E’ (quasi) primavera, svegliatevi bambine!

Ieri pomeriggio invece del treno ho preso l’autobus per tornare a casa. Passo il tempo leggendo un libro e ammirando il panorama, diverso dal solito. E’ una bellissima giornata e la primavera, un po’ anticipata a dire il vero, sta iniziando a rivestire gli alberi spogli di candidi e fragili fiorellini. Ed è anche venerdì, tutto questo mi mette decisamente di buon umore.

Lo stato d’animo fresco e leggero del pomeriggio marzolino è condiviso anche dalle mie compagne di viaggio di oggi: tre ragazzine al ritorno da scuola che discorrono allegramente dei programmi per il prossimo fine settimana, del tono migliore per lo shatush che intendono farsi a breve e di chi è stato taggato di recente in qualche foto su Facebook. Gli argomenti della conversazione, in cui sono mio malgrado coinvolta a causa della ridotta distanza, non sono a dire il vero di mio interesse, per cui riesco abbastanza bene a concentrarmi sulla lettura. Ad un certo punto però la mia attenzione viene catturata.

“Ma scusa, INERZIA dove si trova di preciso? Non mi ricordo mai se è nel Molise o nella Basilicata”

“Come?”

“INERZIA, la città, dove si trova?”

“Ah, Ah, che scema che sei, INERZIA non è mica una città!”

“Ma che dici?”

“INERZIA non è mica un posto!”

“E che cosa sarebbe allora?”

“E’ uno stato d’animo, tipo: io oggi ho l’INERZIA…”

“E cosa vorrebbe dire?”

“E’ come la depressione, l’INERZIA insomma…”

Penso che anche a Galileo, se fosse stato su quell’autobus al posto mio, sarebbe venuta l’INERZIA e invece di scrivere tanti Dialoghi e Discorsi, sarebbe andato di corsa dal suo parrucchiere di fiducia a farsi lo shatush alla barba 😀

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(Ferro)vie di fuga

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Mattinata di inizio autunno, sul primo treno della mattina. Ancora mezza addormentata, scribacchio con il computer. Intanto due signore sui sedili di fianco al mio:

Basta, uno di questi giorni prendo e vado ad Arezzo!

– Sai che ti dico? Ci vengo anch’io questa volta! Conosco un sacco di posti lì…

– Tanto, con cinque o sei euro, in treno ci si va!

Intanto, nei posti dietro di me, due adolescenti discutono di scuola:

Che orario c’hai te oggi a scuola?

– Matematica-Matematica-Lettere-Lettere-Latino…

– Che orario di merda!

– Tanto faccio forca, ho già fissato con un mio amico a Firenze!

… e io?  Confesso, il mio pensiero è stato “E se invece di cambiare treno alla prossima stazione, come ogni giorno, stamani  rimanessi su questo, che arriva fino al mare?” Però il senso del dovere e la forza dell’abitudine hanno prevalso e alla fine  ho resistito… Ma uno di questi giorni prendo e vado ad Arezzo!

Un viaggio… come dire… sFibrante

Adoro la musica, in tutte le sue forme e in tutti i suoi generi, o quasi. Penso che sia un’arte sublime, in grado di innalzare lo spirito umano e trascendere dalla quotidiana realtà terrena. La ascolto, la seguo, la amo e, nei limiti delle mie capacità, la pratico.

In un viaggio pendolare però talvolta anche la musica può diventare un elemento di disturbo. Come stamattina. Nella mia carrozza c’è il solito gruppo di giovincelli che vanno a scuola. Il capobranco di oggi è un tipetto magro e pieno di brufoli, con i capelli pettinati alla moda, ottenuti probabilmente facendoci nidificare qualche specie di uccello arboricolo. Si è conquistato il titolo di star del giorno perché sfoggia un nuovo telefono.

“Ma non dovevi prendere il quattroesse?” chiede una ragazzina, con un tono ammirato e un pizzico invidioso.

“No ho convinto il mi’ babbo a prendermi il cinque, dato che ho recuperato l’insufficienza in matematica”

Per rendere partecipe tutto lo scompartimento della sua nuova conquista pensa bene mettersi ad ascoltare la musica con il nuovo congegno tecnologico, a tutto volume, senza cuffie, con l’aggravante di riprodurre ciclicamente sempre la stessa canzone. Si tratta di Pronti, partenza, via di Fabri Fibra.

Per chi non la conoscesse e per chi se la vuole riascoltare, ecco qui il video:

Ok, il rap non è tra i miei generi preferiti, lo ammetto, ma questa canzone, sentita un paio di volte alla radio, fino a stamattina non mi dispiaceva troppo, sarà per il motivetto semplice da memorizzare (pronti, partenza, via, si va per mari e monti…), le tematiche calde toccate…

Ma, dopo averlo sentito e risentito, almeno quattro o cinque volte di seguito, alle sette di mattina, in un treno affollato di pendolari, ha decisamente smesso di piacermi. Avesse avuto, il ragazzetto molesto, uno di quei vecchi walkman che avevamo ai miei tempi (come mi sento obsoleta quando faccio questi ragionamenti!), glielo avrei preso, avrei estratto la cassetta, l’avrei pestata fino a tritarla e avrei fatto volare i resti fuori dal finestrino. Ma al giorno d’oggi la musica è fatta di bit registrati nella memoria di un costosissimo smartphone e non mi sembra il caso di sottrarglielo per frantumarlo.

