Ecco il gelato del pendolare, per superare il caldo e la stanchezza di questi giorni non c’è niente di meglio! 🙂
estate
Solitudine pendolare
L’estate appena iniziata sta cominciando a farsi vedere anche lungo i binari: le scuole sono finite, alcuni pendolari iniziano a manifestare qualche segno di abbronzatura, altri sono momentaneamente scomparsi, lasciando il posto a turisti variopinti, l’atmosfera è più sonnolenta e rilassata. Almeno così la vedo io, specialmente stamani che posso prendere il treno un’ora dopo il mio consueto orario pendolare. Salita sulla carrozza, mi sorprendo a trovare lo scompartimento completamente vuoto. Guardo per bene, forse c’è qualcuno, magari piccolo di statura, forse accucciato in un angolino, addormentato. No, non c’è proprio nessuno. Questo scompartimento è tutto per me. Il sogno di molte mattinate passate in piedi compressa nel vestibolo, o imprigionata nel seggiolino tra corpulenti viaggiatori pieni di valigie, si è avverato. Che bellezza, nessun grido, nessuna conversazione chiassosa, nessuna gita delle scuole elementari, nessun brontolio. Posso aprire il finestrino e godermi il vento, anche se mi scompiglia i capelli, la danza rilassata della tenda blu, che ondeggia leggera, ogni tanto si affaccia fuori, poi rientra, sbattendo mollemente sul vetro. E ancora, l’odore dei tigli in fiore, il rumore ritmico delle ruote sulle rotaie, che oggi mi sembra meno frenetico. Tutto perfetto, pare.
Eppure… Eppure non mi sento proprio a mio agio. Provo una sensazione di fastidio, una sottile inquietudine, che non mi fa stare totalmente in pace. Non sarà mica nostalgia dei ciarlieri compagni di viaggio? Delle risate sgangherate dei giovani studenti? Dei trolley che ribaltano? Cerco di leggere un po’. Un rumore improvviso mi fa trasalire. È solo la porta scorrevole dello scompartimento che, mentre il treno passava su uno scambio, si è aperta e richiusa, sbattendo. Ma questo evento fortuito, mette miei sensi in allerta, quasi inconsciamente. Stiamo arrivando a destinazione e come sempre, prima dell’ultima fermata dobbiamo attraversare una galleria abbastanza lunga. Che mi pare ancora più lunga, oggi. Le luci che illuminano il vagone mi sembrano più fioche, il buio della galleria, più buio. Sento aprire e chiudere una porta nel vagone adiacente. L’inquietudine aumenta. Passano alcuni istanti e di nuovo quel rumore, questa volta più vicino. Non è uno scambio, qualcuno si sta avvicinando. Chi vuoi che sia, cerco di tranquillizzarmi, sarà uno dei passeggeri del vagone accanto che si sta spostando, dato che là l’aria condizionata è veramente molto forte. Ma che senso ha, ora, che siamo quasi arrivati? Sarà qualcuno che sta cercando una toilette? Ma non potrebbe aspettare un paio di minuti e andare alla stazione? E se fosse un malintenzionato che vuole derubarmi e farmi del male? A chi posso chiedere aiuto, qui? E se non ci fosse più nessuno sul treno, per qualche strano motivo? Se, uno per uno, si fosse sbarazzato di tutti i miei compagni di viaggio? Si apre uno spiraglio nella porta del mio scompartimento, istintivamente prendo la borsa e l’abbraccio, come faccio a casa con il cuscino del divano quando guardo in tv i film horror. Dallo spiraglio spunta una mano, che inizia a spingere la porta. Sembra si sia incastrata nella guida. Spero quasi che sia così. Piano piano spunta un avambraccio, con un tatuaggio minaccioso e un grosso braccialetto metallico, poi una spalla. “Accidenti a queste porte!”, sento borbottare, dall’altra parte. La voce è grave, graffiata, sento odore di tabacco. La figura piano piano inizia a completarsi. Stringo ancora di più la mia borsa. Maledico il momento in cui ho scelto questo scompartimento deserto. Mai più, mi dico, piuttosto vado accanto ad Amanda Ciarlieri e alla sua amica Gianna e mi sorbisco le loro disquisizioni culinarie per tutto il viaggio. L’oscuro personaggio è davanti a me, adesso, con lo sguardo severo e le braccia incrociate. “Biglietto, prego!”… E’ solo il capotreno, per la verifica dell’abbonamento.
Si riparte?
