attività ludica con il tablet. Poco prima della stazione di arrivo, si congeda frettolosamente con il secondo misterioso interlocutore:

“Amore, sono quasi arrivata, devo prepararmi per scendere, ok, ti chiamo più tardi, va bene?”

Chiude la chiamata con il telefonino bianco e riprende il primo, quello nero, che nel frattempo aveva aspettato pazientemente nella borsa.

“Scusa, amore, ci ho messo più del previsto e ora sono quasi arrivata alla stazione, ti devo salutare. Ti chiamo più tardi, ok?”

Termina anche la seconda chiamata, che poi era la prima… Mancano ancora alcuni istanti all’arrivo, il treno ha appena iniziato a rallentare. Giusto il tempo di finire la partita sul tablet, e pure con successo, a giudicare dalla festosa musichetta, prima di riporre anche questo in una delle due borse e prepararsi a scendere.

E intanto a me inizia a frullare per la testa un famoso motivo di Renato Zero…

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8 p.m. in Ponte a Elsa

Viaggio di ritorno di un qualsiasi giorno feriale in cui una riunione si è protratta un po’ troppo e ho fatto più tardi del solito. Stanca morta, passo il tempo sul treno leggendo un libro. La linea ferroviaria che percorro quotidianamente ha due caratteristiche che rendono ogni viaggio avventuroso e ricco di imprevisti più o meno (soprattutto meno, devo dire) divertenti. Innanzi tutto, per gran parte del suo percorso, è una linea a binario unico, con tutte le complicazioni che ne conseguono in termini di coincidenze e scambi fra treni che viaggiano in direzioni opposte. Come se non bastasse, nell’arco di poche decine di chilometri ci sono parecchi passaggi a livello e la probabilità che ne rimanga qualcuno erroneamente aperto è piuttosto concreta. Capita quindi abbastanza spesso che il treno si blocchi nel bel mezzo della campagna, per lunghi, lunghissimi minuti, a causa di qualche imprevisto. Di solito il capotreno in questi casi annuncia un “ritardo imprecisato” che, soprattutto di sera, quando hai voglia di spaparanzarti sul divano, fuori è già buio e non si vede niente, mette un pochino di inquietudine.

Siamo fermi già da almeno cinque minuti nel bel mezzo del nulla, quando sospendo la lettura e mi guardo intorno, un poco intimorita. Sul sedile di fianco al mio, dalla parte opposta del corridoio è seduto un signore anziano dall’aspetto simpatico, è salito poco fa, con la coda dell’occhio ho visto che armeggiava con una grossa cartellina da disegno, ma ero concentrata nella lettura e non ci ho fatto troppo caso. Non mi ero neppure accorta che una volta sistemato aveva aperto la cartellina e stava riordinando una serie di disegni realizzati con gli acquerelli, secondo la dimensione, dai più grandi ai più piccoli. Il suo aspetto mi ricorda molto quello di un pittore che avevo incontrato a Montmartre, durante un recente viaggio a Parigi, da cui avevo comprato un quadretto raffigurante la vetrina di uno degli innumerevoli café della capitale francese, che tra l’altro devo ancora appendere in casa.

Il mio sguardo curiosa tra i disegni, dal tratto e dai colori delicati. Uno in particolare mi colpisce: ritrae un grosso castagno dal tronco storto e nodoso e dalle foglie di un delicato colore verdolino. Mentre vedo scorrere i disegni, la mia mente torna a Parigi, immagino di essere non sul Regionale Veloce per Firenze SMN, ma su una linea del metrò parigino, magari la linea 6, quella che a un certo punto sbuca fuori dai sotterranei, attraversa la Senna sul ponte di Bir-Hakeim, per poi continuare in superficie, verso Montparnasse, su una struttura sopraelevata che permette di ammirare le strade, le piazze, i tetti con gli inconfondibili camini: Dupleix, La Motte Picquet-Grenelle, Cambronne… Mi sembra quasi di sentire l’inconfondibile odore di gomma proveniente dagli pneumatici dei treni, caratteristici proprio di questa linea. Immagino poi di scendere dal metrò alla fermata di Abbesses, non con la linea 6 però, quella fa tutto un altro percorso, di risalire le ripide scalinate, girare intorno al Sacre Coeur, raggiungere la Place du Tertre, sedermi ad un tavolino di uno dei tanti café e stare lì ad oziare per tutto il pomeriggio, in perfetto stile flâneur.

