Pendolare onirico

Viaggio in compagnia di una famigliola chiassosa: marito, moglie, bimbo 1 e bimbo 2, di circa due e quattro anni, stimo. Marito e moglie discutono su dove sia meglio mettere il passeggino. I bambini litigano e si becchettano, mettendosi a piangere alternativamente. Mi metto a leggere, per distrarmi.

La tua intelligenza non ha ali. Vai dietro a Comte e a tutta la sua viscida prole di ruffiani e leccapiedi. Parli della tua posizione nell’universo con una sicumera strabiliante. Dai l’impressione di pensare che un misero individuo come te possa avere una presa salda sull’Assoluto. Eppure stanotte andrai a letto e sognando darai vita a uomini, donne, bambini del passato e del futuro. Come fai a sapere che in questo istante, con tutta la boria che ti viene dal pensiero contemporaneo, non sei solo una creatura di un sogno sul futuro nella mente, poniamo, di un filosofo del Cinquecento? Come fai a sapere che non sei solo una creatura di un sogno sul passato di un hegeliano del 2500? Come fai a sapere, ragazzo, che non svanirai nel XVI o nel XXVI secolo nel momento in cui chi ti sta sognando si sveglierà?*

Il bimbo 1, non so come, si è arrampicato sullo schienale del sedile e ora incombe pericolosamente sulla mia testa. Il bimbo 2 sta gridando, cercando di imitare non so quale animale. Marito e moglie baloccano distrattamente con i rispettivi smartphone.

Mi viene da ripensare al brano appena letto. Se è vero che tutto questo è un’illusione, se è solo la proiezione di un sogno di qualcuno, nel passato o nel futuro, o in un mondo parallelo, questo “qualcuno” deve aver mangiato molto pesante, stasera a cena…

* Edward Page Mitchell, “L’orologio che andava all’indietro”, nella raccolta “Viaggi nel tempo”,  pag. 119-120, edita da Einaudi.

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Alfonso Perfetti

In un tiepido pomeriggio autunnale, un temporale improvviso e piuttosto irruento sorprende noi pendolari del treno delle diciassette e diciotto durante il tragitto tra i vari luoghi di lavoro e studio e la stazione. Chi può si ripara con gli immancabili ombrellini pieghevoli, ma dispettose folate di vento si divertono a rovesciarli e a romperli. C’è chi si protegge i capelli con un foulard, chi affretta il passo, chi si mette a correre, chi si rifugia nel rientro di un portone o di un negozio. Quelli che hanno avuto la fortuna di incrociare uno degli affollatissimi autobus, si ritrovano fermi, imbottigliati nel traffico, intrappolati in uno spazio ridottissimo in cui l’aria è irrespirabile a causa dell’umidità.

Arrivati alla stazione, siamo tutti piuttosto stravolti: scapigliati, esausti, con le scarpe e i piedi fradici, le borse e i capelli gocciolanti. Tutti, tranne lui: Alfonso Perfetti. Non si sa come abbia fatto, ma lui, sul treno, sale impassibile e impeccabile, come sempre.

In effetti, è difficile sorprendere Alfonso Perfetti. La mattina, appena si alza, controlla con una delle sue app installate nel telefonino le condizioni del meteo e sulla base delle previsioni decide cosa indossare. Prima di uscire da casa, un’altra app lo informa se il treno è o meno in orario. Se ci fossero ritardi eccessivi o cancellazioni, un’altra app ancora verifica il percorso ottimale e gli orari degli autobus. Se non ci fossero soluzioni a questo punto Alfonso prenderebbe la propria auto, non prima di aver consultato, tramite un’apposita app, le condizioni del traffico e l’eventuale presenza di lavori o rallentamenti lungo il percorso.

Il suo aspetto è sempre impeccabilmente, ma sobriamente, elegante, dalla punta delle scarpe alla sommità dei capelli. Non mancano mai giacca, cravatta, e camicia immacolata e perfettamente inamidata, anche nel pomeriggio, dopo una giornata di lavoro.

