Toni di grigio

IMG_2380 copyGli ingredienti per una giornataccia, stamani, ci sono tutti. Una nebbia fitta mista avvolge la stazione e, insieme ad una pioggerellina insistente, rende l’atmosfera fredda e inospitale. C’è ancora poca luce, le giornate si stanno accorciando velocemente e il mio umore è dello stesso colore del cielo. La banchina è più affollata del solito, capisco presto il motivo: il treno precedente al mio è stato soppresso, ci informa la voce sintetica dell’altoparlante. La prima parte del mio viaggio quotidiano sarà probabilmente… come dire… compressa.

Arriva il treno, riesco a salire con difficoltà a causa delle persone che sostano nel vestibolo. Con qualche sforzo riesco a entrare nello scompartimento. Non c’è ovviamente posto a sedere, mi sostengo come posso alla sommità di un seggiolino. La mia sistemazione non è molto stabile, non posso far altro che reggermi e aspettare che il viaggio passi. Peccato perché ero arrivata a un punto chiave nel libro che sto leggendo.

Arrivo alla stazione dove devo cambiare treno con qualche minuto di ritardo, mi affretto a raggiungere il binario giusto. Appena imboccato il sottopassaggio, sono travolta da un’ondata di altri pendolari che si muovono in massa in direzione opposta alla mia a causa di una variazione del binario del loro treno, comunicata, come sempre, all’ultimo momento. Passata la valanga umana, il sottopassaggio rimane semi-vuoto. Dal fondo del tunnel sento echeggiare un frastornante rutto, seguito da grasse risate e commenti impronunciabili: realizzo subito che si tratta del solito gruppo di studenti svogliati, con cui spesso devo condividere il viaggio. Oggi però, per fortuna, hanno altri programmi e si dirigono allegramente verso l’uscita.

Il secondo treno è stranamente quasi vuoto e il viaggio tranquillo, nonostante ciò l’umore non migliora. Dal finestrino, guardo i girasoli rimasti nei campi. Non sembrano proprio le stesse piante di qualche mese fa, sempre alla ricerca dei raggi del sole, con i petali di quel bel colore giallo brillante che mi mette tanto di buonumore. Adesso sono smorti, avvizziti e ingobbiti, come spettri.

Arrivata a destinazione, entro nel bar. Stamani prenderò solo un caffè, non sono dell’umore giusto per il cappuccino: ho bisogno di svegliarmi. Dalla radio arrivano note inconfondibili, mi concentro sulla musica, e non sono sola: anche il barista si lascia andare e libera le sue insospettabili doti di vocalist.

Voglio una vita spericolata 

Voglio una vita come quelle dei film

Voglio una vita esagerata

Voglio una vita come Steve Mc Queen

Dalla mia borsa arriva un fastidioso beep, è un SMS: ”Ci sei vero? La riunione è alle nove e mezzo”. Rispondo velocemente: “Sto arrivando”.

Voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai…

Veramente io ho un gran sonno stamani e avrei dormito volentieri un altro po’…

Voglio una vita, la voglio piena di guai…

Se faccio tardi alla riunione di stamani effettivamente potrei essere accontentata in questo senso.

Ehhhh

Ed eccolo, l’immancabile ”ehhhh” liberatorio, una costante irrinunciabile in tutte le canzoni di Vasco, per l’occasione enfatizzato e amplificato dalla possente ugola del barista.

E poi ci troveremo come le star a bere del whisky al Roxy Bar, o forse non ci troveremo mai, ognuno a rincorrere i suoi guai.

Indugio ancora un po’ davanti al bancone: ormai voglio godermela tutta, la canzone.

Ognuno col suo viaggio ognuno diverso, ognuno in fondo perso dentro ai cazzi suoi…

Quando finalmente mi riprendo da questa specie di trance musicale, mi rendo conto che ho passato tutto il tempo a far girare a vuoto il cucchiaino nella tazzina, ancora non ho bevuto nemmeno un po’ di caffè. Ed è già freddo, accidenti.

(Ferro)vie di fuga

2013-09-24 17.14.24-1

Mattinata di inizio autunno, sul primo treno della mattina. Ancora mezza addormentata, scribacchio con il computer. Intanto due signore sui sedili di fianco al mio:

Basta, uno di questi giorni prendo e vado ad Arezzo!

– Sai che ti dico? Ci vengo anch’io questa volta! Conosco un sacco di posti lì…

– Tanto, con cinque o sei euro, in treno ci si va!