L’anziano pittore si accorge della mia curiosità e mi sorride. Ricambio il sorriso e gli dico che i suoi disegni sono molto belli, soprattutto quello del castagno. Non è mia abitudine attaccare discorso sul treno, ma questo signore mi ispira simpatia. “Le piacciono davvero?” mi chiede, con soddisfazione, “Allora gliene faccio vedere altri se vuole, tanto abbiamo tempo…” Siamo infatti ancora fermi nel bel mezzo del nulla. “Volentieri”, rispondo, contenta di aver trovato un insolito diversivo per ingannare quest’odiosa attesa. Inaspettatamente richiude la cartellina, la appoggia sul sedile libero di fronte a lui e si prende dalla tasca un moderno smartphone nero fiammante con annessa mela mangiucchiata. “Vede, io non ci capisco molto con questi aggeggi tecnologici, ma mio nipote che è bravo con i computer, mi ha messo tutti i quadri qui dentro: qui sì che si vedono bene!”. Il resto del nostro viaggio lo passa a scegliere immagini da cartelle virtuali, cliccare, spostare, selezionare, trascinare, ruotare il minuscolo schermo da quattro pollici o poco più, zoomare sui particolari… Per fortuna dopo poco il treno riparte, con solo ventisette minuti di ritardo.

Che peccato, per un attimo avevo quasi immaginato di essere stata catapultata nei magici Anni Venti della Ville Lumière, come lo sceneggiatore e aspirante scrittore Gil in“Midnight in Paris”, ma sono solo le otto e venticinque, qui, a Ponte a Elsa.

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Buon inizio settimana, Pendolo!

Come ogni primo giorno del mese lavorativo, Pendolo partì di casa quindici minuti prima del solito per recarsi alla stazione: quella mattina doveva rinnovare l’abbonamento. Alla biglietteria c’era una bella coda, decise quindi di mettere da parte la sua innata avversione nei confronti di tutti i congegni tecnologici e di affrontare una delle due temutissime macchinette automatiche. A dire il vero la fila era tutta alla biglietteria umana, non c’era nessuno alle macchinette e questo già sarebbe bastato a qualsiasi pendolare con un minimo di esperienza a far venire almeno un leggero sospetto… Ma i due dispositivi erano accesi, su entrambi appariva un invitante messaggio di benvenuto e non c’erano avvisi o segnali particolari, quindi, di che doveva aver paura? Se fossero state guaste, se ci fossero stati problemi di qualsiasi tipo, lo avrebbero segnalato, no? Ahimè, il buon Pendolo era un inguaribile ottimista e confidava sempre nella fortuna, nella buona fede e nella buona volontà altrui, specialmente di lunedì mattina.

Alla macchinetta, selezionò con cura la stazione di partenza e quella di arrivo, specificò cognome, nome e data di nascita. La macchinetta, senza fare tanti complimenti, gli chiese subito di pagare la consistente gabella mensile. Selezionò la modalità di pagamento con bancomat, al che il freddo marchingegno ordinò, con voce decisa: “Inserire la carta!”. Pendolo eseguì il comando, un po’ timoroso. Uno strano rumore di aggeggi meccanici che sbattevano tra loro, frammisto a un poco rassicurante ronzio elettrico, iniziò a uscire dalla fessura dove aveva inserito la tesserina magnetica. Dopo qualche istante, la voce imperiosa ordinò: “Estrarre la carta!” Pendolo, di nuovo, obbedì. Per fortuna la tesserina magnetica era ancora integra. Non era ancora passata una frazione di secondo che l’odiosa macchinetta ordinò: “Inserire la carta!” E lui, scattando sull’attenti come al comando di un ufficiale, obbedì. Di nuovo, si ripeté lo strano rumore meccanico, come di denti  metallici intenti a masticare un pezzo di plastica, e di nuovo, l’irrazionale ordine: “Estrarre la carta!”

Dietro di lui si era intanto formata una piccola coda, capeggiata da un turista straniero, magrolino e piccoletto, dall’incredibile somiglianza con Einstein, che ballonzolava avanti e indietro, nervoso, e commentava: “Iz leit, iz leit, de ticchet, ai nid de ticchet!”.

Un altro tentativo ancora, ma niente, la macchinetta non ne voleva sapere della tesserina magnetica del povero Pendolo. Alla terza iterazione inserire/estrarre la carta, si rassegnò all’idea che quella macchinetta fosse guasta e si decise a provare l’unica altra disponibile. Ma le persone che stavano dietro di lui avevano avuto la stessa idea una frazione di secondo prima e tutta la coda si era già spostata in modo monolitico, così che il povero Pendolo si ritrovò  all’ultimo posto della fila, a pochi minuti dalla partenza del suo treno.