Porta con sé uno zainetto leggero, dalle forme stondate, ergonomiche, che contiene un piccolo ma potente computer portatile e un taccuino nero. In tasca, non manca mai il fedele smartphone, con tutte le sue app. Ha sempre il modello di punta, quello più aggiornato, con il processore più veloce, la memoria più capiente, lo spessore più sottile, la forma più elegante.

Gli piace tenere tutto sotto controllo: a casa, al lavoro, e anche nel suo viaggio pendolare. Alfonso si prepara sempre un pochino in anticipo all’arrivo a destinazione del treno: gli piace essere il primo a scendere e tirare la maniglia per aprire la porta della carrozza. Nei treni più nuovi, quelli in cui ci sono gli schermi che riportano le principali condizioni del viaggio, tiene d’occhio i dati, la velocità in particolare, e la confronta con quella che gli fornisce una delle sue app.

A un primo sguardo, potrebbe sembrare una persona arida di sentimenti, che sta meglio con chip e processori che con i suoi simili, una specie di cyborg, uno che vede il mondo attraverso una matrice di pixel. Ma è davvero così?

Quando non digita freneticamente sulla tastiera del piccolo computer, Alfonso ama leggere. Anche per questa attività è stato tentato dalla tecnologia: ha provato gli ebook sul tablet, poi è passato all’ebook reader, ma la soluzione digitale non lo ha convinto e alla fine è tornato al cartaceo. Legge soprattutto i gialli classici, quelli in cui la vittima muore nelle prime pagine e l’investigatore per tutto il tempo raccoglie indizi e mette insieme i pezzi del puzzle, fino a scovare l’assassino, che si sfoga in un’accorata confessione, per permettere al lettore di capire. Alfonso è piuttosto severo nel giudicare le sue letture. Di solito, già dopo pochi capitoli si fa un’idea di cosa è successo. Se, alla fine, la sua teoria è confermata, liquida l’opera come prevedibile e banale, se, invece, la vicenda prende una piega per lui inaspettata, la critica di essere inverosimile. Alla fine di ogni volume annota questi giudizi con cura, con una delle sue app, insieme al titolo e l’edizione, la data d’inizio e fine lettura.

Il pomeriggio, Alfonso Perfetti arriva alla stazione sempre dieci minuti prima della partenza del treno, si ferma al bar e gusta un caffè decaffeinato e un muffin al cioccolato. Non è chiaro se gli piaccia di più il muffin o la barista. Ora che ci penso… ecco perché non è stato sorpreso dal temporale, oggi!

Difficilmente Alfonso Perfetti perde il controllo della situazione, ma a volte, molto di rado a dire il vero, cede a qualche segno di stanchezza. Oggi pomeriggio, per esempio, verso la metà del viaggio di ritorno in treno, Alfonso sembra quasi ipnotizzato dallo scorrere all’indietro delle case, degli alberi e delle colline fuori dal finestrino. Lascia vagare liberi i pensieri, nella sua testa è come se fosse apparso quel cerchietto che gira al centro delle schermate dei computer quando sta caricando un programma molto pesante. Solo dopo qualche istante si ricorda di essere sul treno e si rende conto di avere quasi metà dell’indice della mano destra dentro la corrispondente narice. E solo allora si accorge della pendolare svampita, quella che arriva sempre tardi, che, seduta poco più avanti, lo osserva. Ha in mano quel suo cellulare dai colori pacchiani… non l’avrà mica fotografato mentre aveva le dita nel naso? No, dai, è troppo imbranata, neanche le saprà fare, lei, le foto con il cellulare. Non sembra molto avvezza alla tecnologia in effetti. Ecco che ricomincia a leggere il suo libro.

Scorrono lenti i minuti, siamo quasi arrivati. Alfonso, con il solito anticipo, si avvia verso l’uscita. Il treno si ferma, la porta si apre, i passeggeri scendono. Alfonso è il primo, come sempre. La pendolare distratta no, ha fatto tardi con il suo libro, la vede dal finestrino che si dispera per aver perso la fermata. Quando è lei ad accorgersi che lui la sta fissando, dal marciapiede, la disperazione le si trasforma improvvisamente in un sorrisetto ironico e beffardo. Il treno riparte, lei lo saluta agitando il braccio, mostrando fiera il suo cellulare pacchiano…

temporale

Amelia Svampitelli

Sono le sette e undici, il treno si avvicina alla banchina del binario tre. I viaggiatori tutti in fila, lungo il binario, si avvicinano – senza oltrepassarla – alla linea gialla, in modo coordinato, quasi sincrono. Un’immagine regolare, statica, se non fosse per quella sagoma che arranca in modo sgraziato su per le scale del sottopassaggio.

