Nonostante tutto… la vita da pendolare può essere anche divertente, basta prenderla con leggerezza e un po’ di bella musica 😀
Nonostante tutto… la vita da pendolare può essere anche divertente, basta prenderla con leggerezza e un po’ di bella musica 😀
Sul treno, c’è chi legge, chi dorme, chi chiacchiera con il vicino, chi con il cellulare, chi gioca con il tablet, chi scrive, chi guarda fuori dal finestrino…
… e poi c’è chi, andando a Boston con il treno e ascoltando lo sferragliare delle ruote sui binari, prende ispirazione per comporre questa cosa qui 😀
Gli ingredienti per una giornataccia, stamani, ci sono tutti. Una nebbia fitta mista avvolge la stazione e, insieme ad una pioggerellina insistente, rende l’atmosfera fredda e inospitale. C’è ancora poca luce, le giornate si stanno accorciando velocemente e il mio umore è dello stesso colore del cielo. La banchina è più affollata del solito, capisco presto il motivo: il treno precedente al mio è stato soppresso, ci informa la voce sintetica dell’altoparlante. La prima parte del mio viaggio quotidiano sarà probabilmente… come dire… compressa.
Arriva il treno, riesco a salire con difficoltà a causa delle persone che sostano nel vestibolo. Con qualche sforzo riesco a entrare nello scompartimento. Non c’è ovviamente posto a sedere, mi sostengo come posso alla sommità di un seggiolino. La mia sistemazione non è molto stabile, non posso far altro che reggermi e aspettare che il viaggio passi. Peccato perché ero arrivata a un punto chiave nel libro che sto leggendo.
Arrivo alla stazione dove devo cambiare treno con qualche minuto di ritardo, mi affretto a raggiungere il binario giusto. Appena imboccato il sottopassaggio, sono travolta da un’ondata di altri pendolari che si muovono in massa in direzione opposta alla mia a causa di una variazione del binario del loro treno, comunicata, come sempre, all’ultimo momento. Passata la valanga umana, il sottopassaggio rimane semi-vuoto. Dal fondo del tunnel sento echeggiare un frastornante rutto, seguito da grasse risate e commenti impronunciabili: realizzo subito che si tratta del solito gruppo di studenti svogliati, con cui spesso devo condividere il viaggio. Oggi però, per fortuna, hanno altri programmi e si dirigono allegramente verso l’uscita.
Il secondo treno è stranamente quasi vuoto e il viaggio tranquillo, nonostante ciò l’umore non migliora. Dal finestrino, guardo i girasoli rimasti nei campi. Non sembrano proprio le stesse piante di qualche mese fa, sempre alla ricerca dei raggi del sole, con i petali di quel bel colore giallo brillante che mi mette tanto di buonumore. Adesso sono smorti, avvizziti e ingobbiti, come spettri.
Arrivata a destinazione, entro nel bar. Stamani prenderò solo un caffè, non sono dell’umore giusto per il cappuccino: ho bisogno di svegliarmi. Dalla radio arrivano note inconfondibili, mi concentro sulla musica, e non sono sola: anche il barista si lascia andare e libera le sue insospettabili doti di vocalist.
Voglio una vita spericolata
Voglio una vita come quelle dei film
Voglio una vita esagerata
Voglio una vita come Steve Mc Queen
Dalla mia borsa arriva un fastidioso beep, è un SMS: ”Ci sei vero? La riunione è alle nove e mezzo”. Rispondo velocemente: “Sto arrivando”.
Voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai…
Veramente io ho un gran sonno stamani e avrei dormito volentieri un altro po’…
Voglio una vita, la voglio piena di guai…
Se faccio tardi alla riunione di stamani effettivamente potrei essere accontentata in questo senso.
Ehhhh
Ed eccolo, l’immancabile ”ehhhh” liberatorio, una costante irrinunciabile in tutte le canzoni di Vasco, per l’occasione enfatizzato e amplificato dalla possente ugola del barista.
E poi ci troveremo come le star a bere del whisky al Roxy Bar, o forse non ci troveremo mai, ognuno a rincorrere i suoi guai.
Indugio ancora un po’ davanti al bancone: ormai voglio godermela tutta, la canzone.
Ognuno col suo viaggio ognuno diverso, ognuno in fondo perso dentro ai cazzi suoi…
Quando finalmente mi riprendo da questa specie di trance musicale, mi rendo conto che ho passato tutto il tempo a far girare a vuoto il cucchiaino nella tazzina, ancora non ho bevuto nemmeno un po’ di caffè. Ed è già freddo, accidenti.