Era il turno del turista sosia dello scienziato, anche lui era in palese difficoltà, probabilmente aggravata dal suo essere straniero e dalla poca confidenza con le ribelli macchinette italiche. Continuava a inserire e disinserire velocemente una tesserina magnetica dorata, brontolando nervosamente “Iddasen uok, iddasen uok” per poi guardarsi intorno, preoccupato, “ueris di ader, ueris di ader”. Pendolo iniziava a temere seriamente di perdere il treno, guardando il tabellone si accorse infatti che era iniziata a lampeggiare la lucina che indicava l’imminente partenza.

I minuti successivi gli sembrarono lunghi quanto secoli. Un signore in giacca e cravatta si offrì di aiutare l’inesperto turista;  in due, tentando di dialogare tra loro in una strana lingua, ce la fecero a stampare l’agognato biglietto. Dopo il turista toccava a una ragazza con un ciuffo viola e le unghie variopinte, troppo lunghe per poter interagire per bene con il touch screen della macchinetta: ci mise un bel po’ a stampare l’abbonamento. Era poi il turno del suddetto signore in giacca e cravatta, che si era già dimostrato un pendolare esperto e per fortuna impiegò pochissimo tempo, poi toccava a uno studente con il cavallo dei pantaloni pericolosamente basso e un paio di cuffie gigantesche alle orecchie, da cui filtravano inconfondibili note distorte heavy metal…

Alla fine anche Pendolo ce la fece a raggiungere la testa della fila. Al primo tentativo l’algoritmo s’inceppò sulla selezione della stazione di arrivo, fissandosi per lunghi, lunghissimi istanti, su un’insopportabile schermata con su scritto “Attendere, prego”, per poi resettarsi all’improvviso. Pendolo ormai aveva perso il proverbiale buonumore mattutino, sostituito da un desiderio irrefrenabile di sfasciare quel marchingegno maledetto a colpi di spranga. Trovò tuttavia la forza di resistere e riprovò con più attenzione, tenendo a fatica a bada il fascio dei suoi nervi imbizzarriti. Ogni volta che toccava il touch screen per selezionare le varie opzioni, lo faceva ormai con cattiveria e violenza, come se il suo dito indice fosse il coltello di un efferato assassino che infieriva sulla sua vittima. Finalmente, brontolando, sferragliando, recalcitrando, la dannata macchinetta, offesa, ferita, stizzita, sputò disgustata l’agognato pezzetto di cartoncino mensile.

La lucina sul tabellone continuava a lampeggiare, c’era un tenue barlume di speranza di poter prendere il treno. Pendolo si fiondò sulle scale del sottopassaggio, scendendo e poi risalendo i gradini a due a due, aiutandosi anche con le braccia, con la grazia di un gibbone in fuga nella foresta. Quando riemerse dal sottopassaggio, fece appena in tempo a vedere la coda del treno sparire, dietro la curva appena fuori dalla stazione. Dal finestrino dell’ultimo vagone gli sembrò persino di vedere un ghigno soddisfatto sul volto del capotreno, ma forse quella era solo un’impressione.

Tanta fatica per niente, aveva perso il treno e ora doveva aspettare per quaranta minuti quello successivo. Che ovviamente arrivò in ritardo. Ritardo sul ritardo, ritardo al quadrato, all’ennesima potenza, anzi, ritardo esponenziale. Al lavoro lo aspettava di sicuro una bella ramanzina da parte del suo capo… Ed era pure iniziato a piovere… E non aveva nemmeno l’ombrello… E faceva un gran freddo, lì, sul binario, ad aspettare… Ed era solo lunedì.

The body scanner

 

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©www.vitadapendolare.wordpress.com

Devono aver aumentato i controlli di sicurezza nelle stazioni, ho pensato questo pomeriggio, quando sono arrivata sulla banchina del terzo binario, da dove parte, alle 17.19, il treno che mi riporta  a casa. Perché quello che ho trovato lì, davanti a me, appena fuori dal sottopassaggio, non può che essere un moderno body scanner, ultimo ritrovato delle più avanzate ricerche nel campo della bionica e della cibernetica.

Il suo aspetto non è certo quello dei dispositivi a cui siamo abituati negli aeroporti, per camuffarsi e non dare nell’occhio, ha le fattezze di un comune viaggiatore: un giovanotto alto, jeans sapientemente consunti, camicia azzurra a righe, moderna borsa da ufficio, folti e scuri capelli ricci, occhialoni da sole, sigaretta e telefonino all’orecchio.

