La famiglia Addams prende il treno

Contrariamente ai post precedenti, i cui protagonisti sono inventati (anche se ispirati dalla quotidiana realtà del treno pendolare), quelli di cui vi sto per raccontare li ho incontrati davvero. Eh, sì… spesso la realtà supera la fantasia.

Viaggio di ritorno in un pomeriggio autunnale ancora tiepido: sono alla stazione, lungo il binario uno, aspettando il treno per tornare a casa. Mi godo gli ultimi raggi del sole ormai basso sull’orizzonte. Intorno a me il solito brulicare di viaggiatori: chi parte, chi arriva, chi aspetta qualcuno che sta per arrivare, chi saluta qualcun altro che sta per partire, chi, semplicemente, guarda passare i treni, come il nonno in bicicletta con il nipotino.

Non mi accorgo della loro presenza fin quasi all’arrivo del treno.

“Salutate la nonna, forza, bambini!”

“Ciao nonna!”

Il gruppetto è costituito da una mamma, una nonna e due bambini intorno ai sette-otto anni, stanno aspettando lo stesso treno che prenderò io. Eccolo che arriva. Si dirigono verso la stessa porta che ho scelto io.

“Aspettate, bambini, rispettate le regole: prima si lasciano scendere i viaggiatori in arrivo, poi, quando è il nostro turno, con calma, saliamo, capito?”

Salgono appena prima di me e si dirigono verso sinistra. Io invece, per abitudine, scelgo la parte opposta del vagone, che, come al solito, è quasi vuota. Il tempo di sistemarmi nel seggiolino ed eccoli di nuovo:

“Venite di qua, che è più libero, si sta meglio.”

Si vanno a sedere nei posti a fianco al mio, dall’altra parte del corridoio. Poco male, penso, mi sembra una famigliola simpatica e, tutto sommato, tranquilla, nonostante l’aspetto vivace dei due piccoli. Non devono prendere spesso il treno, immagino, si guardano intorno pieni di curiosità e interesse, facendo un sacco di domande. La mamma, giovane e dinamica, è sempre pronta a rispondere con calma.

Riprendo la lettura del mio libro.

Dopo un po’, con la coda dell’occhio vedo i tre concentrati su un telefonino: stanno guardando delle foto, i bambini sembrano molto presi, devono essere molto interessanti.

“Mamma, cos’è questo?” chiede il più piccolo.

“Non lo riconosci? È un fegato!”, risponde la mamma.

“Io lo avevo riconosciuto, lo vedi? È sezionato!”, precisa il fratello maggiore, con un piglio saputello.

L’argomento insolito della conversazione dei tre mi distrae dalla lettura.

“E questo? Lo riconoscete?”, interroga la mamma.

“Sìììì!” rispondono i due, in coro. Tocca al piccolo, questa volta, dimostrare le proprie competenze: “È un cervello!”

Si avvicina per vedere meglio.

“Ma è umano?”

“No,” li tranquillizza la mamma, “è di una cavia!”

Continuano a far scorrere le foto sullo schermo del cellulare.

“Guarda, due gemelli siamesi! Come sono strani!”

Il piccolo, che non vuole essere da meno:

“Una volta ho visto un agnellino con due teste…”

Alla mia sorpresa iniziale si aggiunge un certo disgusto e anche una leggera inquietudine… La conversazione è troppo insolita per non continuare a seguirla. Dopo la parentesi sui gemelli siamesi, si apre una discussione sulle tecniche di imbalsamatura e su come conservare cose raccapriccianti sotto spirito. Il tutto, con una naturalezza tale che a malapena mi accorgo che, soltanto quando siamo quasi all’arrivo del treno, gli argomenti tornano a essere più “consueti”.

“Basta con le foto, bambini! Piuttosto, li avete fatti i compiti?”.

Ed è solo qui che, effettivamente, vedo i piccoli spaventarsi.

“Sì, mamma, ma le moltiplicazioni sono difficili!”

“…E la nonna non le spiega bene, sembrano sempre facili, a lei, ma sono difficili!”

“Va bene, dai, riguardiamole insieme!”

Solo nell’ultima parte del viaggio riesco di nuovo a concentrarmi nella mia lettura, con il sottofondo cantilenante delle due vocine incerte che ripetono la tabellina del sette.

 

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La foto non è pendolare: ritrae un piccolo Alien che ho incontrato a Lucca Comics.

Amanda Ciarlieri (e la sua amica Gianna)

 

L’ultima volta che l’ho vista, e soprattutto sentita, è stata la settimana scorsa. Era stata una giornata particolarmente pesante, al lavoro. Arrivata al treno, non avevo voglia neppure di mettermi a leggere, volevo solo dormire, anche se non lo faccio quasi mai.

Trovato un posto sufficientemente isolato, avevo già sistemato la borsa e lo zaino del computer, allungato un pochino le gambe e iniziato ad abbassare le palpebre, quando…

“Oh, guarda chi c’è! Ci sediamo qui, oggi, va bene?”

Addio, mio caro Morfeo, ho pensato subito, per oggi ti devo lasciare. Sono arrivate Amanda Ciarlieri e la sua amica Gianna.

Cosa posso raccontarvi di Amanda Ciarlieri? Non so proprio da dove partire, e potrei stare qui per ore…

So che qualche tempo fa ha fatto le analisi del sangue e le hanno trovato il colesterolo un po’ alto, quello buono, però.

So che il martedì e il giovedì va a pilates appena torna a casa dal lavoro, ma ultimamente non si trova molto bene, perché hanno cambiato insegnante. Quella che c’era prima era più brava e anche più simpatica, ma adesso è in maternità.

So che qualche domenica fa ha cucinato delle lasagne buonissime, così deliziose che il marito, a cui le lasagne nemmeno piacciono tanto, ne ha prese due porzioni.