Oggi pomeriggio il treno è particolarmente tranquillo, un’ottima occasione per andare un po’ avanti con il mio libro. Immersa nella lettura, non mi accorgo che in una delle innumerevoli fermate intermedie è salito un ragazzone, grande e grosso, con il cavallo dei jeans pericolosamente basso, una felpa scura e una cesta di capelli arruffati. Nonostante lo scompartimento sia quasi vuoto, siede in uno degli strapuntini del vestibolo, lo vedo dal vetro della porta che separa le due aree.
La mia attenzione viene catturata da questo personaggio nel momento in cui lo vedo piegarsi in avanti, lentamente. “Oddio, si sarà sentito male?” penso tra me e me, mentre la sua schiena continua a incurvarsi e il suo mento ormai tocca la punta delle ginocchia. Quando ormai penso che stia per rovinare per terra, con uno scatto si tira su. Ma non si ferma, arrivato all’apice, la testa di nuovo protende in avanti. Questa volta non si piega troppo, inizia a oscillare, avanti e indietro, lentamente. A questo punto inizio a pensare che abbia qualche problema al livello neurologico, non riesco a spiegarmi certi spasmi altrimenti. Sta ancora oscillando pericolosamente quando le sue mani, distese sulle cosce, si chiudono in una posa quasi rattrappita, la destra, al livello della vita, inizia a ruotare spasmodicamente, la sinistra un po’ più in alto, si muove a scatti. “Deve avere proprio dei problemi grossi”, penso. La testa continua a oscillare, sempre più velocemente, come in trance.
Ed ecco, alla fine, la risposta. La porta si apre e dal vestibolo sento un brusio ritmato, inizio a intuire la soluzione del mistero, che mi è chiara quando vedo dalle orecchie del ragazzo spuntare due fili bianchi che vanno a finire nella tasca dei jeans: sta solo ascoltando la musica con le cuffiette e si è fatto un po’ troppo prendere dall’assolo di chitarra probabilmente. Ed io, che pensavo fosse un po’ pazzerello… in realtà era soltanto lanciato in un’improvvisata esibizione di “air guitar”!! Piuttosto… chissà qual era il pezzo che stava ascoltando con così tanto trasporto…
Adoro la musica, in tutte le sue forme e in tutti i suoi generi, o quasi. Penso che sia un’arte sublime, in grado di innalzare lo spirito umano e trascendere dalla quotidiana realtà terrena. La ascolto, la seguo, la amo e, nei limiti delle mie capacità, la pratico.
In un viaggio pendolare però talvolta anche la musica può diventare un elemento di disturbo. Come stamattina. Nella mia carrozza c’è il solito gruppo di giovincelli che vanno a scuola. Il capobranco di oggi è un tipetto magro e pieno di brufoli, con i capelli pettinati alla moda, ottenuti probabilmente facendoci nidificare qualche specie di uccello arboricolo. Si è conquistato il titolo di star del giorno perché sfoggia un nuovo telefono.
“Ma non dovevi prendere il quattroesse?” chiede una ragazzina, con un tono ammirato e un pizzico invidioso.
“No ho convinto il mi’ babbo a prendermi il cinque, dato che ho recuperato l’insufficienza in matematica”
Per rendere partecipe tutto lo scompartimento della sua nuova conquista pensa bene mettersi ad ascoltare la musica con il nuovo congegno tecnologico, a tutto volume, senza cuffie, con l’aggravante di riprodurre ciclicamente sempre la stessa canzone. Si tratta di Pronti, partenza, via di Fabri Fibra.
Per chi non la conoscesse e per chi se la vuole riascoltare, ecco qui il video:
Ok, il rap non è tra i miei generi preferiti, lo ammetto, ma questa canzone, sentita un paio di volte alla radio, fino a stamattina non mi dispiaceva troppo, sarà per il motivetto semplice da memorizzare (pronti, partenza, via, si va per mari e monti…), le tematiche calde toccate…
Ma, dopo averlo sentito e risentito, almeno quattro o cinque volte di seguito, alle sette di mattina, in un treno affollato di pendolari, ha decisamente smesso di piacermi. Avesse avuto, il ragazzetto molesto, uno di quei vecchi walkman che avevamo ai miei tempi (come mi sento obsoleta quando faccio questi ragionamenti!), glielo avrei preso, avrei estratto la cassetta, l’avrei pestata fino a tritarla e avrei fatto volare i resti fuori dal finestrino. Ma al giorno d’oggi la musica è fatta di bit registrati nella memoria di un costosissimo smartphone e non mi sembra il caso di sottrarglielo per frantumarlo.