La sua posa, leggermente asimmetrica, il braccio destro mollemente disteso lungo il fianco con la sigaretta tra le dita, quello sinistro piegato per reggere il telefonino, mi ricorda il mio illustre concittadino che scruta i suoi visitatori dall’alto del piedistallo in Piazza della Signoria. Bè devo dire che a differenza sua, il nostro personaggio di oggi ha un fisico un pochino più rilassato e soprattutto è vestito.

Come dicevo, il soggetto in questione non è un comune viaggiatore ma un sofisticato dispositivo di sorveglianza posto lungo i binari. Deve essere ancora un prototipo, dato che i suoi controlli non sono uniformi, ma rigorosamente selettivi. L’oggetto delle sue scansioni è costituito esclusivamente da individui di sesso femminile, nella fascia di età compresa tra i 18 e i 35 anni, con conformazione fisica che rispetti precisi canoni di proporzione. L’abbigliamento troppo ingombrante deve interferire con le sue indagini, per cui i soggetti troppo vestiti, con indumenti larghi e coprenti, vengono liquidati con un’analisi sommaria. Come potete immaginare, anche dal retrogusto acidulo di questo post, io sono ormai fuori dal suo target.

Ha un sacco da fare in questi giorni, dato che sono ricominciate le scuole, stanno per partire i corsi all’università e la stagione ancora buona attira un bel numero di turiste. Una volta individuato il soggetto, inizia il processo di scansione, che parte dai piedi e risale, soffermandosi nella zona dei fianchi e del seno, per proseguire fino alla testa e scendere di nuovo. Manca solo il tipico “bzzzz” dei dispositivi elettromeccanici per lo spostamento della testa del sensore. In alcuni casi particolari, tipicamente in soggetti abbigliati con shorts o minigonna e magliettina aderente, per migliorare il processo di acquisizione dell’immagine tridimensionale, abbassa gli occhiali sul naso e accompagna l’operazione con una smorfia soddisfatta della bocca.

Pochi secondi prima della partenza del treno getta la sigaretta, sale sulla carrozza, si siede, prende un paio di cuffie dalla borsa, le collega al telefonino, tocca lo schermo tre o quattro volte e si addormenta… pardon, si disattiva..

 

 

Music is in the air…

Oggi pomeriggio il treno è particolarmente tranquillo, un’ottima occasione per andare un po’ avanti con il mio libro. Immersa nella lettura, non mi accorgo che in una delle innumerevoli fermate intermedie è salito un ragazzone, grande e grosso, con il cavallo dei jeans pericolosamente basso, una felpa scura e una cesta di capelli arruffati. Nonostante lo scompartimento sia quasi vuoto, siede in uno degli strapuntini del vestibolo, lo vedo dal vetro della porta che separa le due aree.

La mia attenzione viene catturata da questo personaggio nel momento in cui lo vedo piegarsi in avanti, lentamente. “Oddio, si sarà sentito male?” penso tra me e me, mentre la sua schiena continua a incurvarsi e il suo mento ormai tocca la punta delle ginocchia. Quando ormai penso che stia per rovinare per terra, con uno scatto si tira su. Ma non si ferma, arrivato all’apice, la testa di nuovo protende in avanti. Questa volta non si piega troppo, inizia a oscillare, avanti e indietro, lentamente. A questo punto inizio a pensare che abbia qualche problema al livello neurologico, non riesco a spiegarmi certi spasmi altrimenti. Sta ancora oscillando pericolosamente quando le sue mani, distese sulle cosce, si chiudono in una posa  quasi rattrappita, la destra, al livello della vita, inizia a ruotare spasmodicamente, la sinistra un po’ più in alto, si muove a scatti. “Deve avere proprio dei problemi grossi”, penso. La testa continua a oscillare, sempre più velocemente, come in trance.

Ed ecco, alla fine, la risposta. La porta si apre e dal vestibolo sento un brusio ritmato, inizio a intuire la soluzione del mistero, che mi è chiara quando vedo dalle orecchie del ragazzo spuntare due fili bianchi che vanno a finire nella tasca dei jeans: sta solo ascoltando la musica con le cuffiette e si è fatto un po’ troppo prendere dall’assolo di chitarra probabilmente. Ed io, che pensavo fosse un po’ pazzerello… in realtà era soltanto  lanciato in un’improvvisata esibizione  di “air guitar”!! Piuttosto… chissà qual era il pezzo che stava ascoltando con così tanto trasporto…

Un viaggio… come dire… sFibrante

Adoro la musica, in tutte le sue forme e in tutti i suoi generi, o quasi. Penso che sia un’arte sublime, in grado di innalzare lo spirito umano e trascendere dalla quotidiana realtà terrena. La ascolto, la seguo, la amo e, nei limiti delle mie capacità, la pratico.

