Il vagone del silenzio

In  vari  post ho raccontato del fastidio che provo quando la mattina sul  treno sale la scolaresca per la gita, oppure se qualcuno fa piu` rumore del normale. Ebbene, devo ammetterlo, recentemente ho avuto modo di vivere l’esperienza anche “dall’altra parte”.

Lo scorso autunno, con un gruppo di amiche e colleghe siamo state per alcuni giorni in Svezia per una breve vacanza. Eravamo a Lund, nella parte meridionale della penisola scandinava e una mattina abbiamo deciso di fare una gita a Copenaghen. Da Lund a Copenaghen il tragitto in treno è breve e attraversa l’affascinante ponte di Oresund, che collega la Svezia alla Danimarca.

Dopo una giornata trascorsa tra turismo e shopping, nel pomeriggio, piene di borse, borsette, pacchetti, mappe, ecc., abbiamo ripreso il treno per tornare a Lund, tanto per cambiare “al volo” (come mia abitudine del resto), perché per la sera avevamo fissato di andare a un concerto e il tempo stava stringendo.

Per la fretta non ci siamo accorte che il vagone scelto non era uno qualsiasi, come la mattina, durante l’andata, ma era il famigerato “vagone del silenzio”. Sui treni svedesi e danesi ci sono, infatti (l’ho appreso in quella occasione), dei vagoni in cui è vietato qualsiasi tipo di rumore. Questa sua prerogativa è indicata con appositi ed eloquenti cartelli appesi all’ingresso della carrozza. Cartelli ben evidenti, ma che nessuna di noi ha visto. Siamo entrate nel vagone allegre e starnazzanti come un branco di galline e oche in un cortile. Gli occupanti ci hanno fulminato con lo sguardo, si è sentito un “SHHH!”, sottile e tagliente come una sciabola. Imbarazzate per la brutta figura, ci siamo sedute. L’atmosfera era davvero irreale, nessuno fiatava, nemmeno un colpo di tosse. La gente per lo più leggeva e faceva attenzione a non produrre alcun rumore nemmeno per girare pagina. La più curiosa era la ragazza seduta accanto a me, aveva delle unghie lunghissime e curatissime, laccate di un bel fucsia brillante: ha passato il viaggio ad applicarvi sopra degli strass, manipolare quegli oggettini con simili artigli richiedeva una perizia davvero notevole.

Il problema è che a noi proprio non riusciva stare zitte e buone, avevamo così tante cose da dirci: cosa avevamo comprato, la gita sui canali, la delusione nel vedere dal vivo la famosa Sirenetta (tutte noi ce la immaginavamo diversa: più grande, più bella, più nel centro della città), a che ora trovarci la sera per il concerto, e così via. Insomma, non ce la facevamo a trattenerci, ogni tanto qualcuna provava a bisbigliare all’altra qualcosa, ma puntualmente era freddata dal solito “SHHH!”.

La fine del viaggio è stata una liberazione, scese dal treno, l’ilarità repressa ha potuto finalmente esplodere in una grassa e italianissima risata.

Dovendo pendolare nella vita di tutti i giorni, mi sono però calata nel ruolo dei nostri silenziosi compagni di viaggio. Immagino gli improperi e le maledizioni che ci avranno mentalmente inviato, per aver disturbato la loro quiete giornaliera. Chissà, forse in qualche blog svedese uno stanco vichingo pendolare quel giorno avrà raccontato della sua traumatica esperienza con le chiassose turiste italiane!