Eccola, Amelia Svampitelli, in ritardo come ogni mattina, che rischia di perdere il treno.

Forse, penserete, è rimasta bloccata nel traffico o non ha trovato il parcheggio? No, perché abita a cinque minuti a piedi dalla stazione e non deve prendere la macchina.

Forse è una di quelle che ottimizza i tempi, come il ragionier Fantozzi nella famosa scena dell’omonimo film, per posticipare più possibile il suono della sveglia? No, lei si sveglia un’ora prima della partenza e ha tutto il tempo per prepararsi con comodo.

Forse ha una famiglia numerosa da gestire, bimbi da preparare per la scuola, all’asilo, dalla nonna? No, Amelia non ha figli.

Allora? Perché si riduce ogni mattina all’ultimo minuto? Amelia, semplicemente, “si perde”. No, non soffre di una strana forma di amnesia, non è che perde la strada da casa sua alla stazione, perde solo di vista per un po’ quello che deve fare e lo mette in secondo piano rispetto a quello che le va di fare.

Tipicamente, quando mancano dieci minuti alle sette, è già pronta: potrebbe uscire, arrivare con calma alla stazione, prendere un caffè al bar, anche. Poi succede che, proprio quando sta per aprire la porta, si accorge che le piantine sulla mensola hanno bisogno di acqua e deve assolutamente innaffiarle.

Oppure si ricorda che ha finito di leggere il libro che ha in borsa e si mette a scegliere quale iniziare dalla pila che ha sul comodino, ne prende uno, si avvia, poi cambia idea, ne prende un altro, legge la trama e la biografia dell’autore sulla quarta di copertina, poi ci pensa un po’ su e riprende quello che aveva scelto prima.

Oppure a un tratto non le piace più l’ordine delle tazze che ha sulla mensola della cucina – ha una piccola collezione di tazze, ne compra una ogni volta che fa un viaggio – e si mette a risistemarle.

Insomma, ogni mattina l’orologio per qualche misterioso motivo salta direttamente dalle sei e cinquanta alle sette e cinque. Amelia solo a quel punto si sveglia, prende le sue cose in fretta e furia e corre alla stazione.

Quando sale in treno ha ancora il fiatone della corsa. La prima parte del viaggio la passa a controllare di aver preso tutto e a chiedersi con preoccupazione se ha dato o no le mandate alla porta di casa o se ha chiuso la finestra del bagno. Poi piano piano si tranquillizza e inizia a leggere.

Ad Amelia piacciono le agende, soprattutto quelle colorate con la copertina morbida e gli anelli, ne ha sempre una con sé in borsa, ma non le piace organizzarsi e pianificare le cose. Non le piace sentirsi vincolata in una struttura precostituita, neppure quando è lei a definirla. Le piace molto di più sorprendersi e improvvisare. Sarebbe bello poter vivere così, ma per una donna che ha un lavoro dipendente e che per di più è costretta a quotidiani viaggi pendolari in treno, non è per niente semplice.

Quando passa il controllore a verificare i biglietti, Amelia impiega sempre un po’ a trovare il suo nella borsa e deve chiedergli di pazientare. Non è particolarmente disordinata, ma la sua borsa è veramente piena, straripante di cose e trovare quella che serve al momento giusto non è mai banale. Quando le serve la tessera del supermercato, trova il telefono; quando cerca il telefono, trova le chiavi di casa; quando cerca le chiavi di casa, trova il volantino che le hanno dato alla stazione.