In un viaggio pendolare però talvolta anche la musica può diventare un elemento di disturbo. Come stamattina. Nella mia carrozza c’è il solito gruppo di giovincelli che vanno a scuola. Il capobranco di oggi è un tipetto magro e pieno di brufoli, con i capelli pettinati alla moda, ottenuti probabilmente facendoci nidificare qualche specie di uccello arboricolo. Si è conquistato il titolo di star del giorno perché sfoggia un nuovo telefono.

“Ma non dovevi prendere il quattroesse?” chiede una ragazzina, con un tono ammirato e un pizzico invidioso.

“No ho convinto il mi’ babbo a prendermi il cinque, dato che ho recuperato l’insufficienza in matematica”

Per rendere partecipe tutto lo scompartimento della sua nuova conquista pensa bene mettersi ad ascoltare la musica con il nuovo congegno tecnologico, a tutto volume, senza cuffie, con l’aggravante di riprodurre ciclicamente sempre la stessa canzone. Si tratta di Pronti, partenza, via di Fabri Fibra.

Per chi non la conoscesse e per chi se la vuole riascoltare, ecco qui il video:

Ok, il rap non è tra i miei generi preferiti, lo ammetto, ma questa canzone, sentita un paio di volte alla radio, fino a stamattina non mi dispiaceva troppo, sarà per il motivetto semplice da memorizzare (pronti, partenza, via, si va per mari e monti…), le tematiche calde toccate…

Ma, dopo averlo sentito e risentito, almeno quattro o cinque volte di seguito, alle sette di mattina, in un treno affollato di pendolari, ha decisamente smesso di piacermi. Avesse avuto, il ragazzetto molesto, uno di quei vecchi walkman che avevamo ai miei tempi (come mi sento obsoleta quando faccio questi ragionamenti!), glielo avrei preso, avrei estratto la cassetta, l’avrei pestata fino a tritarla e avrei fatto volare i resti fuori dal finestrino. Ma al giorno d’oggi la musica è fatta di bit registrati nella memoria di un costosissimo smartphone e non mi sembra il caso di sottrarglielo per frantumarlo.

Oltretutto, all’ascolto forzato del rapper nostrano, come pena aggiuntiva, c’è toccata anche la visione delle evoluzioni scoordinate del ragazzo, nel goffo tentativo di improvvisare un balletto, e il suo infelice controcanto. Da cantante dilettante riconosco la difficoltà di riprodurre un brano di quel genere, che non sta tanto nella melodia, di per sé piuttosto semplice, ma nell’esecuzione a tempo del testo: uno scioglilingua da ripetere velocissimamente senza poter riprendere fiato. E, infatti, il nostro rapper pendolare arranca dietro il cantante: parte con le parole giuste, si vede che le conosce bene (devo dire che dopo stamani anch’io ormai le so a memoria, ahimè), ma si confonde verso la metà di ogni verso, che diventa via via un biascichio sempre più incomprensibile, per riprendersi poi alla fine:

Burocrazia

L’Italia si squaglia cm brr… em….ZIA

Una bella idea

Arriva smpr tte..ONDA

Come la polizia

….

Roba magica simsalabim

Ma al microf.. em br… ah… PIN….

Avrei potuto spostarmi in un’altra carrozza, ma ormai mi ero sistemata e mi faceva un po’ fatica. E poi, lo ammetto, anche se in molti loro atteggiamenti questi ragazzi sono fastidiosi, anche parecchio, in fondo in fondo mi diverto a guardare le loro esibizioni mattutine. Me ne sono accorta, sapete, che quello faceva il galletto (rompendo le scatole a tutto lo scompartimento) per farsi notare dalla morettina un po’ emo seduta più avanti con due sue amiche…

Finalmente i ragazzi arrivano a destinazione e, in modo disordinato e scomposto, spintonandosi e sbattendo gli zaini da tutte le parti, scendono lasciando il treno in un surreale silenzio. Che dire, a quel giovinetto auguro tutto il bene del mondo: di conquistare la sua morettina, di mantenere la sufficienza a matematica e anche in tutte le altre materie, così il babbo potrà comprargli tutti gli aggeggi tecnologici che vorrà (e magari anche un paio di cuffie). Ma se potessi dargli un consiglio, gli direi di non tentare la strada del rapper, non mi pare proprio portato.

