di pirati, corsari, bucanieri e guasti temporanei all’infrastruttura

Sono già alcuni minuti che cammino, su e giù, lungo la banchina in attesa del treno, quando la voce meccanica dall’altoparlante annuncia che il treno che sto aspettando “arriverà con un ritardo previsto di dieci minuti a causa di un guasto temporaneo agli impianti di circolazione”. Mmmh… la cosa non mi convince molto, di solito quando ci sono guasti di questo tipo i minuti di ritardo sono ben più di dieci, ma cosa posso farci? Mi rassegno a prolungare l’attesa. Dieci minuti sono troppo pochi per andare al bar fuori dalla stazione a prendere qualcosa di caldo, ma sono troppi per starsene lì in piedi ad aspettare. Nell’ultima panchina c’è un posto libero, accanto a una ragazza alle prese con il suo smartphone. Mi siedo, prendo il libro dallo zaino e riprendo la lettura dal punto in cui l’avevo lasciata, ieri sera.

Il libro è “I segreti di Londra” di Corrado Augias. Ho scelto questo saggio come lettura di oggi, perché ho recentemente soggiornato per alcuni giorni nella capitale britannica, che non avevo mai avuto occasione di conoscere “per bene”, e ne sono rimasta davvero affascinata. Dello stesso autore avevo già letto “I segreti di Parigi”, e proprio grazie a quel libro avevo avuto occasione di scoprire e visitare luoghi veramente interessanti, al di fuori delle solite mete turistiche.

Stamani parto da pagina 164, dal capitolo intitolato “Corsari, pirati e bucanieri”. Fin dall’inizio la narrazione è interessante. Chi mai si ricordava le definizioni e le differenze tra corsari, bucanieri, filibustieri, farabutti?

Stanno ormai passando i dieci minuti di ritardo previsti, quando la voce meccanica dell’altoparlante aggiorna la previsione a venti. I miei compagni di viaggio iniziano a spazientirsi: c’è chi cammina nervosamente avanti e indietro, chi inizia a brontolare, chi scende nel sottopassaggio per controllare il monitor, chi telefona per avvisare del ritardo, ecc.. Anche a me quest’annuncio provoca un certo disappunto: se lo avessi saputo subito che il ritardo era così consistente sarei potuta andare al bar ad aspettare, almeno lì l’attesa sarebbe stata un po’ più confortevole. Che faccio, ci vado ora? Ma no, per dieci minuti non ne vale la pena. Riprendo la lettura.

Inizio a figurarmi in un’isoletta dei Caraibi: spiagge bianchissime, vegetazione lussureggiante, acque cristalline su cui galleggia una grossa nave dall’aspetto sinistro, dal cui albero maestro sventola l’inconfondibile Jolly Roger.

Sulla nave, poco a poco si materializzano figure dall’aspetto affascinante e al tempo stesso grottesco, oscuro e minaccioso, ma variopinto, uomini capaci di grandi avventure e gesti ignobili e crudeli. Sono catturata dalle loro imprese, le avventure, i viaggi intorno a un mondo nuovo, enorme rispetto a quello in cui viviamo noi, in buona parte ancora sconosciuto e inaccessibile. E, ancora, gli attacchi per depredare navi cariche di tesori a loro volta sottratti dalle terre appena scoperte nel continente americano, le liti, le risse, le tempeste in mare, i naufragi, le condizioni di vita precarie.

E intanto i minuti di ritardo diventano trenta.

Conosco e ritrovo personaggi immaginari e realmente esistiti: Barbanera, Francis Drake, il Corsaro Nero, Edward Low, capitan Kidd… Leggo con interesse i riassunti delle loro vite e delle rocambolesche imprese.

Quaranta minuti… Ma dai, così non si fa, però, non possono centellinare così le informazioni! Ma come si fa? Le telefonate di aggiornamento a colleghi, compagni di scuola e familiari si infittiscono e si arricchiscono di epiteti coloriti, un gergo quasi marinaresco, quasi come quello dei protagonisti delle storie che sto leggendo. Il volume delle lamentele nelle conversazioni lungo la banchina aumenta, non è semplice rimanere concentrati nella lettura.