Amelia passa il tempo del viaggio a leggere o a guardare il panorama fuori dal finestrino. Le piacciono i colori caldi dell’autunno, le fredde nebbie invernali, che trasformano tutte le cose in flebili ombre, la natura che rinasce a primavera, i campi di girasoli in estate. Le piacciono le forme bizzarre delle nuvole, i colori sorprendenti dell’alba e del tramonto, il ticchettio della pioggia sulle falde dell’ombrello, le gocce che si inseguono sul vetro del finestrino, in diagonale, quando il treno va veloce.

Recentemente si è comprata un bel telefonino moderno, che ha subito accessoriato con una cover molto colorata e piena di brillantini. Non le interessa tanto che sia super-connesso e che le consenta di accedere alla posta elettronica e ai vari social network. Le piace usarlo soprattutto per fotografare il paesaggio fuori dal finestrino, anche se raramente ottiene immagini decenti: sono quasi sempre mosse, storte, e c’è sempre qualche elemento – un paletto, un semaforo, un cartello- a disturbarle. Va troppo veloce, questo treno, non potrebbe rallentare un po’ quando ci sono degli scorci belli da fotografare?

Non lega molto con gli altri viaggiatori, preferisce starsene per conto suo, tenere tutto per sé il tempo del viaggio. A volte le capita di viaggiare con una collega, in quei casi è costretta a discorrere sulle beghe dell’ufficio e non le piace molto, visto che in ufficio, poi, ci dovrà stare un sacco di ore: perché bisogna anticipare o prolungare tutte queste seccature?

La incuriosisce molto quel pendolare solitario e brontolone che trova ogni mattina, sempre nello stesso posto. Una volta gli si è seduta di fronte per spiare il titolo del librone vecchio e ingiallito che stava leggendo, ma lui  l’ha guardata malissimo e lei non ci ha più riprovato.

Ed eccoci, durante il viaggio di ritorno, in un qualsiasi pomeriggio autunnale. Amelia è come sempre immersa nella lettura, sta per finire un romanzo che l’ha veramente appassionata. Si accorge che il pendolare solitario e burbero si è alzato per prepararsi alla fermata. È ancora presto, pensa. Lui, preciso e rigoroso com’è, si prepara sempre con molto anticipo, e poi oggi è pure molto scocciato perché si sono sedute nei posti vicini due ragazze che sicuramente non gli piacciono, con i capelli a strisce fucsia e i piercing nel naso. Forse ce la faccio a finire il capitolo: mi manca solo una pagina e mezzo.

Il treno rallenta, Amelia continua a leggere. Il treno si ferma. Manca ancora meno di mezza pagina, ormai deve assolutamente scoprire come va a finire. Le porte si aprono. Amelia, con un sospiro, finisce il libro, lo rimette in borsa, le è piaciuto veramente tanto. Le porte del vagone si chiudono. Amelia si alza, si avvia verso l’uscita, ancora emozionata. Il treno riparte. Amelia dovrà scendere alla fermata successiva e tornare indietro.