Oltretutto, all’ascolto forzato del rapper nostrano, come pena aggiuntiva, c’è toccata anche la visione delle evoluzioni scoordinate del ragazzo, nel goffo tentativo di improvvisare un balletto, e il suo infelice controcanto. Da cantante dilettante riconosco la difficoltà di riprodurre un brano di quel genere, che non sta tanto nella melodia, di per sé piuttosto semplice, ma nell’esecuzione a tempo del testo: uno scioglilingua da ripetere velocissimamente senza poter riprendere fiato. E, infatti, il nostro rapper pendolare arranca dietro il cantante: parte con le parole giuste, si vede che le conosce bene (devo dire che dopo stamani anch’io ormai le so a memoria, ahimè), ma si confonde verso la metà di ogni verso, che diventa via via un biascichio sempre più incomprensibile, per riprendersi poi alla fine:
Burocrazia
L’Italia si squaglia cm brr… em….ZIA
Una bella idea
Arriva smpr tte..ONDA
Come la polizia
….
Roba magica simsalabim
Ma al microf.. em br… ah… PIN….
Avrei potuto spostarmi in un’altra carrozza, ma ormai mi ero sistemata e mi faceva un po’ fatica. E poi, lo ammetto, anche se in molti loro atteggiamenti questi ragazzi sono fastidiosi, anche parecchio, in fondo in fondo mi diverto a guardare le loro esibizioni mattutine. Me ne sono accorta, sapete, che quello faceva il galletto (rompendo le scatole a tutto lo scompartimento) per farsi notare dalla morettina un po’ emo seduta più avanti con due sue amiche…
Finalmente i ragazzi arrivano a destinazione e, in modo disordinato e scomposto, spintonandosi e sbattendo gli zaini da tutte le parti, scendono lasciando il treno in un surreale silenzio. Che dire, a quel giovinetto auguro tutto il bene del mondo: di conquistare la sua morettina, di mantenere la sufficienza a matematica e anche in tutte le altre materie, così il babbo potrà comprargli tutti gli aggeggi tecnologici che vorrà (e magari anche un paio di cuffie). Ma se potessi dargli un consiglio, gli direi di non tentare la strada del rapper, non mi pare proprio portato.
Chi l’ha detto che la vita del pendolare è monotona? Ogni viaggio è una sorpresa, bella o (spesso ahimè) brutta. Quello di stamani ad esempio come posso definirlo? Non saprei, diciamo insolito. Ad attendermi alle 7.20 sul binario c’è una serie di carrozze nuove di zecca, come ieri, wow! Allora non è una coincidenza! Devono essere quelle di cui parlavano i quotidiani locali qualche giorno fa, acquistate dalla Regione per i treni pendolari. A dire il vero non speravo che toccassero proprio a me. Ne scelgo una, salgo i gradini, entro, mi accoglie un’atmosfera insolita. Sento una musica nell’aria, a volume piuttosto alto, cerco la sorgente e mi accorgo con sorpresa che proviene dagli altoparlanti all’interno del vagone. Si tratta della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, o, meglio, ascoltando con attenzione, di un pezzetto di quel brano di circa trenta secondi, riproposto ciclicamente. L’aria condizionata piuttosto gelida e il ritmo serrato del pezzo mi svegliano bruscamente dal torpore mattutino, come uno schiaffo. Mi siedo, per fortuna il treno è poco affollato, accendo il computer e inizio a lavorare. Alle note Wagner intanto si sostituisce la voce del capotreno, che con tono chiaro e gentile ci informa sulle fermate intermedie e sull’orario di arrivo. Sono proprio contenta, non sono abituata a viaggiare in condizioni così confortevoli (l’aria condizionata è un po’ freddina, è vero, ma è sempre meglio di quando è rotta e il treno si trasforma in una fonderia). Lo so, non mi devo illudere, domattina probabilmente ci sarà il treno scassato degli altri giorni, ma per ora godiamoci il presente. Mentre mi abbandono a queste riflessioni ricche di soddisfazione, immagino un mondo di treni perfetti con temperatura perfetta e orari perfetti, una goccia di acqua dal soffitto cade proprio nel mezzo della tastiera del mio MacBook. Alzo lo sguardo e mi accorgo che, proprio sopra di me, lungo la canalina che percorre tutto il vagone, c’è una grossa fessura, da cui gocciola la condensa dell’aria condizionata. Ecco, appunto, mi sembrava che funzionasse tutto troppo bene! A parte questo piccolo neo, al quale ovvio semplicemente cambiando posto a sedere, il viaggio procede regolarmente: partenza e arrivo in orario, tutto calmo, a parte la consueta scenetta tra controllore e passeggero senza biglietto. Arrivo in ufficio più contenta del solito e la giornata lavorativa si rivela rilassata e proficua. Insomma, inizio a illudermi che forse il sistema funzioni. E rifletto anche su come sarebbe bello, quanto migliore sarebbe la nostra vita, se il sistema funzionasse!