Leggo delle tecniche di attacco, delle armi utilizzate, delle regole di comportamento. Una vita non semplice, la loro. Se un pirata veniva giudicato colpevole di un furto, ad esempio, veniva “sbarcato su un’isola deserta con una bottiglia d’acqua, un fucile e qualche pallottola”. In caso di disobbedienza o ammutinamento erano previsti vari tipi di punizioni, fustigazioni, torture, tra cui il temutissimo “giro di chiglia”.

Cinquanta minuti, sessanta…

E alla fine sono poco meno di settanta i minuti passati su quella panchina a leggere e ormai mi manca solo mezza pagina per finire il capitolo del libro, quando finalmente appare all’orizzonte il tanto atteso vascello… ehm… treno, tra i brontolii e gli improperi degli ormai esasperati pendolari superstiti.

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il grande e potente… Azz

In questo periodo dell’anno, in cui il mio orario di partenza la mattina coincide più o meno con l’alba, il cielo a volte regala degli spettacoli che compensano, almeno parzialmente, il disagio della levataccia. Stamani, per esempio, uno spesso strato di nuvole scure spadroneggiava a est, diventando via via più sottile e rarefatto nella parte alta del cielo, per poi svanire verso ovest. Il sole tentava con fatica di aprirsi uno spiraglio, come se dovesse sollevare una pesante serranda arrugginita e, mi piace immaginare, per lo sforzo era diventato tutto rosso. L’atmosfera era avvolta da questa luce morbida, nei toni dell’arancio, del rosa, del giallo. Tutto sembrava più bello: i visi ancora assonnati dei pendolari, il vetro sudicio dell’ascensore, le baracche abbandonate, persino le macchinette distributrici di cibarie e bevande, sul cui vetro si specchiavano i riflessi rossastri, avevano un inaspettato fascino. Mi sono spostata lungo il binario, verso la fine del marciapiede, per ammirare lo spettacolo e fare qualche foto. A un certo punto una lama di luce ha colpito i binari in un tratto che iniziava pochi metri davanti a me e proseguiva fino al punto ideale in cui, dopo una leggera curva verso sinistra, convergevano, all’orizzonte, rendendoli luccicanti come se fossero fatti d’oro. Una via dorata, quindi, anche se, invece che di mattoni, era fatta di ferro.
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Ho lasciato liberi di correre lungo quei binari luminosi la fantasia e i ricordi delle letture di quando ero piccola, e allora, ecco che la ragazzina “emo” con i capelli per metà neri e per metà blu e gli stivaletti pieni di borchie metalliche che brillavano, come d’argento,  è diventata Dorothy, il signore elegante con il completo grigio e la borsa per il portatile si è trasformato nell’Uomo di Latta, quel ragazzo con i vestiti trasandati, i capelli e la barba incolti non poteva che essere lo Spaventapasseri e la signora seduta sulla panchina, con quella cascata di riccioli biondi, il Leone pauroso. Tutti in attesa del treno per la Città di Smeraldo (previsto in arrivo con dieci minuti di ritardo). La magia è durata solo pochi secondi, poi le nuvole hanno avuto la meglio e tutto è tornato grigio come sempre. Sono rimasta sospesa, ancora per qualche istante, in questa specie di sogno ad occhi aperti, ma ci ha pensato la gracchiante voce dell’altoparlante, l’uccellaccio del malaugurio di noi poveri pendolari, a riportarmi alla realtà quotidiana: “Si avverte la gentile clientela che il treno 12345 proveniente dalla Città di Smeraldo e diretto alla Strega del Sud –quello che sto aspettando io, per intenderci- oggi non sarà effettuato per un guasto al treno, Trenitalia si scusa per il disagio”. Ed è da questo triste e così poco poetico epilogo della vicenda che trae origine il titolo del post 🙂

Scambi ferroviari

Sulla banchina, lungo i binari due e tre, aspetto come ogni mattina il treno che mi porta al lavoro. Adesso che ancora scuola non è ricominciata c’è molta quiete: i viaggiatori, perlopiù pendolari come me, a quest’ora della mattina, sono assonnati e silenziosi, le conversazioni sono scarse e non troppo animate. Tranne quella tra due donne, a una decina di metri da me: una delle due si sta lamentando vivacemente e ad alta voce di qualcuno, ma non comprendo subito il problema:

“Quello stronzo, è proprio uno stronzo, gliel’ho detto diecimila volte che dovevo prendere il treno stamani! Ah, ma stavolta non la passa liscia, eh!”