Intanto, nei posti dietro di me, due adolescenti discutono di scuola:

Che orario c’hai te oggi a scuola?

– Matematica-Matematica-Lettere-Lettere-Latino…

– Che orario di merda!

– Tanto faccio forca, ho già fissato con un mio amico a Firenze!

… e io?  Confesso, il mio pensiero è stato “E se invece di cambiare treno alla prossima stazione, come ogni giorno, stamani  rimanessi su questo, che arriva fino al mare?” Però il senso del dovere e la forza dell’abitudine hanno prevalso e alla fine  ho resistito… Ma uno di questi giorni prendo e vado ad Arezzo!

Non può piovere per sempre

I miei post, prima di essere pubblicati qui, nascono, generalmente proprio sul treno, in un quadernino rosso pieno di cancellature, scarabocchi, disegnini e ripensamenti, poi la sera dopocena vengono ripuliti e riscritti con Word e infine copiati e incollati qui. Per questo motivo tra il concepimento del post e la sua nascita vera e propria passano in genere un paio di giorni. Questa introduzione è per spiegare perché oggi, in una fredda e assolata mattina di fine autunno – inizio inverno, pubblico un post che parla di pioggia.

Quando li ho visti salire sul treno, stamani, ho capito che avevo sbagliato i miei calcoli. Avendo visto il cielo sereno con qualche innocua nuvoletta, mi ero messa le scarpe scamosciate e soprattutto, prima di partire, avevo steso il bucato fuori. Ma la presenza sul treno dei venditori di ombrelli è inequivocabile: oggi pioverà. La loro affidabilità è quasi perfetta, mi piacerebbe sapere quale sito o canale del meteo consultano.  Alla stazione spuntano da ogni angolo appena cadono le prime gocce, offrendo per pochi euro un riparo al viaggiatore sprovveduto che è partito da casa, magari di fretta, come me, confidando nella clemenza del tempo.

Tipicamente i prodotti offerti da questi venditori improvvisati sono tre: ombrellini ripiegabili, facilmente trasportabili in borsa, ombrelli classici più grandi e impermeabili di plastica. Più di una volta questi ragazzi mi hanno salvato da una doccia quasi certa. Diverse volte ho acquistato un ombrellino ripiegabile. Il modello è sempre lo stesso, disponibile in vari colori e fantasie. Di solito li compro tinta unita, l’ultimo era di un bel giallo brillante, scelto così per dare un tocco di colore a una giornata di per sé grigia. Il problema di questi ombrellini è l’affidabilità: praticamente sono usa e getta. Dopo un paio di utilizzi una delle stecche inizia mestamente a penzolare e l’ombrello assume una triste postura ripiegata. Il failure si verifica tipicamente nel momento di massima violenza della pioggia. Al minimo alito di vento si ribaltano lasciando il povero utente sotto lo scroscio di pioggia battente. Essendo piuttosto imbranata e scoordinata e viaggiando spesso con parecchie cose addosso e per la testa, in questi casi sono in particolare difficoltà. Giusto pochi minuti fa stavo camminando con passo svelto verso la stazione sotto la pioggia, riparata da uno di questi ombrellini. Una borsa su ognuna delle spalle: sulla destra quella con portafoglio, libro, chiavi, trucchi, ecc. sulla sinistra quella da lavoro con il computer, il quaderno per gli appunti, alcuni articoli da leggere, una tesi da correggere. Con una mano reggevo l’ombrello e con l’altra tenevo il cellulare all’orecchio, stavo discutendo con un collega un lavoro in scadenza. Alla prima inaspettata folata di vento, l’ombrello si è rigirato e due stecche si sono rotte. Come se non bastasse, la borsa del computer mi è scivolata dalla spalla, la tracolla si è incastrata con la sciarpa, che praticamente mi ha strozzato. Con qualche difficoltà sono riuscita  goffamente a recuperare la borsa e evitare di soffocare, ma il riparo dalla pioggia è uscito seriamente compromesso da questa piccola disavventura e sono arrivata alla stazione con il giubbotto per metà fradicio.

Il record negativo di durata l’ho battuto lo scorso inverno, una domenica pomeriggio. Dovevo andare in centro a Firenze, scesa dal treno mi sorprese un improvviso e abbondante acquazzone. Comprai un grazioso ombrellino azzurro all’uscita della stazione. All’angolo con via Nazionale (vale a dire approssimativamente dopo cinquanta metri dall’acquisto) il nuovo ombrello mi abbandonò cedendo alla violenza delle intemperie. Sarei dovuta tornare indietro e pretendere la sostituzione: insomma, va bene che avevo speso solo cinque euro, ma un minimo di garanzia ci dovrebbe essere, no? Ma era tardi per l’appuntamento dove mi dovevo recare e lasciai perdere.