Ma… che post sarebbe se non ci fosse un ma? E, infatti, come dice mia nonna, “poggio e buca fan pari”, per ristabilire il consueto tasso di disagio e malumore quotidiani, durante il viaggio di ritorno succede di tutto. Arrivo alla stazione e il binario del mio treno non è segnato sul tabellone. Il treno precedente, il locale che si ferma in tutte le stazioni, è previsto con trentacinque minuti di ritardo. I treni provenienti dalla direzione opposta viaggiano con ritardi di quindici e trentacinque minuti. Completano il quadro trentasette gradi di temperatura esterna e un’umidità assurda. Ho un brutto presentimento che presto si materializza: il locale viene soppresso e il mio cosiddetto regionale veloce oggi deve fare tutte le fermate… Tranne la mia ovviamente! Quindi, dovrò comunque cambiare treno a metà strada, ma con queste perturbazioni mi salteranno tutte le coincidenze.
Mentre scrivo, sono appena partita, il treno è pieno zeppo a causa della cancellazione di quello precedente, in un gruppetto più avanti, altri pendolari, si stanno raccontando a vicenda storie di ordinaria follia ferroviaria, storie di treni soppressi, spostati, compressi… Chissà a che ora arriverò?
La quotidianità del pendolare talvolta può assumere aspetti un po’ surreali… Una mattina di qualche tempo fa, arrivata alla stazione intermedia in cui solitamente cambio treno, ad accogliermi non c’è la consueta caffettiera arrugginita a gasolio, ma un nuovissimo Minuetto appena spacchettato, lucido, all’interno del quale regna un gradevole odore di vernice fresca e silicone, tipico delle cose nuove, insolito per le mie narici. “Che bello! Forse si inizierà a viaggiare in modo decente, finalmente!” Pia illusione… in realtà già il giorno dopo lo sferragliante trenino arrugginito aveva ripreso il suo posto e il sogno era svanito.
Comunque, tornando a quella mattina, salgo contenta sul Minuetto e, appena seduta, inizio a lavorare con il computer. Accanto a me ci sono tre studenti universitari: due ragazzi e una ragazza, concentrati sui loro appunti, dato che è un periodo di esami.
Il primo evento surreale della mattina si verifica quando la voce meccanica dell’”Omino di Trenitalia” (è il nome che ho dato alla voce automatica che nelle stazioni e sui treni proclama gli annunci) inizia a elencare le varie stazioni intermedie e il tempo previsto di arrivo: l’altoparlante è evidentemente regolato un po’ male, visto che ha un eco pazzesco, sembra di sentire il Papa in piazza S. Pietro la domenica mattina.
Una volta partiti, il trenino nuovo fiammante inizia ad avventurarsi sulla scalcinata linea regionale. Forse un trenino così bellino meritava una linea un po’ meglio, non lo so, forse non se la sente di percorrere quel tragitto, sta di fatto che dopo poco iniziano delle fastidiosissime vibrazioni nella direzione di marcia, a frequenza molto bassa, di entità tale da dover chiudere il computer, visto che il monitor oscilla in modo innaturale e, oltre a non riuscire a leggere, ho paura che si rompa proprio.
Metto via il computer e inizio a leggere il mio librino.
Nella stazione successiva salgono quattro ragazze rom, con le loro gonne variopinte e le lunghe trecce nere, che si siedono nei seggiolini dietro al mio. Il treno riparte e ricomincia il solito moto di shaker avanti e indietro. Lentamente, appena accennato, una delle quattro ragazze intona un canto struggente. Man mano che procediamo il volume aumenta. Il ritmo della musica è sincrono con le oscillazioni del treno, la melodia è monotona e, pur non essendo esperta di musica etnica, mi pare un po’ stonata. Insomma, una vera goduria per le orecchie. I tre ragazzi si distraggono sempre più spesso dagli appunti, a uno scappa da ridere, gli altri due sono un po’ infastiditi. Le tre amiche della nostra cantante commentano rumorosamente la performance. Immagino che nella loro lingua le dicano di smettere, visto che è stonata come una campana. Invece temo che non sia così, dato che dopo poco una seconda si unisce al canto per dar vita a un simpatico duetto, il cui volume ha raggiunto svariati decibel. Il canto assume natura polifonica, le stonature si sommano tra loro e si combinano con il movimento oscillatorio della carrozza. In certi momenti il canto sembra spengersi, ma dopo un attimo di silenzio, all’improvviso, riparte piu` forte di prima. Adesso sono in tre.