E’ tesa, nervosa, si muove a scatti. L’altra risponde a volume più basso, spero che stia cercando di smorzare i toni dell’amica, rassicurandola e incoraggiandola.

“Ora mi tocca anche chiamarlo, ma non si può andare avanti così, NON SI PUO’, cazzo!!

Il volume e la frequenza della conversazione aumentano, , mi sembra quasi che stia per scoppiare a piangere, ormai ha catturato la mia attenzione. Prende il telefono, seleziona il numero, attende in linea.

“Dove sei!? Come sei partito ora, tra un minuto ho il treno! Guarda, te lo dico, io stamani non lo perdo! Se arrivi in tempo bene, sennò vieni a Pisa!”

Inizia a gridare.

“Eh no, caro stamani tu vieni a Pisa, te lo avevo detto!”

E’ sempre più tesa, la voce sempre più incrinata.

“Basta, mi sono rotta con questa storia, non si può andare avanti così! Fai sempre i tuoi comodi!”

Riattacca e sbuffa. Riprende la discussione con l’amica.

“Sempre così non è possibile, ah ma io chiamo l’avvocato, questa volta mi sono proprio rotta, vedrai ci pensa lui!”

Squilla il telefono. Lo afferra con irruenza.

“Dove vuoi che sia? Al binario due come tutte le mattine… Muoviti che sta arrivando il treno!”

Qualche istante ed ecco che dal sottopassaggio sbuca un giovanotto imponente: sale le scale di corsa, goffo e trafelato. Sembra un gigante un po’ bambino, mi ricorda Shrek, anche se non ha la pelle verde. Si dirige verso la donna, che lo fissa risentita, ma, sembra, un po’ sollevata. L’espressione di colpevole imbarazzo dell’uomo si trasforma improvvisamente in un ampio sorriso appena il suo sguardo si posa in un punto dietro la gonna lunga della donna. Ed ecco che proprio da lì spunta una bella bimbetta di circa tre anni, con la coda di cavallo, e dei lineamenti identici a quelli della mamma, anche se meno tesi e più morbidi, che allunga le braccia verso il gigante bambino.

Appena in tempo, sta arrivando il treno che stavano aspettando, con cinque minuti di ritardo. Menomale, penso, altrimenti il gigante non ce l’avrebbe fatta ad arrivare in tempo e sarebbe stato un bel problema! La mamma, in compagnia dell’amica, si avvicina alla porta del vagone più vicino. Prima di salire si volta verso la bimba e sorride, finalmente. Il gigante bambino prende in braccio la figlia, entrambi ricambiano il sorriso della mamma. Si fermano per un po’ sulla banchina, aspettano che riparta il treno, la bambina fa “ciao” con la mano alla mamma, che, schiacciando le dita sul finestrino, ricambia. Sul suo viso non c’è più il risentimento di qualche minuto fa, al suo posto, mi pare, un velo di tristezza. Ma forse è solo il riflesso del vetro.

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Incubo di un pomeriggio di mezza estate