Le rare volte in cui riesco a partire da casa organizzata prendo un ombrello più grande. Ma mi impiccia: in treno non so mai dove metterlo, specialmente se è fradicio. Allora lo nascondo nello spazio tra due coppie di seggiolini tra loro opposti. Lì non dà fastidio a nessuno, ma la probabilità di dimenticarlo è alta e diventa praticamente una certezza se nel frattempo, all’arrivo, smette di piovere.

Concludo con un ultimo aneddoto che ha per protagonisti la pioggia e gli ombrelli, ma anche le leggi del mercato, della relazione tra domanda e offerta: in una bancarella in centro, in un giorno di pioggia, ho letto un cartello con su scritto: “Qui ombrelli a 3 euro, quando piove a 5 euro”.

cello rain

Storiella naïf

Siamo ancora in aperta campagna e il treno rallenta, probabilmente a causa del solito passaggio a livello. Il binario corre lungo un argine abbandonato, infestato da rovi, edera e canne disordinate. Non siamo in uno di quei punti in cui merita distogliere l’attenzione da ciò che si sta facendo per guardare fuori dal finestrino, non c’è niente di bello qui e neppure di interessante. Non ci sono le colline dalle curve dolci, dipinte con i bellissimi colori dell’autunno, non c’è quella luce quasi onirica che si crea quando il sole  tenta di penetrare lo strato di nebbia mattutino, non ci sono le nuvole rosa del tramonto. C’è solo una brutta siepe incolta. Nonostante ciò, alzo per un attimo lo sguardo dalle pagine del libro e noto una presenza inusuale lì fuori, che mi sta fissando e oscillando cerca di catturare la mia attenzione. E’ un palloncino giallo, ha la forma del canarino Titti, è un po’ sgonfio e si trova lì perché il suo filo è rimasto intrappolato tra i fitti rami e le spine di un arbusto selvatico. Il vento leggero lo fa ondeggiare, ma i rami lo trattengono saldamente e non lo fanno fuggire.

Non è questa la prima volta che ci incontriamo, il palloncino ed io. Me lo ricordo, ieri mattina, insieme ai suoi amici palloncini, che svolazzava in mezzo alla piazza del paese. C’era la fiera, con le bancarelle variopinte, il profumo delle caldarroste, i colori dei dolciumi, le grida dei venditori per attirare l’attenzione delle signore, le corse dei bambini, i gruppi di vecchietti nelle panchine al sole. Il mio palloncino era davanti a tutti gli altri che cercava di farsi notare. E c’era  riuscito: proprio mentre passavo di lì una bambina bionda con le trecce si era fermata davanti al venditore di palloncini, aveva iniziato a piangere e si rifiutava di muoversi. La mamma non ci faceva troppo caso, poiché aveva incontrato una sua amica e stavano parlando animatamente, mentre il babbo, infastidito, alla fine aveva ceduto. Così il palloncino giallo era finalmente riuscito ad andarsene dal gruppo degli altri palloncini. Mentre la bambina e i suoi genitori si allontanavano, si era anche girato verso i suoi vecchi compagni per salutarli. Non so cosa sia successo dopo. Forse, mentre erano sulla via di casa, il filo del palloncino si è rotto. Forse la bambina ha pianto, forse il babbo è dovuto tornare indietro a ricomprarne un altro. E così il mio palloncino giallo, finalmente libero, ha svolazzato ancora un po’ sopra le case, sugli alberi dei giardini, ed è arrivato fino alla ferrovia. Alla fine, stanco di volare, ha perso quota e il pezzo di filo che gli era rimasto attaccato si è impigliato al rovo vicino ai binari. Ed è da lì che stamani mi ha salutato.

Il treno finalmente riparte lasciando dietro di sé la brutta siepe e il palloncino.

La sera, al ritorno, con lo sguardo cerco nuovamente il palloncino giallo sull’argine abbandonato, ma non c’è più. Chissà, forse, una volta riposato, è riuscito finalmente a liberarsi dal ramo che lo aveva catturato e ha deciso di riprendere a girovagare per il mondo.

2013-09-01 17.28.28

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