L’autunno nel mondo pendolare è una stagione di inizio. Ripartono le scuole, i corsi universitari, qualcuno ha trovato lavoro, qualcuno è stato trasferito… Forse questo è il periodo dell’anno in cui ci sono più novità, in fondo.
Quelli nuovi si riconoscono facilmente, non sono ancora abituati alla routine pendolare e la subiscono un po’. La mattina arrivano con molto anticipo, girano incerti su e giù per la banchina, ricontrollano per sicurezza che il numero del binario sia giusto, l’orario corretto. Non di rado si avvicinano e ti chiedono se il loro treno è già passato. Se sono in gruppo, li senti chiacchierare tra loro con entusiasmo e vivacità del nuovo lavoro, dei nuovi corsi, dei nuovi colleghi…
Ricordo la sottile tensione dei primi tempi, quando passavo la maggior parte del viaggio a guardare dal finestrino, cercando di costruirmi dei punti di riferimento. Ricordo con quanto anticipo iniziavo a prepararmi per scendere, adesso spesso e volentieri quando il treno si ferma alla mia stazione ho ancora il libro aperto o il computer acceso. Ricordo come la sera, con il buio, cercavo di riconoscere qualcosa di familiare nel panorama fuori, proteggendomi dalla luce della carrozza con le mani intorno agli occhi, appiccicati al finestrino. Con il tempo ho sviluppato le mie facoltà propriocettive al punto che riconosco la parte del tragitto in cui mi trovo dalle oscillazioni del vagone e dal rumore: le curve, gli scambi, la differenza di vibrazioni nella parte nuova della linea rispetto a quella vecchia. Una specie di simbiosi con il treno, insomma. Ho imparato a svegliarmi cinque minuti prima della sveglia, per evitare che suoni, ad arrivare alla stazione giusto un paio di minuti prima del treno, a scegliere la carrozza al ritorno in modo da fermarmi più vicino possibile al sottopassaggio che mi porta all’uscita. Non so se sia una cosa positiva, ma di fatto questi automatismi mi permettono di estraniarmi dalla realtà pendolare e di concentrarmi su altre attività, recuperando almeno parte del tempo necessario per il viaggio.
Quindi, a tutti i pendolari nuovi, a cui vedo che stanno già spuntando le occhiaie grigiastre della levataccia mattutina, un caloroso benvenuto e un grosso in bocca al lupo!
Adattamento si chiama. Trovo ottimo e utile allo sopravvivenza innescare automatismi e questo tuo pezzo lo trovo poetico
eh sì, proprio adattamento… grazie per il poetico! 😀
ma vorrei rincare la tua dose di “poetico”, se possibile. la simbiosi con le oscillazioni del treno, con le vibrazioni, gli scambi, quel qualcosa che ti consente di addormentarti secco come un peperone e svegliarti esattamente quei tre secondi prima della fermata senza entrare nel panico da “oh-oh, sto arrivando al capolinea”.
non tutti gli automatismi vegnono per nuocere, e la chiave è proprio quella, concordo per te: meno hai da badarci, più puoi concentrati su altro.
rincare=rincarare
Io non riesco a dormire sul treno, invidio un po’ quelli che lo fanno… 🙂
In bocca al lupo anche da parte mia! Per me la cosa più emozionante è vedere, anno dopo anno, arrivare magari i figli degli amici (anche il proprio…), gli incontri che diventano amicizie e poi amori… e l’invidia con un filo di dispiacere per quelli che vanno in pensione, e non pendoleranno più, togliendoci quel pezzetto di relazione quotidiana a cui ci si era affezionati.
E’ vero, anno per anno i pendolari cambiano, crescono, è un microcosmo di varia umanità di cui facciamo parte, almeno per qualche ora al giorno…
Però non rimanere sui binari …
no, no, tranquilli… è un binario non utilizzato 😀
un sospiro …
😀
Ho sviluppato gli stessi automatismi… praticamente la nostra seconda casa 😉
Eh sì, la seconda casa viaggiante… 😀
Io la chiamo ottimizzazione! Ed è una pratica che mi rende sempre insensatamente entusiasta… la scelta del vagone più prossimale alle scale di uscita per esempio per me è pura poesia quotidiana 🙂
La sera specialmente, al rientro, ogni metro risparmiato è prezioso 😀