Esco stanca e sudata dal lavoro, oggi non funzionava neppure l’aria condizionata. Ma sono tranquilla, non prenderò un malanno, dato nemmeno sul treno funziona. Per lo meno è quasi vuoto, mi metterò a leggere un po’, per rilassarmi. Rettifica, è appena salita una combriccola allegra, colorata e disordinata di gente proveniente dal mare. È formata da una quindicina di adulti e cinque o sei bambini sotto i tre anni, ovviamente accompagnati da borsoni, borsine, borsette, zaini, passeggini, borse termiche, borse da spiaggia, borse della spesa, asciugamani, cappelli, contenitori di ogni forma, colore e dimensione. L’aria calda e umida nella carrozza è pervasa da un odore di crema solare, panino con la mortadella, sudore. Sono stati tutto il giorno al mare, beati loro, sono contenti e riposati e trasmettono tutta la loro gioia agli altri passeggeri emettendo decibel e decibel di risate sgangherate. Vorrei le cuffie giganti che indossa quel ragazzetto seduto là in fondo: sembra così assorto e isolato dal resto della carrozza. Forse se mi concentro nella lettura non li sento. Ci riesco, quasi, ma all’improvviso uno dei bambini scoppia in una bizza disperata. Più che un pianto sembra un misto tra il grido di dolore di un animale preistorico e gli artigli di Freddy Krueger strisciati su una lavagna. I genitori lo ignorano totalmente. Se avessi il numero di cellulare di un esorcista, oggi lo chiamerei. Cambiare carrozza? Sono troppo stanca, poi, arrivando nella stazione e vedendo la quantità di gente che è salita non penso che la situazione migliorerà. Il viaggio sembra ancora più lungo, anche perché nel frattempo il treno per qualche inspiegabile motivo ha accumulato un quarto d’ora di ritardo. Guardo fuori dal finestrino, per distrarmi, ma non funziona. Finalmente il treno rallenta, gli adulti del gruppo confusionario raccolgono tutte le loro carabattole e si preparano a scendere. Una delle donne prende in collo il piccolo indemoniato, che sorprendentemente si mette a strillare ancora più forte, sbracciandosi e agitandosi, non riesco a capacitarmi di come tutto ciò sia fisicamente possibile. La mamma, per niente turbata, cerca con non troppa convinzione e scarsi risultati di calmarlo. Il convoglio si ferma, le porte si aprono, le emissioni acustiche piano piano si placano, finalmente. Si riparte e nelle orecchie ho il tipico fruscio che si percepisce dopo essere stati in discoteca o sotto le casse di un concerto heavy metal. Il treno giunge finalmente alla mia fermata, con passo stanco, quasi strascicando i piedi arrivo a casa e mi getto sotto la doccia, finalmente è finito l’incubo… fino a domani, almeno!

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8 p.m. in Ponte a Elsa

Viaggio di ritorno di un qualsiasi giorno feriale in cui una riunione si è protratta un po’ troppo e ho fatto più tardi del solito. Stanca morta, passo il tempo sul treno leggendo un libro. La linea ferroviaria che percorro quotidianamente ha due caratteristiche che rendono ogni viaggio avventuroso e ricco di imprevisti più o meno (soprattutto meno, devo dire) divertenti. Innanzi tutto, per gran parte del suo percorso, è una linea a binario unico, con tutte le complicazioni che ne conseguono in termini di coincidenze e scambi fra treni che viaggiano in direzioni opposte. Come se non bastasse, nell’arco di poche decine di chilometri ci sono parecchi passaggi a livello e la probabilità che ne rimanga qualcuno erroneamente aperto è piuttosto concreta. Capita quindi abbastanza spesso che il treno si blocchi nel bel mezzo della campagna, per lunghi, lunghissimi minuti, a causa di qualche imprevisto. Di solito il capotreno in questi casi annuncia un “ritardo imprecisato” che, soprattutto di sera, quando hai voglia di spaparanzarti sul divano, fuori è già buio e non si vede niente, mette un pochino di inquietudine.

Siamo fermi già da almeno cinque minuti nel bel mezzo del nulla, quando sospendo la lettura e mi guardo intorno, un poco intimorita. Sul sedile di fianco al mio, dalla parte opposta del corridoio è seduto un signore anziano dall’aspetto simpatico, è salito poco fa, con la coda dell’occhio ho visto che armeggiava con una grossa cartellina da disegno, ma ero concentrata nella lettura e non ci ho fatto troppo caso. Non mi ero neppure accorta che una volta sistemato aveva aperto la cartellina e stava riordinando una serie di disegni realizzati con gli acquerelli, secondo la dimensione, dai più grandi ai più piccoli. Il suo aspetto mi ricorda molto quello di un pittore che avevo incontrato a Montmartre, durante un recente viaggio a Parigi, da cui avevo comprato un quadretto raffigurante la vetrina di uno degli innumerevoli café della capitale francese, che tra l’altro devo ancora appendere in casa.