I tre studenti rinunciano agli appunti, non è proprio la mattinata adatta per lo studio. Uno dei tre, disperato, si getta in ginocchio nel corridoio e inizia a supplicare: “Vi prego! Non ce la faccio più! Devo studiare, ho un esame tra due ore, almeno abbassate il volume!”. Le tre ragazze si mettono a ridere, smettono per un po’, ma non ce la fanno proprio a stare zitte e buone e ricominciano a cantare, anche se più piano. E così, con questa bella colonna sonora, arriviamo a destinazione. Scendo dal treno con un po’ di sollievo per i miei timpani, ma anche con un pizzico di invidia per queste quattro ragazze che, alle sette di mattina, hanno già voglia di cantare.
L’ispirazione per questo post mi è venuta alcuni giorni fa, quando ho sentito, in un brevissimo intervallo di tempo:
I tre eventi si sono ripetuti con una cadenza perfetta, neanche il più bravo deejay avrebbe potuto fare meglio. Allora mi sono divertita a riassumere in un post quella che potrebbe essere la colonna sonora di una pendolare media come me, quando si dimentica a casa le cuffie per ascoltare in santa pace le sue canzoni preferite.
Ecco il risultato.
Le suonerie più frequenti, che però mi fanno sobbalzare e destare dal consueto torpore del viaggio, sono quelle tipo “old phone” o “old ring” a seconda dei modelli, perché anche io ce l’ho sul mio telefono: ogni volta che la sento, anche se palesemente proviene dalla parte opposta della carrozza, istintivamente tiro fuori dalla borsa il mio cellulare e controllo che nessuno mi abbia chiamato.
I più sofisticati si sbilanciano con la musica classica: la toccata e fuga in Re minore di Bach, la sinfonia in Sol minore n. 40 K 550 di Mozart, la serenata in Sol maggiore K 525, sempre di Mozart, la quinta Sinfonia di Beethoven, la Marcia di Radetzky di Strauss (che mi fa sempre venire in mente il concerto di Vienna primo dell’anno).
Sotto Natale è frequente sentire qualche telefonino che augura a chi riceve la chiamata e a tutti i suoi vicini di seggiolino un allegro “We wish you a merry Christmas…”
Molto divertenti sono (secondo me) le sigle delle trasmissioni televisive, in particolare quelle dei tg… non so perché ma mi fanno ridere.
Alcuni, penso per paura di non sentire, tengono il volume altissimo e usano come suoneria dei veri e propri allarmi, tipo quelli che si sentono nelle centrali nucleari, udibili a un chilometro di distanza.
Poi ci sono quelli che mettono come suonerie i versi degli animali. Un signore che conosco, pendolare come me tra l’altro, ha personalizzato la suoneria a seconda di chi chiama, in particolare per la moglie ha messo il barrito di un elefante (che carino!). Un po’ di tempo fa sui cellulari circolava anche un odioso gattino, che con voce melliflua implorava di rispondere al telefono. Roba da far convertire anche il più imperterrito degli animalisti.
Tra i ragazzini va molto di moda usare come suoneria la colonna sonora di un film: molto gettonata quella di Trinità, ma anche Pulp Fiction si sente spesso. Le ragazze preferiscono invece le hit del momento, oppure qualche evergreen: proprio venerdì c’era qualcuno sulla mia carrozza il cui cellulare si animava con le note di “Come mai” degli 883.
Una volta ho sentito un cellulare rivolgersi così al proprio padrone:
“Capo pattuglia chiama Corvo… rispondi Corvo!
Capo pattuglia chiama Corvo…
Capo pattuglia a Corvo… rispondimi Johnny!”
E io a pensare: “Rispondigli, ti prego, sennò ci tocca ascoltare tutto Rambo…”
Tutte queste melodie si intrecciano e si fondono in un tortuoso remix, nel quale si inseriscono di tanto in tanto i vari “dlin dlon”, gli aggiornamenti del capotreno sul ritardo maturato (ahimè) e le conversazioni delle persone che rispondono. Quando scendo certe volte mi sembra di uscire da una discoteca!