Giocatori pendolari sfortunati

Ci risiamo. Dopo aver amorevolmente allevato un animalino virtuale in Pet Society, coltivato una rigogliosa fattoria a Farmville e costruito un sontuoso maniero a Castelville, sono ricaduta un’altra volta nella spirale perditempo dei “giochini sociali” (per chi non li conosce, quelli che ho nominato sono dei giochini di Facebook in cui ti ricrei una specie di ambiente virtuale e puoi andare a visitare gli ambienti creati dai tuoi amici, che per l’occasione diventano “vicini” di casa, fattoria, castello ecc.). Questa è la volta dell’ormai universalmente diffuso Ruzzle, di cui ha parlato anche Ilaria in questo suo post. L’ho installato nei giorni passati a casa con l’influenza e mi ci sono un po’ fissata, anche se adesso devo dire che la fase acuta dell’intossicazione è passata. Perché, a onore del vero, pur essendo abbastanza vulnerabile a cadere nella tentazione, a me queste passioni ludiche non durano poi molto, per fortuna. Chissà che fine avrà fatto l’animalino di Pet Society, sarà morto di stenti? E la fattoria di Farmville sarà infestata da erbacce e sterpaglie, mentre il maniero di Castelville starà ormai cadendo in rovina…

Scusate… è appena arrivato il messaggino che mi avverte che un mio amico  vuole sfidarmi a Ruzzle… devo andare… ok, ok, prima finisco il post!

Insomma, ancora non mi è passata, ma ha i giorni contati… Spero… E poi non è mica vero che è il passatempo ideale per il pendolare: a me, per esempio, giocare durante il viaggio, invece di rilassare, innervosisce. Il consueto stress del pendolare si somma alla sottile ansia della competizione, il giochino si insinua nei ritmi e nelle dinamiche del viaggio quotidiano, da un lato condizionandolo, ma anche subendone gli immancabili imprevisti.

Ecco quindi una serie di corollari della legge di Murphy applicabili ai pendolari giocatori di Ruzzle, dimostrati dalla mia seppur breve esperienza personale:

  1. Se aspetti che il treno arrivi prima di iniziare la partita a Ruzzle, il treno non arriverà.
  2. Se, preso dallo sconforto, inizierai la partita, il treno arriverà e dovrai interromperla sul più bello per salire.
  3. Se sei alla stazione e il treno che stai aspettando ha molto ritardo, per qualche motivo non ci sarà il segnale per il cellulare e non potrai giocare.
  4. Se sei sul treno, stai giocando e vincendo una partita a Ruzzle, passerà il controllore e dovrai interromperla.
  5. Se stai perdendo una partita, non passerà nessuno a chiederti il biglietto e potrai perderla in tutta tranquillità.
  6. Se stai vincendo la partita, il treno accelererà e arriverà a destinazione prima che tu la finisca, così la dovrai interrompere per scendere.
  7. Se il treno rallenta e accumula ritardo, lo farà in un punto della linea dove non c’è segnale e non potrai giocare a Ruzzle per passare il tempo.
  8. Se stai vincendo una partita il cellulare si scaricherà e si spegnerà, non avrai con te il cavetto per ricaricarlo e dovrai aspettare l’arrivo per vedere come va a finire.
  9. Se ti sposti in disparte sulla banchina per concentrarti in vista del terzo round a Ruzzle contro il tuo acerrimo avversario, inizierà a piovere e dovrai tornare di corsa sotto la pensilina, in mezzo alla calca.
  10. In tutti questi casi il tuo avversario a Ruzzle sarà comodamente seduto sul divano di casa, in condizioni psicofisiche ottimali per concentrarsi sul giochino, e ti sconfiggerà in modo impietoso.

 

Insomma, è chiaro che questo giochino, apparentemente un innocuo passatempo per ingannare l’attesa durante il viaggio, in realtà è fonte di tensioni, arrabbiature, corse e stress.

La conclusione? Meglio, molto meglio, un bel libro.

ruzzle

Post dadaista, con sorpresa finale…

…per cui leggetelo fino in fondo, vi conviene! 😉

Il treno procede tranquillo, fermandosi ogni tanto per scaricare e caricare pendolari assonnati e apatici, di ritorno dalla giornata lavorativa. Sono seduta in una carrozza  piuttosto affollata e digito velocemente sulla tastiera del mio computer portatile l’ultima parte della relazione che devo consegnare per domani a mezzogiorno.