Il mio sguardo curiosa tra i disegni, dal tratto e dai colori delicati. Uno in particolare mi colpisce: ritrae un grosso castagno dal tronco storto e nodoso e dalle foglie di un delicato colore verdolino. Mentre vedo scorrere i disegni, la mia mente torna a Parigi, immagino di essere non sul Regionale Veloce per Firenze SMN, ma su una linea del metrò parigino, magari la linea 6, quella che a un certo punto sbuca fuori dai sotterranei, attraversa la Senna sul ponte di Bir-Hakeim, per poi continuare in superficie, verso Montparnasse, su una struttura sopraelevata che permette di ammirare le strade, le piazze, i tetti con gli inconfondibili camini: Dupleix, La Motte Picquet-Grenelle, Cambronne… Mi sembra quasi di sentire l’inconfondibile odore di gomma proveniente dagli pneumatici dei treni, caratteristici proprio di questa linea. Immagino poi di scendere dal metrò alla fermata di Abbesses, non con la linea 6 però, quella fa tutto un altro percorso, di risalire le ripide scalinate, girare intorno al Sacre Coeur, raggiungere la Place du Tertre, sedermi ad un tavolino di uno dei tanti café e stare lì ad oziare per tutto il pomeriggio, in perfetto stile flâneur.

L’anziano pittore si accorge della mia curiosità e mi sorride. Ricambio il sorriso e gli dico che i suoi disegni sono molto belli, soprattutto quello del castagno. Non è mia abitudine attaccare discorso sul treno, ma questo signore mi ispira simpatia. “Le piacciono davvero?” mi chiede, con soddisfazione, “Allora gliene faccio vedere altri se vuole, tanto abbiamo tempo…” Siamo infatti ancora fermi nel bel mezzo del nulla. “Volentieri”, rispondo, contenta di aver trovato un insolito diversivo per ingannare quest’odiosa attesa. Inaspettatamente richiude la cartellina, la appoggia sul sedile libero di fronte a lui e si prende dalla tasca un moderno smartphone nero fiammante con annessa mela mangiucchiata. “Vede, io non ci capisco molto con questi aggeggi tecnologici, ma mio nipote che è bravo con i computer, mi ha messo tutti i quadri qui dentro: qui sì che si vedono bene!”. Il resto del nostro viaggio lo passa a scegliere immagini da cartelle virtuali, cliccare, spostare, selezionare, trascinare, ruotare il minuscolo schermo da quattro pollici o poco più, zoomare sui particolari… Per fortuna dopo poco il treno riparte, con solo ventisette minuti di ritardo.

Che peccato, per un attimo avevo quasi immaginato di essere stata catapultata nei magici Anni Venti della Ville Lumière, come lo sceneggiatore e aspirante scrittore Gil in“Midnight in Paris”, ma sono solo le otto e venticinque, qui, a Ponte a Elsa.

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L’omino che aspettava il treno

C’era una volta un omino che una mattina arrivò alla stazione e si mise ad aspettare il treno. Sul marciapiede, tra il binario due e il binario tre. Passarono i minuti, passarono vari convogli, ma il suo treno non arrivava. E l’omino  continuava, fiducioso, ad aspettare. Era inverno, tirava un vento gelido. Lui non lo sentiva, aspettava, guardando la ferrovia, verso nord. Passarono le ore, e poi i giorni, e poi le settimane. Una notte venne anche una bella nevicata. Lui non si spostò di un centimetro. I fiocchi si fermarono sui suoi capelli e sui vestiti. La mattina venne il sole e la neve si sciolse. Passarono i mesi. Arrivò anche la primavera, e poi l’estate. Faceva un caldo insopportabile, lì, lungo il binario. Bastava spostarsi di qualche metro per raggiungere l’ombra della pensilina e per poter prendere una bibita fresca dalla macchinetta distributrice. Ma lui non poteva, doveva aspettare. Il caldo torrido piano piano svanì, iniziarono le piogge, e poi di nuovo il vento, che portava con sé le foglie rosse degli alberi lungo la ferrovia. La pelle dell’omino era diventata via via più spessa e più dura. La superficie, martoriata dai capricci del tempo, era diventata ruvida e spigolosa. Era dimagrito, le gambe erano ridotte a poco più che due stecchi storti, nella faccia non si riconoscevano più gli elementi caratteristici: gli occhi, il naso, la bocca.