Potrei elencarvi tutti i voti a scuola del figlio, e descrivervi i capolavori di bricolage del marito o le prodezze dell’amato cagnolino, un pinscher nano di nome Artù che, a sentire i suoi racconti, è ben più intelligente e abile del Commissario Rex, il pastore tedesco dell’omonima serie televisiva.

Conosco la sua taglia, la marca del colore dei capelli, il numero di scarpe. Che però è  variabile, perché ha il piede un po’ largo non tutti i modelli le vanno bene, soprattutto quelli che calzano stretto.

A volte viaggiare con lei, anche se rumoroso, si può rivelare utile. Per esempio, è aggiornatissima sugli sconti e promozioni di tutte le catene di supermercati. Qualsiasi cosa vi serva, dalla provola al liquido per il tergicristalli, dalla finocchiona DOP ai sacchetti per il freezer: basta chiedere a lei e potrete sapere dove recarvi per ottenere il massimo rapporto qualità/prezzo. Se siete particolarmente fortunati, a un certo punto dalla borsa tirerà fuori un coupon per uno sconto proprio su quel prodotto e ve lo regalerà.

E l’amica Gianna? Beh, lei è la spalla ideale per gli estenuanti monologhi di Amanda: segue, annuisce, ogni tanto interviene, integra, fornisce spunti. Come un satellite, riflette la prorompente luminosità della dialettica della compagna di viaggio.

Perché non ti porti un paio di cuffie? Vi starete chiedendo. Magari di quelle belle grosse, che cancellano il rumore esterno. Eh, no, miei cari, non si può. Perché se Amanda e l’amica Gianna vi scelgono come compagni di viaggio, dovete per forza seguirle, far parte della loro conversazione, verrete coinvolti della discussione, interrogati. E poco importa se volevate approfittare del tempo del viaggio per finire una relazione di lavoro, leggere un libro, fare una partita a Candy Crush Saga sul tablet, dormire. Non vorrete mica passare da antipatici o misantropi, come il vecchio Dimitri, o da bislacche lunatiche, come Amelia, o patologicamente fissati con i vostri congegni tecnologici, come il Signor Perfetti?

Conoscete la teoria dei sei gradi di separazione? Quella che afferma che ogni persona può essere collegata a qualunque altra persona o cosa attraverso una catena di conoscenze e relazioni con non più di cinque intermediari? Ecco, nel caso di Amanda, chiunque si trovi davanti, il grado di separazione è uno, due, al massimo. Perché, chiunque voi siate, qualunque sia la vostra provenienza, lei conoscerà sicuramente un vostro collega, o un genitore di un compagno di scuola dei vostri figli, o il vostro dentista…

Quando la incontrerete, nel primo quarto d’ora lei cercherà di inquadrarvi, si costruirà una sorta di dossier mentale. Digos, FBI, Wikileaks, non sono niente in confronto.

“Ah, lavori all’università?”

“Sì.”

“Allora conoscerai di sicuro Tizio!”

“No, non mi pare di averlo mai sentito…”

“Strano, anche lui lavora all’università…”

“Magari è in un altro dipartimento.”

“Può darsi, lui è nel dipartimento di Biotecnologie.”

“Ah, no, io sono a Fisica!”

“A Fisica?! Allora conosci sicuramente Sempronia!”

“Sì, la conosco, ha l’ufficio accanto al mio.”

“La conosco bene, sai?! Andiamo a pilates insieme… Anche lei ha problemi alla schiena!”

Ed ecco fatto il link , da adesso anche voi sarete un nodo della sua fittissima, super connessa rete di conoscenze.

La settimana scorsa la conversazione aveva preso una piega squisitamente autunnale: si parlava di funghi. Non si era nemmeno finita di sedere che stava già aggeggiando con il telefono cellulare per mostrarci la foto di un bel cestino zeppo di prodotti micologici, procacciato dall’efficiente marito, che la sera precedente era stato a fare una passeggiata nel bosco in compagnia di un amico.

“Ma sono tutti buoni?”, avevo chiesto, perplessa, vedendo l’immagine.

“Ma scherzi?!?! Certo che sono buoni! L’amico di mio marito è esperto, sai!”

“Anche quelli lì? Quelli gialli… Che strano colore, non ne ho mai visti così!”

“Ah, quelli sono buonissimi! Non li ho mai mangiati, ma mi ha detto la Gina, che secondo lei sono anche meglio dei porcini! Stasera ci faccio un bel sughetto e ci condisco gli gnocchi!”

Davanti a tanta sicurezza avevo smesso di replicare. Sarà vero che sono buoni, ho pensato; in fondo, so che i funghi commestibili sono molti di più di quelli che conosco. Anche se, quando vado nel bosco, per essere sicura prendo solo i porcini, se ho la fortuna di trovarne qualcuno.

“Mah, anche a me non sembrano tanto commestibili…”, aveva replicato l’amica Gianna, insolitamente in disaccordo. “Ma tu cosa ci metti, per preparare il sugo?”

Ne era seguita una disquisizione sul mix ottimale di spezie da utilizzare per il sugo di funghi, che ci aveva portato fino alla stazione di arrivo. Visto l’orario, visto il panino frettoloso che avevo mangiato per pranzo, visto l’argomento gustoso della conversazione, mi ero quasi convinta che quegli strani funghi gialli fossero veramente buoni. Se li avessi avuti a disposizione, quella sera, ci avrei fatto anch’io un bel sughetto per la pasta.