C’è molto rumore oggi pomeriggio, è difficile lavorare… E più ho fretta di finire, più i disturbi esterni mi distraggono e mi irritano.

Cerco di estraniarmi e concentrarmi nella mia relazione, ma a un certo punto, come un medium che cade in trance, le mie dita iniziano a trascrivere l’assurdo dialogo che sta prendendo vita intorno a me.  Ed ecco il delirante risultato:

“A te quando andrebbe bene?”

 “Eeeeh”

 “No giovedì non posso, vado in palestra”

“Mamma mia…”

“Il dottore mi ha detto che ho una disfunzione alla tiroide”

“Facciamo venerdì allora, d’accordo, te cosa porti?”

“Perché noi lo sappiamo bene…”

“Ero disperata, una volta mi sono dovuta fermare all’Autogrill perché mi sentivo svenire”

“Ah buono, anch’io lo faccio a volte, ma ci metti il Philadelphia?”

“Mi ha dato delle pillole da prendere tutti i giorni”

“Lo so, una noce nel sacco non fa rumore…”

“Sì proprio quelle”

“No, io vedrai porterò i crostini”

“Eeeeh mamma mia…”

“No, a me non danno noia, anzi hanno risolto parecchio”

“Ma, niente di speciale vedrai, quelli con il tonno e la maionese”

“Ma due… due se vogliono fanno tanto rumore”

“Sì ha detto che viene anche lei se ce la fa ma non è sicura ancora”

“Sì mi è arrivata l’email… mamma mia che parolona I MAIL”

“Va bene”

“Sì l’ho installata ma non so come funziona…”

“Comunque è una cosa diffusa, mi ha detto che ne soffre anche la mamma della Patrizia”

“Cosa vuol dire la devo inoltrare l’allegato?”

 “Ci siamo stati domenica scorsa ma non è un granché…”

“Sì lo vedo che è arrivata ma ora come devo fare…”

“Ora sta meglio, ha ancora qualche dolore alla parte bassa della schiena”

“Mah, secondo me non ne vale la pena”

“E la Susanna come sta? E’ tornata al lavoro?”

“Ci vorrebbe un informatico…”

“Ciao, sono sul treno, sto tornando solo adesso”

“Sì ma fisicamente come faccio?”

“Eh cosa vuoi che sia successo… ho fatto tardi come sempre”

“Davvero? Non lo sapevo mica… Ma dai, quando?”

“Salva con nome, sì, e poi?”

“Anche lei, con quell’allergia, non ne esce proprio”

“E dove si sposano?”

“Salva, va bene!”

“Bello, ci sono stata a un altro matrimonio”

“No no, non importa… Mangio un boccone e via, non ho nemmeno fame stasera”

“Eeeeh…”

“Mi ha raccontato che ha provato ma senza cortisone non riesce a farla passare”

“Tutto bene, mamma, cosa vuoi sia successo?”

“Quando ti compare dove la devi salvare?”

“E dove vanno in viaggio di nozze?”

“Ti ho detto va tutto bene, sono solo stanco e mi girano, ecco”

“Eh!”

“In Polinesia? Esagerati! ”

“Sì nell’’erboristeria in piazza”

“Eh!”

“No, dopo esco…”

“Bello! Mi piacerebbe davvero!”

“Ci vorrebbe il compiuter (sic!) davanti per poter operare…”

“Ah non lo sapevo, da quanto?”

“Mamma mia…”

“Figuriamoci!”

“Aah…”

“Mamma, l’esame ce l’ho la prossima settimana, lo saprò io quanto studiare, no?”

“Ma sono sposati?”

“Ma allora sei un genio!”

“No, non importa”

“Mamma mia… Sei un luminare, sei un vulcano!”

Come colonna sonora di questa assurda sceneggiatura, il rumore di un videogioco, di quelli “spara-spara” per intenderci, proveniente dal telefonino del canuto signore seduto accanto a me, intervallato da squilli e suonerie varie.

Solo vicino all’arrivo mi riprendo dalla fase di trance e mi rendo conto che ho trascritto la surreale conversazione che ho riportato sopra  nel file della relazione che devo consegnare. Seleziono il testo “abusivo”, sto per cancellarlo, poi ci ripenso…

Perché voglio riutilizzarlo per…

Il primo contest pendolare-assurdo!

Che funziona grossomodo così:

Il Candidato o la Candidata descriva brevemente i protagonisti della sovra-citata conversazione specificando, per ognuno: genere, fascia d’età, carattere, abbigliamento, vizi e virtù, passato, presente, fututo e qualsiasi altra informazione egli-ella ritenga opportuna per definire il personaggio.