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E’ da quando ho iniziato la mia vita pendolare che, ogni mattina e ogni sera, vedo dal finestrino l’omino che aspetta il treno, tra il binario due e il binario tre della stazione di Poggibonsi. Non ho ancora capito se sta aspettando qualcuno che deve arrivare. Oppure è lì perché vuole partire ma non sa decidersi. Forse non sa dove andare. Oppure tanto tempo fa ha accompagnato qualcuno alla stazione e non ha saputo dirgli addio. Oppure è solo un pendolare come me e il suo treno è semplicemente un pochino in ritardo.

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Nota: come sapete, le mie storielle pendolari  prendono spesso spunto da quello che vedo dal finestrino del treno, l’omino di oggi è in realtà una scultura di questo signore qua: http://www.antonygormley.com/

🙂

Problemi pendolari

Problema

State aspettando un treno lungo il binario uno. Il treno successivo diretto verso la vostra destinazione partirà dal binario sei venti minuti dopo. L’altoparlante annuncia che il treno che state aspettando ha venti minuti di ritardo.

Quale dei due treni partirà prima?

Soluzione: quello in arrivo al binario dove non siete voi.

 

Dimostrazione:

Supponiamo che voi siate al binario uno. Tanto lo sapete che di solito parte prima quello, perché è un Regionale Veloce e fa pochissime fermate intermedie. L’altoparlante annuncia il treno in partenza al binario sei, siete tentati, ma subito dopo annuncia quello al binario uno. Inizia a lampeggiare la lucina sul tabellone, accanto al binario sei. Vi state già incamminando verso il sottopassaggio, quando con la coda dell’occhio vedete che anche quella del treno al binario uno ha iniziato a ballare a destra e a sinistra. Al binario sei sta arrivando un treno stracarico di pendolari, mentre al binario uno ancora niente. Vi decidete, finalmente, a cambiare strategia e vi fiondate nel sottopassaggio. Avete quasi raggiunto la vostra uscita da quel maleodorante tunnel quando venite investiti da una slavina umana formata dai pendolari appena scesi dal treno,  che si stanno velocemente incamminando verso l’uscita, trascinandovi, come una corrente impetuosa, in direzione opposta alla vostra.

Il treno al binario sei, nel frattempo, riparte. Quello al binario uno matura un ritardo aggiuntivo di dieci minuti.

Supponiamo, viceversa, che una vocina interiore, l’istinto pendolare che c’è in voi, tanto per citare il buon Raf, vi suggerisca, senza alcun motivo apparente, di scegliere il treno al binario sei. Come si dice, meglio un treno locale oggi che un Regionale Veloce mai… Vi incamminate tranquillamente verso il binario sei, salite le scale, raggiungete una panchina e vi sedete. Di fronte a voi, scorgete, lungo il binario uno, gli altri viaggiatori, in attesa. “Tze, che bischeri…” pensate, forti della vostra pluriennale esperienza. E infatti, ecco spuntare, all’orizzonte, il trenino locale, in perfetto orario. Salite sulla carrozza, soddisfatti di aver fatto, ancora una volta, la scelta giusta, alla faccia di quei poveretti, ancora lì, lungo il binario uno. Vi accomodate su uno dei sedili, in una carrozza semi vuota e aspettate la partenza del treno. Aspettate… aspettate…

E intanto ecco arrivare al binario uno il Regionale Veloce, che essendo Veloce, appunto, e in ritardo, si ferma e riparte prima che voi possiate pensare di scendere dal trenino locale. Che, per dare la precedenza, accumula dieci minuti di ritardo.

C.V.D.

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