Alla fine, non vi so dire se gli strani funghi gialli erano veramente commestibili e se cucinati a dovere erano così deliziosi: da quel giorno, Amanda, non l’ho più rivista sul treno… Uno di questi giorni chiedo all’amica Gianna se ne sa qualcosa…

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Trasgressioni pendolari… più o meno…

Salgo sul treno stremata dal caldo, con qualche minuto di anticipo. Il vagone è ancora quasi vuoto, la temperatura poco gradevole, l’aria condizionata funziona, ma è stata accesa da poco. Scelgo un posto al centro della carrozza, sul lato destro, per evitare il sole, dalla parte del finestrino, come piace a me. Prendo dalla borsa il libro, ma non ho la forza di mettermi a leggere, ancora.
Piano piano lo scompartimento si anima: iniziano ad arrivare viaggiatori occasionali smarriti, turisti disorientati, il gruppetto delle studentesse universitarie e i soliti pendolari che tornano a casa dopo una giornata di lavoro.
I due posti liberi accanto al mio vengono presto occupati da una coppia di signore che a dire la verità non ricordo di aver mai incrociato nei miei viaggi quotidiani, ma che sembrano essere a loro agio con gli spostamenti ferroviari.
Hanno un aspetto curato e sobriamente elegante, nonostante la calura. Acconciatura in ordine, trucco leggero, abbigliamento “bon ton”, scarpe con qualche centimetro di tacco. Quella accanto a me, che per comodità indicherò nel seguito del post come “la Rossa”, è di corporatura un po’ robusta, ma tonica ed energica, l’incarnato leggermente ambrato, capelli di un bel colore purpureo acceso, abiti e accessori scuri. L’altra, che chiamerò “l’Angelica”, seduta di fronte, è più minuta, veste colori chiari, camicetta azzurra su gonna dritta beige, capelli castani tagliati a caschetto. Nonostante una certa dicotomia cromatica, sembrano essere molto in confidenza. Colleghe? Amiche? Parenti? Non so. La Rossa sventola un opuscolo tentando di rinfrescarsi un pochino, l’Angelica sfoglia una rivista senza leggerla.
Cerco con le dita il punto del libro in cui sono arrivata, lo apro e inizio a leggere. Il caldo e la stanchezza mettono però a dura prova la mia concentrazione e basta la minima distrazione a farmi perdere il filo.
Al contrario di me, le mie vicine di viaggio sembrano sveglie e riposate e chiacchierano vivacemente. L’argomento è il resoconto dell’ultimo fine settimana. Ascolto passivamente, non tanto per la curiosità, più che altro per ragioni di prossimità. Apprendo così che la Rossa ha trascorso gli ultimi giorni non lavorativi a casa, dato che il marito era di turno, e si è piuttosto annoiata, l’Angelica invece è andata al mare.
“A cena siamo andati al Paiolo, ma non siamo stati per niente soddisfatti: è diventato un locale caro e i piatti sono tirati via”, racconta all’amica.
“A me invece hanno raccomandato La Perla, quando riusciamo ad andare qualche giorno al mare voglio proprio provarlo”, risponde La Rossa.
Stanno parlando della stessa località balneare che frequento anche io, per cui questo scambio di opinioni tra le due desta in me un certo interesse: qualche dritta sui ristoranti da provare e su quelli da evitare può sempre far comodo! La conversazione prende però presto una piega più personale e… lo so, a questo punto dovrei smettere di ascoltare, ma come faccio? Non ho con me le cuffie e… ok, lo ammetto, sono curiosa come una scimmia!
“E poi, sapessi cosa mi è successo al ristorante!”, aggiunge l’Angelica.
Con un esordio di questo genere, a questo punto, come posso non ascoltare?!
“Al tavolo accanto al nostro c’era un gruppo di giovani. Uno di loro, mi sono accorta, mi guardava…”
“Era un bel ragazzo, alto, un bel fisico, moro, abbronzato, con una barba folta e gli occhiali da intellettuale…”
“E continuava a fissarmi… Tutte le volte che mi giravo verso di lui mi sembrava che mi guardasse… E allora ho cominciato a fissarlo anche io!”
La faccenda si sta facendo interessante!
“E allora lui mi ha sorriso… Mi sembrava una faccia nuova, non ricordavo di averlo mai visto…”,
“E poi?!”, incalza la Rossa
“E allora… gli ho sorriso anche io, non volevo sembrare maleducata! E lui mi ha fatto un cenno con la mano per salutarmi… e io ho fatto lo stesso, anche se non avevo la minima idea di chi fosse!”.
Alla curiosità subentra la fantasia e nel mio immaginario l’incontro al ristorante è solo il preludio di una tormentata storia di passione, di quelle che si leggono sui libri d’estate, di quelle che ti incollano gli occhi alle pagine finché non arrivi alla parola “Fine”.  Lei vive una vita piatta e monotona, una routine che ormai le riserva ben poche sorprese. Ed ecco che all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, appare lui, l’eroe romantico, il bel tenebroso, che la trascina in un vortice di emozioni proibite, a cui lei inaspettatamente si abbandona, stravolgendo la sua vita, i suoi affetti, la famiglia… Una storia struggente, appassionata, trasgressiva…
“Quando siamo usciti mi si è avvicinato e…”
“E?!?!”, incalza la Rossa,
“E?!?!”, incalzo io, mentalmente…
“E sai chi era? Il figliolo della Fernanda!”
Il tono con cui lo esclama in un colpo solo  spazza via tutta la maliziosa aspettativa che si era creata.
“Sì, quello che ha la stessa età del mio, erano tanto amici, da bambini, ti ricordi?! Giocavano sempre insieme, sulla spiaggia, ah, quante ne combinavano…
“Figurati! Me ne ricordo bene! Facevano un gran baccano!”, conferma la Rossa.
“Era magrolino… Saranno quindici anni ormai, ma che dico, almeno venti… Vedessi che bel ragazzo è diventato! Gli ho detto di salutarmi tanto la Fernanda!”
“Ah, la Fernanda, me la ricordo, sì! Ma ne aveva due, di figlioli, vero? L’altro che fine ha fatto?”
“Mi ha detto che si è sposato con…”,
Che delusione… Altro che avance da uno sconosciuto, altro che storia piccante! Il baldo giovane aveva solo  riconosciuto nella signora Angelica la mamma di un vecchio amico di infanzia e aveva “attaccato bottone” unicamente per salutarla e chiederle come stava il figlio!
Il resto della conversazione tra le mie due compagne di viaggio di oggi vira inesorabilmente  verso argomenti molto meno avventurosi, incentrati prevalentemente sull’aggiornamento dello stato di famiglia della signora Fernanda e su altre conoscenti comuni  e perde per me ogni interesse. Pazienza, tanto ormai siamo arrivati…

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Cave canem! Sul treno…

“Sono liberi questi due posti?”