2015-09-30 08.09.29

Dimitri Biasimov

Dimitri Biasimov è quello che può essere definito un signore distinto. Canuto, magro e longilineo, sarebbe ancora più alto se la schiena non fosse un po’ ingobbita, probabilmente dai numerosi decenni passati chino su una scrivania. Sobriamente elegante e impeccabile nell’abbigliamento, predilige i colori smorti.
È un tipo molto abitudinario, Dimitri. Prende sempre il treno delle sette e dodici la mattina e quello delle diciassette e diciotto il pomeriggio. Da quanto tempo? Non lo so io, non lo sanno i miei compagni di viaggio con i quali occasionalmente scambio qualche parola, sicuramente da molto prima che iniziasse la mia avventura pendolare, ma non mi stupirei se fossero diversi decenni. Sale sulla seconda carrozza, verso la testa del treno, sceglie un posto nella parte centrale della carrozza, possibilmente evitando di avere altri viaggiatori seduti a fianco o di fronte, possibilmente sul lato destro, guardando nella direzione di marcia, per non avere il riflesso del sole. Si accomoda sul sedile dalla parte del finestrino e posa una consunta borsa di pelle sul sedile di fianco al suo, per scoraggiare eventuali viaggiatori a sedervisi. Prende dalla borsa un libro dalla copertina di tela marrone, con le pagine ingiallite e i caratteri piccolissimi, inforca un paio di occhialini e inizia a leggere. Continua a leggere fino all’arrivo, cercando di non distrarsi. Non tollera alcuna alterazione delle sue quotidiane abitudini e, se capita qualche evento a perturbare il suo viaggio, lo vedi subito che inizia ad agitarsi e a borbottare sottovoce. Un brontolio concitato e per niente amichevole.
Non sopporta il caldo dell’estate, il freddo dell’inverno, l’umidità dell’autunno, i pollini della primavera. Se mi chiedeste qual è la sua situazione metereologica ideale, avrei non poche difficoltà a rispondervi.
Non sopporta quelli che non pagano il biglietto: lui, in tutti gli ormai numerosi lustri di pendolarismo, non è mai stato neppure una volta fuori regola con l’abbonamento. Non sopporta le inutili discussioni che nascono quando il controllore li scopre: non avete pagato il biglietto? Pagate la multa e smettetela di discutere.
Non sopporta i ragazzetti chiassosi che vanno a scuola. Sono inutilmente confusionari, non fanno altro che spingersi e rimbalzare da un posto all’altro del vagone con quegli zaini ciondolanti.
Non sopporta quei due tizi sempre in giacca, cravatta, auricolare e occhiali da sole, anche se il sole non c’è: sono sempre alle prese con conversazioni telefoniche complicatissime che secondo loro sono di vitale importanza, vista la concentrazione e il piglio sicuro con cui le conducono, ma di cui a Dimitri non interessa la benché minima parte.
Non sopporta le signore ciarliere, quelle che passano il tempo del viaggio a discorrere delle prodezze dei propri figli, sicuramente degli adolescenti brufolosi come quelli che lo infastidiscono tanto, di ricette che trasudano grassi e colesterolo, di saldi e negozi convenienti.
Non sopporta il profumo intenso e dolciastro con cui si cospargono ogni mattina in modo smisuratamente esagerato e con cui infestano l’intero vagone.
Non sopporta in generale gli odori del vagone: le esalazioni umane di ogni tipo, particolarmente concentrate in estate, il tanfo insopportabile che ogni tanto proviene dalle toilette, gli aromi delle pietanze che qualche scellerato viaggiatore consuma durante il viaggio.
Non sopporta quelli che giocano a quegli inutili giochini sui cellulari e sui tablet, tenendo la suoneria a volume elevato, costringendo tutta la carrozza ad ascoltare quelle musichine sciocche e infantili.
Non sopporta quelli che mettono i piedi sul seggiolino di fronte, quelli che dormono con la bocca spalancata e russano pure, in generale non sopporta chi non mantiene, durante il viaggio, una postura e un atteggiamento composti e rispettosi, come fa lui.
Nel suo mondo ideale, vorrebbe avere ogni giorno uno scompartimento tutto per sé, o almeno, abbastanza vuoto da non dover vedere, né sentire, dal suo posto, nessun altro. Gli succede molto raramente, di solito deve condividere il viaggio con altre persone irrispettose, rumorose e maleducate. Perché lui non sopporta niente e nessuno che disturbi la sua lettura. Una situazione che, purtroppo per lui, invece, accade piuttosto di frequente. E allora il suo umore, tendenzialmente grigio anche in situazioni ottimali, s’incupisce, e inizia a borbottare, con un volume di borbottio proporzionale al livello di fastidio. È quasi divertente, vederlo da fuori: sembra uno di quei vecchi trattori con il motore scoppiettante che ogni tanto emette uno sbuffo.
Come oggi pomeriggio: a poche fermate dall’arrivo i due sedili di fronte al suo vengono occupati da due ragazze con i jeans tutti strappati, i capelli scompigliati, con ciocche di colori improbabili e i visi ornati da numerosi piercing. Quella seduta lungo il lato del corridoio mastica una gomma, roteando la mascella come un bovino al pascolo. A intervalli regolari produce con la gomma palloncini che riempie d’aria fino a farli scoppiare rumorosamente. Quella davanti a lui siede in modo scomposto, tiene le gambe sgraziatamente accavallate e ad un tratto, con la punta dello scarpone borchiato, sfiora la piega perfetta dei pantaloni di Dimitri. Già vistosamente infastidito dalla presenza per niente gradita, a questo punto il canuto pendolare inizia a borbottare. Capto frammenti delle sue lamentele “Ah questi giovani… ma l’educazione non gliela insegnano più… il rispetto per le persone anziane… se l’avessimo fatto noi, ai nostri tempi… io alla loro età…” e così via. Le due, invece, auricolari alle orecchie con musica a tutto volume, sguardo fisso sui rispettivi telefonini, non lo degnano della minima attenzione. Vedo che sta per perdere veramente la pazienza, il volume del borbottio aumenta, come una pentola sul fuoco che inizia a bollire. Chissà, oggi forse lo vedremo perdere le staffe! Ma per fortuna il treno inizia a rallentare, Dimitri si alza e sempre borbottando si avvia verso l’uscita. Anche per oggi il suo viaggio pendolare è terminato.