La sveglia. La macchinetta per fare i biglietti rotta. La coda alla biglietteria. La macchinetta per la convalida dei biglietti rotta. L’annuncio dell’arrivo del treno. La corsa su per le scale del sottopasso. La ricerca del capotreno per la convalida del biglietto. Il finale del libro iniziato sulla spiaggia. Il caffè nella stazione di cambio treno. Le chiacchiere al bancone. “Dove sei stata in ferie?”. “In Sicilia, abbiamo fatto un bel giro”. Un minuto – il tempo del caffè – di mare, ristoranti buoni, Barocco, Magna Grecia, caldo, bed and breakfast convenienti, l’anno prossimo ci ritorno. “Noi siamo stati a Ibiza, invece”. Ancora racconti. L’annuncio dell’arrivo del secondo treno. L’aria condizionata guasta. L’inizio del nuovo libro, il primo dopo la pausa estiva. Il treno che rallenta. L’arrivo in stazione. La scala mobile per risalire in centro rotta. L’ufficio. Le email. Le riunioni, i progetti, gli avanzamenti. L’agenda che inizia a riempirsi. Il mal di testa che già si riaffaccia. Il ritorno. La scala mobile ancora rotta, ma in discesa è meno importante. L’uscita dal sottopassaggio sbagliata. Il gruppetto di pendolari che parlottano tra loro, tutti contenti e abbronzati. “Quando sei rientrato?”. “Io oggi, tu invece?”. “Io la scorsa settimana”. Il controllo del biglietto. Il treno che si ferma nella stazioncina deserta per scambiarsi con quello che arriva nella direzione opposta. La collinetta di fronte alla stazione, più brulla di come l’avevo lasciata prima delle ferie. Altri racconti di vacanze. Altre spiagge, altri mari, altre gite, altri bed and breakfast convenienti. La Sicilia e la Croazia sono le mete più gettonate, quest’anno, tra i miei compagni di viaggio. “Io sono stato a vedere l’Expo”. “Ne vale la pena?”. “Mah, c’è da fare un sacco di coda”. L’aria condizionata rotta, ma nella carrozza più avanti funziona. “Spostiamoci, allora, che qui si muore di caldo”. Il dondolio che mi mette sonno, ma devo resistere: non mi piace dormire sul treno. Le pagine del libro. I girasoli, ormai grigiognoli e rinsecchiti con la testa china. Sono passati i giorni in cui rincorrevano il sole, pieni di forza e di colore. In fondo, mi sento un po’ come loro. L’arrivo nella stazione di cambio. L’attesa del secondo treno. Speriamo che sia puntuale.
Tutto è cambiato, tutto è rimasto com’era.
Si riparte.
Piedi pendolari
Ragazzi, state calmi, lo so, lo so, sono stanca anche io. Avete ragione, io posso muovermi liberamente, mentre voi siete lì, chiusi, legati stretti stretti da quegli scomodi lacci. Ma abbiate pazienza, siamo quasi arrivati a casa, appena passata la porta vi libero, prometto! Vi prometto anche che domani non ripeterò l’errore di oggi, non vi costringerò in quello spazio così scomodo e angusto. Ho commesso un errore, stamani, un peccato di vanità, lo ammetto. Mi piacevano troppo i sandali con la zeppa che ho comprato domenica e non ho resistito, stamani all’ultimo momento, li ho indossati. Pensavo fossero comodi, quando li ho provati, nel negozio. Ma non avevo considerato che oggi sarei stata troppo seduta, e poi troppo in piedi, e avrei anche camminato, sotto il sole cocente di inizio estate. E adesso che la giornata è finita e siamo finalmente sul treno, sulla via di casa, voi due siete lì, doloranti, con due belle vesciche che fanno un male terribile. Va bene, provo a cambiare posizione, a ruotare le caviglie, a stringere e rilasciare le dita, ma, vi avverto, il sollievo è solo temporaneo, lo so per esperienza.
Come dite? Dove? Sotto quale sedile? Ah quello là, più avanti? Sì, effettivamente quel paio d’infradito abbandonate lì sotto da quella ragazza che sta dormendo con la guida turistica in mano è proprio carino… e anche comodo! Ah, se li avessi avuti anche io ora non sareste ridotti così.
Ce l’avete con me, ora? Avreste voluto essere i piedi di quella ragazza invece che i miei? Siete proprio sicuri? Chissà quanti chilometri hanno fatto, oggi, sotto il sole! Chissà quanto sono stati fermi, in piedi, in coda per entrare in un museo!
Dai, non brontolate troppo, magari appena andiamo in vacanza ve ne compro un paio: li ho visti nella vetrina di un negozio poco fa, mentre tornavo al treno, mi piacciono proprio tanto e penso che andremo a provarli, la prossima settimana!
Ma li indosseremo solo in vacanza, non insistete troppo, dai, dovremo aspettare ancora almeno un mesetto, No, ancora no, non si può: non mi posso mica presentare in ufficio con le ciabattine da spiaggia, dai.