“Certo, prego!”, confermo.

Sollevo lo sguardo dallo schermo del computer portatile. I miei compagni di viaggio di oggi sono una coppia di giovani, entrambi sulla ventina, entrambi di carnagione bianco-grigiastra, entrambi indossano jeans strappati in più punti, maglietta con le maniche tagliate grossolanamente, bianca, larga e sformata, per lui, nera e aderente, per lei. Hanno entrambi numerosi tatuaggi su braccia e collo e diversi piercing in vari punti del viso. Capelli rasati a zero per lui, colore corvino e taglio geometrico per lei, associato a un vistoso trucco nei toni del nero.

La ragazza porta in braccio un fagotto cicciottello, grigio con delle toppe color crema, dall’aspetto morbido, con due occhioni azzurri: un cagnolino che avrà al massimo un paio di mesi, ma già piuttosto grosso. Da adulto sarà un bel bestione, immagino. Ma adesso è veramente troppo carino, non resisto.

“Che bello!”, esclamo, “come si chiama?”

“Igor”, risponde lei, sorridendo, orgogliosa.

“E’ adorabile!”, commento, mentre il piccolo sbadiglia.

È un cucciolo di pitbull, mi spiegano, lo hanno adottato, sono andati a prenderlo oggi e lo stanno portando verso la nuova casa. L’aspetto tenero e indifeso di quel fagottino vellutato stride un po’ con l’immagine non troppo rassicurante degli esemplari adulti di quella razza, ma la dolcezza con cui i due giovani lo accudiscono e le buffe espressioni del suo muso, tra l’assonnato e il curioso, mi fanno credere che non potrà mai diventare molto cattivo, lui.

In pochi minuti, come potrete immaginare, la simpatica bestiola diventa protagonista assoluta e inconsapevole del viaggio di oggi. Nei posti rimasti liberi, intorno a noi, si avvicendano vari personaggi che proprio nell’interazione con il cucciolo mostrano curiose peculiarità per le quali vale la pena spendere un post.

Ve li presento, nell’ordine in cui si sono manifestati.

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#1. L’esperto. Sale nella stessa stazione, qualche istante dopo i due, stessa età e stesso stile nell’abbigliamento. Porta un paio di grosse cuffie appoggiate sul collo. Appena seduto nel posto libero accanto al mio, inizia a dispensare consigli su come crescere al meglio il piccolo Igor. Suggerimenti sull’alimentazione di tipo generico (“Mi raccomando, non gli date assolutamente niente di quello che mangiate voi!”), ma anche molto dettagliati (“La frutta gli fa bene, la mela è ottima, ma, mi raccomando, non gli date la banana, che sennò gli viene la cacca durissima!”), e poi, ancora, sul tipo di guinzaglio, sulla vita sessuale che dovrà tenere, una volta cresciuto, sull’educazione (“Mi raccomando, se fa qualcosa di sbagliato, non lo brontolate, altrimenti si spaventa, piuttosto, mostratevi dispiaciuti, così non lo rifà più!”). E’ per me un sollievo, quando scende.

#2. Il foto-video-amatore. Prende il posto dell’esperto, appena sceso, nel sedile libero accanto a me. Non parla molto bene l’italiano, per cui, per fortuna, i complimenti sono limitati a un generico “Bello… canino… complimenti!”. In compenso, appena seduto, tira fuori dalla tasca un moderno smartphone, chiede il permesso ai padroni con un incerto “Posso?” e scatta un’interminabile serie di foto al cucciolo, cambiando spesso inquadratura e invadendo la mia porzione di spazio. Ma non basta. Esaudito il bisogno di immortalare lo sconosciuto quadrupede, tiene a precisare che “Anche io… uguale… cane… pitbull…” e continua ad aggeggiare con il dispositivo finché non riesce a riprodurre nel piccolo schermo una serie di video (che ovviamente mi metto a sbirciare) aventi come protagonista un molosso di colore grigio scuro e dimensioni ragguardevoli, dall’apparenza piuttosto vivace, che si diverte a fare dispetti al padrone e che viene ripetutamente richiamato e corretto in una lingua a me sconosciuta.

#3. L’addetto alle pulizie. Su questo treno è presente il servizio di pulizia a bordo, quindi, come di consueto, un addetto  percorre il treno avanti e indietro svuotando i contenitori dei rifiuti. Arrivato nella nostra postazione, dopo aver diligentemente compiuto la propria ecologica mansione, con la stessa mano guantata che ha ravanato nei profondi pertugi del cestino, accarezza il musetto del cucciolo, che ringrazia tutto soddisfatto leccandola con la lingua rosata… bleah!

#4. Il virtuoso. Eccoci arrivati al mio personaggio preferito. Un vero artista. Seduto nel gruppetto di sedili di fianco ai nostri, dall’altra parte del corridoio, si esibisce in una sorprendente dimostrazione di human beatbox (non so se è il termine giusto, non saprei come definire questo talento), a base di miagolii, stridii, garriti, cinguettii, schiocchi, fruscii, ronzii, fischi, barriti, latrati, muggiti, pigolii, squittii, cinguettii, friniti, nitriti, grugniti, sibili, ragli, belati e tanti altri versi ancora, incredibilmente realistici. Il suo scopo? Attirare l’attenzione dell’assonnato cagnolino, con scarso successo tra l’altro, visto che il piccolo a malapena si gira verso di lui sbadigliando.