2015-09-02 17.52.06

Libri in viaggio

Viaggio sempre con dei libri. Mi scelgo un compagno per viaggiare, sempre, sempre, sempre. Avere un libro che ti accompagna è meraviglioso, è il miglior compagno di viaggio: sta zitto quando non vuoi che parli, parla quando vuoi sentir dire qualcosa, ti dà senza chiedere. Io trovo che i libri siano una grande e stupenda compagnia. Se lei viene nella mia biblioteca li vede, i miei veri grandi amici sono lì.

Tiziano Terzani.

Sono le parole con cui inizia un bellissimo volume dedicato al giornalista e scrittore fiorentino che mi è stato regalato a Natale, che, per la sua mole, non posso portare con me in borsa e che per questo era rimasto indietro tra le mie letture.

Anche se Tiziano nel testo si riferiva probabilmente ai suoi meravigliosi viaggi in Asia, per me queste parole valgono anche per i  quotidiani viaggi pendolari… 🙂

2015-07-11 05.27.40

di pirati, corsari, bucanieri e guasti temporanei all’infrastruttura

Sono già alcuni minuti che cammino, su e giù, lungo la banchina in attesa del treno, quando la voce meccanica dall’altoparlante annuncia che il treno che sto aspettando “arriverà con un ritardo previsto di dieci minuti a causa di un guasto temporaneo agli impianti di circolazione”. Mmmh… la cosa non mi convince molto, di solito quando ci sono guasti di questo tipo i minuti di ritardo sono ben più di dieci, ma cosa posso farci? Mi rassegno a prolungare l’attesa. Dieci minuti sono troppo pochi per andare al bar fuori dalla stazione a prendere qualcosa di caldo, ma sono troppi per starsene lì in piedi ad aspettare. Nell’ultima panchina c’è un posto libero, accanto a una ragazza alle prese con il suo smartphone. Mi siedo, prendo il libro dallo zaino e riprendo la lettura dal punto in cui l’avevo lasciata, ieri sera.

Il libro è “I segreti di Londra” di Corrado Augias. Ho scelto questo saggio come lettura di oggi, perché ho recentemente soggiornato per alcuni giorni nella capitale britannica, che non avevo mai avuto occasione di conoscere “per bene”, e ne sono rimasta davvero affascinata. Dello stesso autore avevo già letto “I segreti di Parigi”, e proprio grazie a quel libro avevo avuto occasione di scoprire e visitare luoghi veramente interessanti, al di fuori delle solite mete turistiche.

Stamani parto da pagina 164, dal capitolo intitolato “Corsari, pirati e bucanieri”. Fin dall’inizio la narrazione è interessante. Chi mai si ricordava le definizioni e le differenze tra corsari, bucanieri, filibustieri, farabutti?

Stanno ormai passando i dieci minuti di ritardo previsti, quando la voce meccanica dell’altoparlante aggiorna la previsione a venti. I miei compagni di viaggio iniziano a spazientirsi: c’è chi cammina nervosamente avanti e indietro, chi inizia a brontolare, chi scende nel sottopassaggio per controllare il monitor, chi telefona per avvisare del ritardo, ecc.. Anche a me quest’annuncio provoca un certo disappunto: se lo avessi saputo subito che il ritardo era così consistente sarei potuta andare al bar ad aspettare, almeno lì l’attesa sarebbe stata un po’ più confortevole. Che faccio, ci vado ora? Ma no, per dieci minuti non ne vale la pena. Riprendo la lettura.