La descrizione potrà essere riportata come commento a questo post o come post nel proprio blog, qualora il Candidato o la Candidata ne possieda uno.

Non è prevista scadenza.

Non importa “indovinare” esattamente chi erano i protagonisti (non si gioca mica a “indovina chi?”, non siamo mica un blog di gossip!), ma divertirsi a inventare una situazione realisticamente assurda o assurdamente realistica.

Ovviamente non si vince e non si perde niente… 😀

2012-08-29 17.38.58

Il thriller del tabellone

Con questo post festeggio il primo compleanno del blog, evviva! Non credevo di avere la costanza e il materiale  per scrivere con continuità per un anno intero e invece… eccoci qua! Per l’occasione ho anche cambiato look al blog: via il vecchio abito bianco e nero, ho scelto  un rilassante tema azzurrino, anche perché, come si usa dire da queste parti, “il celeste tutti i brutti li riveste” 😀 Grazie a tutti quelli che in questo anno hanno letto e apprezzato le mie storielle, spero che continuerete! Buona lettura!

Sono ormai diversi anni che, quasi quotidianamente, mi trovo ad avere a che fare con treni, orari e coincidenze, ma a certi fenomeni ancora non riesco ad abituarmi. Soprattutto, non riesco a comprenderli, perché, ne sono sicura, deve esistere una spiegazione logica, una motivazione, ma io non ci arrivo proprio.

Sto parlando della segnalazione dei treni in partenza e dei relativi binari nel tabellone dell’orario della stazione di Firenze – Santa Maria Novella, non so se è così anche nelle altre grandi stazioni.

Fino a qualche anno fa sopra alla scritta Salone Biglietti  della stazione troneggiava un enorme tabellone meccanico. Quando si aggiornava, riga per riga, le lettere della destinazione e le cifre dell’orario iniziavano a girare vorticosamente con un delicato trrrrrr che progressivamente trasformava Milano C.le in Pistoia, Pistoia in Roma Termini, Roma Termini in Pontassieve ecc.. C’era suspance, sembrava di essere alla Ruota della Fortuna.

La stazione si sta modernizzando: al posto delle sale d’attesa sono  spuntati un negozio di abbigliamento e il Club Eurostar, le severe geometrie del razionalismo italiano, di cui la stazione è un celebre esempio, sono sempre più interrotte da scritte fluorescenti. E anche il tabellone meccanico è stato sostituito da uno digitale, con le scritte arancioni che si aggiornano velocemente e in silenzio.

Questi ammodernamenti non hanno però risolto uno dei problemi che mi ha generato in molte occasioni un po’ d’ansia. La situazione tipica, che di solito si verifica nei giorni in cui non puoi proprio arrivare tardi, in cui hai gli orari strettissimi o appuntamenti importanti, è la seguente: il treno è previsto in partenza tra dieci minuti ma ancora sul tabellone il binario non è indicato, non è neppure indicato alcun ritardo. Passano lentissimamente i dieci minuti, lo sguardo oscilla tra l’orologio e il tabellone, come quello degli spettatori di una partita di tennis. Allo scadere dei dieci minuti, a fianco del nome del treno, sul tabellone, appare una cifra, un “5”, non in corrispondenza del binario però, bensì nella colonna che riporta i minuti di ritardo. L’attesa si prolunga e la tensione cresce. Passati i cinque minuti, ovviamente non succede niente e inizi a fare ragionamenti su dove possa essere andato a finire il treno, vai al tabellone cartaceo per trovare una prova tangibile che il treno esiste, ti ripeti ossessivamente in testa: “Eppure l’orario è quello giusto, eppure oggi non c’è sciopero, ho controllato, eppure oggi sono stata attenta…”

E inizi a pensare a possibili alternative e a calcolare i tempi necessari per cambiare strategia. Intanto i minuti di ritardo diventano dieci, e poi quindici. Per scaricare la tensione inizi a giocherellare con il telefono, a sfogliare il giornale, a spostarti avanti e indietro per la stazione, seguendo quella specie di corsie virtuali create sul pavimento alternando le lastre di marmo rosso a quelle di colore bianco. Appena ti distrai per un attimo, ecco che sul tabellone appare finalmente il numero del binario, ovviamente è dalla parte opposta rispetto a quella in cui ti trovi adesso. E, giusto per dare il colpo di grazia al sistema nervoso, appena aggiornato il binario, inizia a lampeggiare la lucina che indica la partenza imminente.

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