#5. Le americane, dulcis in fundo. Un dulcis fin troppo dulcis, quasi stucchevole, come quelle caramelle troppo colorate che si attaccano ai denti. Un dulcis rosa shocking. Si tratta di sette ragazze, infradito-e-reflex-munite, strizzate in canottiere, pantaloncini e gonnelline di dimensioni minime, dai colori sgargianti, sedute un po’ più in là nel vagone. Il sottofondo sonoro di quasi tutto il viaggio è stato un medley delle loro chiacchiere rumorose e delle loro risate sguaiate. Turiste di ritorno da una gita, suppongo. Se ne stanno per conto loro per quasi tutto il viaggio, sono rumorose, sì, ma non troppo moleste. Solo alla fine, per colpa di uno dei capolavori del virtuoso, si accorgono del cagnolino. Ed è una vera e propria deflagrazione di tenerezza cucciolosa, una reazione che a confronto la scioglievolezza di Lindor è roba da ragazzi. Dall’incontenibile esplosione di gioiosa sorpresa con cui accolgono il cucciolo mi verrebbe quasi da dedurre che in America non esistono i cagnolini. Tutto il vagone a questo punto è trascinato in un vorticoso susseguirsi di “Oh, my God!”, “Wonderful!”, “So sweet!”, “So cute!”… Una selva di mani graziose e curate, con unghie lunghissime, variamente decorate, circonda la povera bestiola, che pare quasi intimorita. Coccole, carezze, grattini dietro le orecchie, scatti di foto da cellulari variopinti, urla di gioia… Dal punto di vista della bestiola deve essere una visione simile alle allucinazioni provocate da certi tipi di droghe, immagino. Sono pochi minuti ma sembrano non finire mai. Poi, finalmente, il treno inizia a rallentare, siamo quasi arrivati a destinazione, ci alziamo e ci avviamo verso l’uscita, con sollievo del cagnolino, dei neo-padroni e… mio!

 

Quarto raduno blogger-pendolari, le storie

Scan 3 Come promesso (sono un po’ lenta, scusate) ecco i resoconti del IV Raduno Pendolare delle altre Blogger.

Esperienze da Autobus: Viaggio e scrivo… Il Pendolaresimo spiegato durante un Raduno pendolare.

Foxcola: Tutt’altro che sconosciuti: un raduno di pendolari blogger.

Call me Leuconoe: Una vita sui binari #24: sfogliatelle e funicolari (aka il quarto raduno pendolare).

Pendolante: Il racconto di un raduno. Parte prima, parte seconda, parte terza.

Vitadapendolare: 4° Raduno di Blogger Pendolari a Napoli: un raduno diverso.

E ancora:

Il brivido di Pendolante, a cui hanno cancellato il treno, proprio quel giorno: 4^ Raduno dei blogger ferroviari.

L’intervista di Pendolante a Caterpillar, su Radiodue: I Blogger Pendolari vanno in Radio.

I nostri libri su CartaResistente: Le letture dei blogger pendolari.

Il viaggio avventuroso di Ilaria – prima parte… e seconda parte

Le immagini di oggi le ho prese dalla copertina un quaderno che ho comprato in quell’occasione, perché io sono appassionata di quaderni, oltre che di libri, sapete? Ne ho sempre almeno due in borsa: uno per le cose serie di lavoro e uno per annotare i miei pensieri e quello che mi succede quotidianamente… praticamente è l’incubatore dei post di questo blog!  E quando  TiZ   ha trovato questo, così colorato e divertente, non ho potuto fare a meno di portarmelo a casa!

Scan 2

 

è passato il Carnevale

Mercoledì mattina, piove e i treni sono in ritardo. Decido di ingannare l’attesa prolungata più del solito prendendo un caffè al bar della stazione. Entro, faccio lo scontrino, mi avvicino al bancone e ordino la bevanda al barista. Ascolto distrattamente la radio, sta passando “I will survive”, inizio a canticchiarla.

“First I was afraid, I was petrified…” Muovo appena le labbra, emettendo un suono debole, almeno un’ottava sotto alla brillante voce di Gloria Gaynor, biascicando le parole delle strofe, che non ricordo bene. Noto che altri avventori del locale stanno facendo altrettanto: il labiale è confuso e incomprensibile in tutto il pezzo tranne nella parte “I will survive, eh, ehi” e nella seguente parte strumentale. Mi sembra un brano azzeccato, stamani.

Proprio mentre la canzone sfuma, entra nel locale un personaggio noto. Si tratta di un signore che trovo spesso nella stazione e che in più di un’occasione ha “attaccato bottone”, tentando di coinvolgermi in improbabili discussioni teologiche e di appiopparmi uno dei numerosi opuscoli a sfondo religioso che porta sempre con sé. Cerco di mimetizzarmi con gli arredi del bar, non ho proprio voglia sentire le sue teorie sulla fine del mondo, stamani. Per fortuna, però, la sua attenzione è rivolta al barista.

“Buongiorno!” irrompe con entusiasmo, decisamente non corrisposto dal suo interlocutore. “Come va, stamani?”

“Male!” risponde il barista, tra il distratto e lo scocciato, “Stamani è cominciata male. Non vedi? Piove…”

“Ehhhh” risponde l’uomo con gli opuscoli, un “eeehh” lungo, abbastanza lungo da contenere un “Non ti angustiare troppo, amico mio, c’è di peggio…” e, continua, “Se va male, è perché è passato il Carnevale!

Ed è con questa riflessione profonda, così profonda che non credo nemmeno di averla capita bene, che, di soppiatto, esco dal bar e vado, sotto la pioggia, a prendere il treno. In ritardo.

Pendolari in pericolo?