No, adesso non me li tolgo, i sandali, è inutile che vi lamentiate. Lo so che stareste meglio, anche io avrei sollievo, ma non ci riesco, non è nelle mie corde, lo sapete! Sì, è vero, lo fanno in molti, ma io no, va bene? Mi dispiace per voi, ragazzi, ma sono fatta così, smettetela di brontolare! E poi, i piedi nudi sul sedile di fronte, no, ragazzi, assolutamente no, quello non ve lo posso concedere, né ora né in vacanza, su questo non transigo proprio. Mi dispiace, quello non si fa, senza se e senza ma!
Scambi ferroviari
Sulla banchina, lungo i binari due e tre, aspetto come ogni mattina il treno che mi porta al lavoro. Adesso che ancora scuola non è ricominciata c’è molta quiete: i viaggiatori, perlopiù pendolari come me, a quest’ora della mattina, sono assonnati e silenziosi, le conversazioni sono scarse e non troppo animate. Tranne quella tra due donne, a una decina di metri da me: una delle due si sta lamentando vivacemente e ad alta voce di qualcuno, ma non comprendo subito il problema:
“Quello stronzo, è proprio uno stronzo, gliel’ho detto diecimila volte che dovevo prendere il treno stamani! Ah, ma stavolta non la passa liscia, eh!”
E’ tesa, nervosa, si muove a scatti. L’altra risponde a volume più basso, spero che stia cercando di smorzare i toni dell’amica, rassicurandola e incoraggiandola.
“Ora mi tocca anche chiamarlo, ma non si può andare avanti così, NON SI PUO’, cazzo!!
Il volume e la frequenza della conversazione aumentano, , mi sembra quasi che stia per scoppiare a piangere, ormai ha catturato la mia attenzione. Prende il telefono, seleziona il numero, attende in linea.
“Dove sei!? Come sei partito ora, tra un minuto ho il treno! Guarda, te lo dico, io stamani non lo perdo! Se arrivi in tempo bene, sennò vieni a Pisa!”
Inizia a gridare.
“Eh no, caro stamani tu vieni a Pisa, te lo avevo detto!”
E’ sempre più tesa, la voce sempre più incrinata.
“Basta, mi sono rotta con questa storia, non si può andare avanti così! Fai sempre i tuoi comodi!”
Riattacca e sbuffa. Riprende la discussione con l’amica.
“Sempre così non è possibile, ah ma io chiamo l’avvocato, questa volta mi sono proprio rotta, vedrai ci pensa lui!”
Squilla il telefono. Lo afferra con irruenza.
“Dove vuoi che sia? Al binario due come tutte le mattine… Muoviti che sta arrivando il treno!”
Qualche istante ed ecco che dal sottopassaggio sbuca un giovanotto imponente: sale le scale di corsa, goffo e trafelato. Sembra un gigante un po’ bambino, mi ricorda Shrek, anche se non ha la pelle verde. Si dirige verso la donna, che lo fissa risentita, ma, sembra, un po’ sollevata. L’espressione di colpevole imbarazzo dell’uomo si trasforma improvvisamente in un ampio sorriso appena il suo sguardo si posa in un punto dietro la gonna lunga della donna. Ed ecco che proprio da lì spunta una bella bimbetta di circa tre anni, con la coda di cavallo, e dei lineamenti identici a quelli della mamma, anche se meno tesi e più morbidi, che allunga le braccia verso il gigante bambino.
Appena in tempo, sta arrivando il treno che stavano aspettando, con cinque minuti di ritardo. Menomale, penso, altrimenti il gigante non ce l’avrebbe fatta ad arrivare in tempo e sarebbe stato un bel problema! La mamma, in compagnia dell’amica, si avvicina alla porta del vagone più vicino. Prima di salire si volta verso la bimba e sorride, finalmente. Il gigante bambino prende in braccio la figlia, entrambi ricambiano il sorriso della mamma. Si fermano per un po’ sulla banchina, aspettano che riparta il treno, la bambina fa “ciao” con la mano alla mamma, che, schiacciando le dita sul finestrino, ricambia. Sul suo viso non c’è più il risentimento di qualche minuto fa, al suo posto, mi pare, un velo di tristezza. Ma forse è solo il riflesso del vetro.
Vacanze!
Nonostante l’inaspettata e antipatica intrusione di novembre, che ha preteso di prendere il posto di luglio quest’anno, alla fine siamo arrivati anche ad agosto. Un buon mese per me, se non altro perché non pago l’abbonamento del treno. E, se tutto va bene, mi riposerò anche un po’, almeno spero. Non troppo però: ho un sacco di cose da fare in casa che sono rimaste indietro. E poi ho i “compiti delle vacanze” che ogni anno mi porto dal lavoro, perché senza “to do list” non mi sento a mio agio (ma so già che difficilmente la porterò in fondo :D). E magari, vorrei anche a risistemare gli appunti incasinati del mio inseparabile quadernino e a trasformarli in qualche post che proporrò prossimamente qui.
Per oggi comunque preparo soltanto la valigia e parto… buone vacanze! 🙂