Inizio a figurarmi in un’isoletta dei Caraibi: spiagge bianchissime, vegetazione lussureggiante, acque cristalline su cui galleggia una grossa nave dall’aspetto sinistro, dal cui albero maestro sventola l’inconfondibile Jolly Roger.

Sulla nave, poco a poco si materializzano figure dall’aspetto affascinante e al tempo stesso grottesco, oscuro e minaccioso, ma variopinto, uomini capaci di grandi avventure e gesti ignobili e crudeli. Sono catturata dalle loro imprese, le avventure, i viaggi intorno a un mondo nuovo, enorme rispetto a quello in cui viviamo noi, in buona parte ancora sconosciuto e inaccessibile. E, ancora, gli attacchi per depredare navi cariche di tesori a loro volta sottratti dalle terre appena scoperte nel continente americano, le liti, le risse, le tempeste in mare, i naufragi, le condizioni di vita precarie.

E intanto i minuti di ritardo diventano trenta.

Conosco e ritrovo personaggi immaginari e realmente esistiti: Barbanera, Francis Drake, il Corsaro Nero, Edward Low, capitan Kidd… Leggo con interesse i riassunti delle loro vite e delle rocambolesche imprese.

Quaranta minuti… Ma dai, così non si fa, però, non possono centellinare così le informazioni! Ma come si fa? Le telefonate di aggiornamento a colleghi, compagni di scuola e familiari si infittiscono e si arricchiscono di epiteti coloriti, un gergo quasi marinaresco, quasi come quello dei protagonisti delle storie che sto leggendo. Il volume delle lamentele nelle conversazioni lungo la banchina aumenta, non è semplice rimanere concentrati nella lettura.

Leggo delle tecniche di attacco, delle armi utilizzate, delle regole di comportamento. Una vita non semplice, la loro. Se un pirata veniva giudicato colpevole di un furto, ad esempio, veniva “sbarcato su un’isola deserta con una bottiglia d’acqua, un fucile e qualche pallottola”. In caso di disobbedienza o ammutinamento erano previsti vari tipi di punizioni, fustigazioni, torture, tra cui il temutissimo “giro di chiglia”.

Cinquanta minuti, sessanta…

E alla fine sono poco meno di settanta i minuti passati su quella panchina a leggere e ormai mi manca solo mezza pagina per finire il capitolo del libro, quando finalmente appare all’orizzonte il tanto atteso vascello… ehm… treno, tra i brontolii e gli improperi degli ormai esasperati pendolari superstiti.

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Qualunque sia la verità…

“Qualunque sia la verità”, diceva lui, “essa deve dipendere da una bizzarra e rara combinazione di eventi, per cui non dobbiamo esitare ad ammettere per veri tali eventi per arrivare a una spiegazione. In mancanza di dati, dobbiamo abbandonare il metodo analitico o scientifico d’indagine e dobbiamo usare quello sintetico. In altre parole, anziché partire da eventi conosciuti e dedurre da essi ciò che è accaduto, dobbiamo fabbricare una spiegazione ipotetica che sia però compatibile con gli elementi che conosciamo. Poi metteremo a confronto la nostra spiegazione con ogni nuovo fatto che possa emergere. Se tutti i fatti s’incastreranno, vorrà dire che probabilmente siamo sulla strada giusta; e con ogni nuovo fatto questa probabilità aumenterà in progressione geometrica finché la prova non diventerà definitiva e convincente.”

Dal racconto “L’uomo con gli orologi” di Sir Arthur Conan Doyle.

Vi chiederete, ma che c’entra questa citazione con la mia  vita da pendolare? C’entra, perché l’ho ripresa da questo libro:

Delitti in Treno, AA.VV., Mystery Collector’s Edition, Polillo Editore

che ovviamente sto leggendo durante i miei quotidiani viaggi in treno 🙂

delittiintreno