Quest’anno la pausa natalizia per me è durata un giorno in più e, anche se ormai la Befana è passata, l’albero riposto nel soppalco e i panettoni archiviati, non ho ancora ripreso  il consueto pendolarismo.

Passo parte della mattinata seduta nella sala di attesa di un ufficio pubblico, con il mio prezioso numerino in mano, aspettando con pazienza il mio turno, in compagnia di un gruppetto di persone, come me, assonnate, rassegnate e di umore grigiastro. La monotonia della situazione è interrotta solo periodicamente da un antipatico beep, seguito dall’incremento del numero proiettato sul display.

Per distrarmi un po’, acquisto un quotidiano da una venditrice ambulante con la pettorina e il berretto fluorescenti, che passa tra le sedie della sala d’attesa. E’ la testata che va per la maggiore nella mia città. Inizio a sfogliarlo: politica, cronaca, economia, sport… Sbocconcello svogliatamente gli articoli, mi soffermo sulle figure e sui trafiletti più brevi, non ho voglia di concentrarmi e nessun argomento mi colpisce particolarmente.

Finché, a pagina 16, proprio nella testata della pagina, appare un titolo a sorpresa: “Viaggi pericolosi, sul treno che spaventa i pendolari”. Subito sotto, un lungo articolo che racconta dell’aggressione subita da un sedicenne da parte di una banda di sei bulli, avvenuta su un treno di pendolari della mia regione.

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Di fianco all’articolo, due estratti dalle edizioni di alcuni giorni fa riportano titoli altrettanto preoccupanti: “Viaggi pericolosi, la paura corre sui binari” e “Viaggi pericolosi, Viareggio-Firenze, la tratta della paura”.

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Sembra che la cronaca di viaggi pendolari da paura sia diventata un appuntamento, se non fisso, per lo meno piuttosto frequente in questo giornale e, dato che il mio percorso pendolare non è molto distante da quelli raccontati nei vari articoli, la cosa mi preoccupa un po’…

Suvvia, non pensiamoci troppo, che domattina si riparte!

Buon 2015! 🙂

 

Pendolare multi-tasking

Vorrei invitare tutti gli sceneggiatori di fiction, fotoromanzi, telenovelas, soap opera e affini a farsi qualche viaggio su un treno pendolare, la mattina, vi assicuro che è una fonte inesauribile di ispirazione 🙂

Il treno è piuttosto affollato stamani e sono costretta a condividere lo spazio compreso tra i quattro sedili con cui è suddiviso il vagone con altre due donne. Una è seduta al mio fianco, a destra, l’altra di fronte a me. È quest’ultima, stamani, a catturare la mia attenzione. Indossa abiti e accessori scelti con cura, siede con eleganza, anche se la postura è abbastanza piegata su un lato e le gambe accavallate sconfinano nello spazio del sedile di fianco al suo, vuoto, sul quale ha sistemato le due borse che porta con sé. La testa è piegata un po’ in avanti e un po’ a sinistra, cosicché lo sguardo può concentrarsi sul tablet appoggiato sulle ginocchia, mentre la spalla e il lato sinistro della mandibola  contribuisce a sorreggere il telefonino seminascosto dai lunghi capelli biondi contro l’orecchio. Con la mano destra sfiora ritmicamente la superficie del tablet, in orizzontale e verticale, alternativamente. Di tanto in tanto dal dispositivo esce un’allegra musichetta: deve trattarsi di uno di quei giochini elettronici che vanno di moda. Allo stesso tempo porta avanti una confidenziale conversazione con l’incognito interlocutore all’altro capo del telefono. Le due azioni sono totalmente scollegate tra loro: non esiste alcuna relazione tra la traiettoria del suo indice sulla piastra di vetro e le variazioni del ritmo della voce nella comunicazione, come se fossero controllate da due processori distinti e indipendenti tra loro. A un tratto, uno squillo sonoro la distrae momentaneamente da entrambe le mansioni. Proviene da una delle due borse, anzi, per essere precisi, dal secondo telefonino, bianco in questo caso, in essa contenuto.

“Scusa, scusa, amore, aspetta un attimo, ho un’altra telefonata.”

Posa delicatamente il primo cellulare dentro la borsa, aperta, senza chiudere la comunicazione, e prende l’altro. Inizia una seconda conversazione, con lo stesso tono affettuoso e confidenziale della prima.

“Buongiorno, amore, come stai? Dormito bene? Sì, sì, anche io, sono già in treno…”

Continua così per alcuni minuti, e riprende anche l’attività ludica con il tablet. Poco prima della stazione di arrivo, si congeda frettolosamente con il secondo misterioso interlocutore:

“Amore, sono quasi arrivata, devo prepararmi per scendere, ok, ti chiamo più tardi, va bene?”

Chiude la chiamata con il telefonino bianco e riprende il primo, quello nero, che nel frattempo aveva aspettato pazientemente nella borsa.

“Scusa, amore, ci ho messo più del previsto e ora sono quasi arrivata alla stazione, ti devo salutare. Ti chiamo più tardi, ok?”

Termina anche la seconda chiamata, che poi era la prima… Mancano ancora alcuni istanti all’arrivo, il treno ha appena iniziato a rallentare. Giusto il tempo di finire la partita sul tablet, e pure con successo, a giudicare dalla festosa musichetta, prima di riporre anche questo in una delle due borse e prepararsi a scendere.

E intanto a me inizia a frullare per la testa un famoso motivo di Renato Zero…

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Cacciatori (di) pendolari

Prendere il treno, spesso e volentieri, è come andare al cinema o a teatro, anzi, talvolta è anche meglio. L’unico inconveniente è che non si può scegliere il titolo della rappresentazione a cui assisteremo, e neppure il genere. Può capitare un dramma familiare, un rocambolesco film d’azione o di fantascienza, un thriller mozzafiato, un documentario naturalistico… nessuno può saperlo a priori.