Oltretutto, all’ascolto forzato del rapper nostrano, come pena aggiuntiva, c’è toccata anche la visione delle evoluzioni scoordinate del ragazzo, nel goffo tentativo di improvvisare un balletto, e il suo infelice controcanto. Da cantante dilettante riconosco la difficoltà di riprodurre un brano di quel genere, che non sta tanto nella melodia, di per sé piuttosto semplice, ma nell’esecuzione a tempo del testo: uno scioglilingua da ripetere velocissimamente senza poter riprendere fiato. E, infatti, il nostro rapper pendolare arranca dietro il cantante: parte con le parole giuste, si vede che le conosce bene (devo dire che dopo stamani anch’io ormai le so a memoria, ahimè), ma si confonde verso la metà di ogni verso, che diventa via via un biascichio sempre più incomprensibile, per riprendersi poi alla fine:

Burocrazia

L’Italia si squaglia cm brr… em….ZIA

Una bella idea

Arriva smpr tte..ONDA

Come la polizia

….

Roba magica simsalabim

Ma al microf.. em br… ah… PIN….

Avrei potuto spostarmi in un’altra carrozza, ma ormai mi ero sistemata e mi faceva un po’ fatica. E poi, lo ammetto, anche se in molti loro atteggiamenti questi ragazzi sono fastidiosi, anche parecchio, in fondo in fondo mi diverto a guardare le loro esibizioni mattutine. Me ne sono accorta, sapete, che quello faceva il galletto (rompendo le scatole a tutto lo scompartimento) per farsi notare dalla morettina un po’ emo seduta più avanti con due sue amiche…

Finalmente i ragazzi arrivano a destinazione e, in modo disordinato e scomposto, spintonandosi e sbattendo gli zaini da tutte le parti, scendono lasciando il treno in un surreale silenzio. Che dire, a quel giovinetto auguro tutto il bene del mondo: di conquistare la sua morettina, di mantenere la sufficienza a matematica e anche in tutte le altre materie, così il babbo potrà comprargli tutti gli aggeggi tecnologici che vorrà (e magari anche un paio di cuffie). Ma se potessi dargli un consiglio, gli direi di non tentare la strada del rapper, non mi pare proprio portato.

La gita!

Anche stamani salgo in treno come uno zombie e appena seduta mi immergo nella lettura, in stato semi cosciente, rispondendo solo a pochi stimoli, in modo meccanico, come mostrare il biglietto al controllore e spostare la borsa quando sale la signora nella stazione successiva, poco più. Oggi però c’è qualcosa di diverso, arrivati nella stazione, c’è uno strano brusio, con volume più alto del solito. Un terribile presentimento prende corpo e mi riporta con violenza alla realtà. Vedo arrivare verso la mia carrozza un’orda scomposta e rumorosa di adolescenti (immagino sia una terza liceo), tenuta a freno da due insegnanti che tentano invano di farsi sentire.  “Noooo”, penso tra me e me “…la gita!”.

Ebbene, sono solo tre anni che “pendolo” per andare al lavoro, ma la gita è uno dei momenti che meno sopporto nel mio viaggio quotidiano. Se ripenso a quanto l’aspettavo quando andavo a scuola,  che bei momenti, quante risate!  Invece adesso un profondo senso di fastidio mi pervade quando quaranta ragazzotti invadono la carrozza, riempiendo ogni spazio libero con i loro zaini e l’aria con il loro starnazzare. Perché non hanno sonno, loro, no, sono super svegli, eccitati all’idea di passare una giornata a zonzo senza rimorsi e senza interrogazioni. Li sento, stanno già pianificando come svincolarsi dalla prof di storia che vorrebbe portarli a visitare un museo e passare tutta la giornata per i fatti propri.

Le due insegnanti iniziano a spiegare ai ragazzi i dettagli dell’itinerario della giornata, gli orari per i ritrovi e per la ripartenza, la storia della città, le opere più importanti del museo. Le ascolto (è difficile non farlo, visto il livello di emissione acustica) e penso: “Interessante, questa cosa non la sapevo!”. Mi rendo conto però che probabilmente sono l’unica che sta prestando attenzione alla storia. Le ragazze ad esempio stanno già programmando di andare a quel negozio di Desigual in centro aperto da poco che fa delle promozioni esagerate (anche questa cosa non la conoscevo… interessante!).

Arriviamo a destinazione e il gruppo si allontana, rumoroso e disordinato, mentre io mi incammino verso l’ufficio.

Al ritorno, li rivedo da lontano sul binario, noto che le ragazze hanno effettivamente delle borse di Desigual, quindi ce l’hanno fatta! Però guardando bene, mi accorgo che anche le prof hanno delle borse uguali.  Chissà forse nel corso della giornata hanno trovato un compromesso tra il museo e lo shopping! Aspetto che salgano in treno e scelgo accuratamente una carrozza più distante possibile dalla loro.