Il treno in questo viaggio di ritorno non è troppo affollato. Seduto davanti a me, in diagonale rispetto al mio sedile, un canuto signore dal fisico ingombrante è intento ad aggeggiare con le dita cicciottelle sullo schermo del suo tablet. Il libro che sto leggendo è bello, ma un po’ impegnativo: soprattutto il pomeriggio, fatico a mantenere la concentrazione e spesso mi distraggo. Nel gruppetto di quattro sedili dalla parte opposta del corridoio ci sono altri due viaggiatori, nella stessa configurazione.

Lei è una ragazza bella, di una bellezza di altri tempi, aggraziata. Non la bellezza sfacciata, ostentata, a cui siamo abituati. La corporatura è sottile, la postura composta: siede con la schiena ben dritta e le gambe unite. Le lunghe dita affusolate reggono un libro voluminoso con la copertina scura. La carnagione è chiarissima, sembra di porcellana, come le bambole antiche. I capelli ricci sono raccolti in una treccia morbida che dalla nuca scende fino a metà della schiena.

Lui è quasi sdraiato, una gamba è stesa fin sotto il sedile di fronte, l’altra è piegata, con il piede appoggiato su quella specie di piccolo gradino tra la parete e il pavimento che c’è in alcuni tipi di carrozza. Il viso vistosamente abbronzato è in parte nascosto da un paio di occhiali da sole, anche se il sole non c’è. Indossa un paio di jeans strappati, stivaletti e una T-shirt abbastanza aderente, che mette in bella mostra un fisico ben scolpito in palestra. È impegnato in una rumorosa conversazione telefonica, parla in italiano, con accento spagnolo. Il tono della voce è caldo, grave. Mi ricorda quella di Antonio Banderas, che teoricamente sarebbe o vorrebbe essere sensuale, ma nella mia mente suscita le immagini del Gatto con gli Stivali di Shrek e della gallina Rosita.

Dopo qualche minuto dalla partenza, la telefonata finisce, finalmente. Con la coda dell’occhio mi accorgo che sta fissando in modo ostinato la ragazza di fronte. Prima attraverso le lenti scure, poi, per enfatizzare, se possibile, l’atto, fa scendere gli occhiali sul naso, piegando la testa in avanti. Altro che sguardo fugace, questa è proprio un’accurata scansione 3D.

“Eccoci”, penso tra me e me, “stiamo per assistere a un abbordaggio in piena regola, da manuale!”

La ragazza percepisce lo sguardo ossessivo del suo vicino e reagisce con fastidio, aggiustando la postura sul sedile e avvicinando il libro al viso, per immergersi ancora di più nella lettura. L’attacco visivo continua, in modo palese, sfacciato. Sembra quasi di assistere a una scena di caccia. Ci starebbe bene, a questo punto, come sottofondo, l’ Aria sulla quarta corda di Bach e una voce fuori campo che ci spiega la scena: “…ed ecco il leopardo, il grosso felino acquattato nella folta vegetazione della savana che ha appena avvistato e sta puntando una giovane antilope, l’attacco del predatore è questione di attimi…“

E, infatti, all’improvviso:

“Cosa stai leggendo, di bello?”

La ragazza solleva lo sguardo dalle righe del proprio libro e lo rivolge, timorosa, al vicino compagno di viaggio. Sembra arrossire leggermente sulle guance.

“Un libro per l’università” risponde, titubante.

“Ah sembra interessante, cosa studi?”

“Lettere classiche.”

Il dialogo s’interrompe per un attimo. La ragazza ne approfitta per rituffarsi nelle pagine del libro. L’uomo non si è rassegnato, anzi, ha ripreso a studiare la preda con assiduità. Ed ecco, inevitabile, il secondo assalto, questa volta più diretto:

“Ma lo sai che sei bellissima?” esordisce, inaspettatamente.

Inizio quasi a pensare di non essere sul treno, stasera, ma sul set di un film tratto dai libri di Federico Moccia. La ragazza, di nuovo, smette di leggere, le guance adesso sembrano infuocarsi. Non risponde subito.

“Sì, sei bellissima. Non te lo dico per dire, me ne intendo, io!”

La storia si sta facendo avvincente, vediamo un po’ cosa si inventa, adesso.

“Sai, faccio il fotografo, io. Di moda… Hai mai fatto la modella?”

“N-no…” balbetta lei.

“Peccato, saresti perfetta! Ti piacerebbe provare?”

“N-non lo so… n-no…”

“Non ti fidi? Ah che sciocco, non mi sono nemmeno presentato, piacere, Manolo Espadrillas!”

(il nome, ovviamente, l’ho cambiato: Manolo viene da un aitante –almeno sulla carta- chitarrista che ha animato una serata nella località balneare dove ho trascorso le ferie… mentre Espadrillas è la prima parola spagnola con la “s” in fondo che mi è venuta in mente!). Porge la mano abbronzata, ornata da due grossi anelli su pollice e indice, alla ragazza, che educatamente risponde all’invito. Appena riesce a carpire l’arto della sua preda, l’uomo lo attrae verso di sé e lo circonda con l’altra mano. La ragazza si ritrae imbarazzata.

“Guarda”, le dice mostrandole lo schermo del cellulare e avvicinandosi in modo da invaderle con decisione lo spazio, “questo è il mio profilo Facebook, hai visto quanti contatti ho? Sono un fotografo famoso, sai”.

Ecco, secondo me questa è stata una caduta di stile da parte sua: misurare le proprie e altrui capacità sulla base dei contatti in qualche Social Network non mi sembra proprio il massimo. Ma, come si dice, in guerra, in amore, e durante un abbordaggio sul treno -aggiungo io- tutto è concesso.

“Guarda, queste sono alcune delle mie foto… Hai visto che belle?”

La ragazza sbircia timidamente lo schermo, combattuta tra l’imbarazzo e la curiosità.

“B-belle, sì, davvero…”

Come è andata a finire? Sinceramente, non lo so, il treno è arrivato nella mia stazione durante lo show delle foto sul cellulare e mi sono persa l’epilogo di questa storia. Arrivata a casa, prima di dimenticare il nome del nostro viaggiatore-cacciatore ho preso il computer (sono curiosa come una scimmia, lo so 🙂 ), ho aperto Facebook e, nella casellina in alto, per la ricerca, ho digitato Manolo Espadrillas (non importa che proviate anche voi, come ho già detto ho camuffato il nome!).

E… sorpresa! Era tutto vero! La sua foto sul profilo lo ritraeva in posa studiatamente plastica, sdraiato, ripreso dall’alto, in bianco e nero, sguardo fatale, da “Bello e Impossibile”. Non c’erano dubbi, era proprio il mio compagno di viaggio del pomeriggio. Ormai incuriosita, ho continuato a sbirciare nel suo profilo: aveva, effettivamente, un paio di migliaia di contatti, tra cui spiccavano parecchie ragazze sciantose, probabilmente modelle o aspiranti tali. Viste le sue impostazioni della privacy, praticamente inesistenti, ho potuto vedere anche le famose foto: realizzate in studio o in ambienti lussuosi, ritraevano soprattutto donne bellissime avvolte in abiti mozzafiato, molto chic. Chissà se, tra qualche tempo, tra questi trofei di caccia, troveremo anche la ragazza con la treccia che oggi pomeriggio leggeva sul treno…

 

Se avessi la macchina del tempo…

Se avessi la macchina del tempo, se potessi invertire il moto delle lancette dell’orologio, sicuramente vorrei tornare a rivivere l’età dei perché: quel periodo dell’infanzia in cui tutto è nuovo, meraviglioso, da scoprire. L’età in cui la realtà si mescola con la fantasia, le cose che per noi grandi sono normali, banali, scontate, appaiono ancora misteriose e affascinanti. Insomma, l’età di quei due bambini che stamani stanno aspettando alla stazione il treno per Firenze Santa Maria Novella, in compagnia dei nonni. La più grande dei due è una bella bimba, con i capelli raccolti in due treccine chiuse con dei fiocchetti colorati, un vestitino estivo a fiori con delle graziose gale sulle spalle e sull’orlo della gonna.

“Come sei bella, stamani!” la schernisce il nonno, “Oh quanti ammennicoli ti sei messa?” indicando i numerosi braccialetti colorati che adornano i polsi della nipotina.

“Hai fatto bene, stamani si va in città! Si va a vedere il Duomo!” replica la nonna.

Il fratellino è leggermente più piccolo, capelli corti a spazzola, occhi incredibilmente vivaci, non riesce a stare fermo e fa continuamente avanti e indietro tra la panchina e la linea gialla lungo i binari (che “non deve essere toccata, sennò arriva il controllore e ti manda via dalla stazione” cit. la nonna).

Appena arriva il treno, si blocca con un’espressione di gioia e di stupore. Che meraviglia! Guardandolo bene, anche a me oggi sembra meno brutto.

Il gruppetto sale sulla mia stessa carrozza e si sistema nei seggiolini di fianco al mio: i nonni siedono uno di fronte all’altro, sul lato del corridoio, lasciando ai piccoli i posti accanto al finestrino. I due bambini stanno in piedi per tutto il viaggio, con il naso e le mani appiccicati al vetro.

Il treno dopo qualche minuto dalla partenza passa lungo un grigio cantiere di periferia, aperto da anni, ormai, dove stanno nascendo come funghi anonimi edifici, tutti uguali. Ma non tutti, stamani, la pensano come me:

“Nonno, guarda, una ruspa! Un’altra, laggiù, è più grossa! Guarda, c’è anche la gru! E lo schiacciasassi! Che cantiere grosso, non l’avevo mai visto un cantiere grosso così!”

Incrociamo un altro treno, che procede in direzione opposta.

“Guarda, è a due piani! Ha un piano di sotto e un piano di sopra! Perché non abbiamo preso quello anche noi?”

“Perché quello non va a Firenze, quando torniamo indietro cerchiamo di prendere anche noi il treno a due piani!” replica paziente la nonna.

“…Ma va più forte di questo?”

“Eh questo non lo so…”

A un certo punto incrociamo anche la superstar dei binari nostrani, lo stupore dei bambini, soprattutto il piccolo, diventa incontenibile.

“La Freccia Rossa! Guarda come va veloce! Dove va, nonno?”

“Penso che vada a Bologna, o a Milano, o a Venezia…”

“Andiamo anche noi a Bologna? Dai!”

“La prossima volta, magari, oggi si è detto che si va a Firenze.”

“… Ma va più forte la Freccia Rossa o Italo? ”

Sull’argomento i nonni, devo dire, non sono molto preparati.

Ci fermiamo in una stazione appena fuori Firenze. Siamo ancora fermi quando il treno sul binario accanto riparte.

“Si parte!” esclama il piccolo.

“Ma non vedi che siamo ancora fermi?” lo corregge la sorellina.

“No, siamo partiti, guarda!” replica indicando i finestrini dell’altro treno, che si stanno muovendo, effettivamente.

Il nonno allora tenta di spiegare in modo semplice il concetto di moti relativi al nipotino, che non sembra troppo convinto.

Entriamo finalmente nella stazione di  Santa Maria Novella, un tripudio di treni a uno, due piani, Frecce Rosse, Frecce Argento, Itali, mezzi di servizio, gente, valigie, negozi… Il treno si ferma, ci prepariamo a scendere. Il piccolo per mano alla nonna, la sorellina con il nonno, si avviano verso il centro. Chissà quante cose meravigliose scopriranno, oggi. Davvero, li invidio un po’ 🙂

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