Problemi pendolari

Problema

State aspettando un treno lungo il binario uno. Il treno successivo diretto verso la vostra destinazione partirà dal binario sei venti minuti dopo. L’altoparlante annuncia che il treno che state aspettando ha venti minuti di ritardo.

Quale dei due treni partirà prima?

Soluzione: quello in arrivo al binario dove non siete voi.

 

Dimostrazione:

Supponiamo che voi siate al binario uno. Tanto lo sapete che di solito parte prima quello, perché è un Regionale Veloce e fa pochissime fermate intermedie. L’altoparlante annuncia il treno in partenza al binario sei, siete tentati, ma subito dopo annuncia quello al binario uno. Inizia a lampeggiare la lucina sul tabellone, accanto al binario sei. Vi state già incamminando verso il sottopassaggio, quando con la coda dell’occhio vedete che anche quella del treno al binario uno ha iniziato a ballare a destra e a sinistra. Al binario sei sta arrivando un treno stracarico di pendolari, mentre al binario uno ancora niente. Vi decidete, finalmente, a cambiare strategia e vi fiondate nel sottopassaggio. Avete quasi raggiunto la vostra uscita da quel maleodorante tunnel quando venite investiti da una slavina umana formata dai pendolari appena scesi dal treno,  che si stanno velocemente incamminando verso l’uscita, trascinandovi, come una corrente impetuosa, in direzione opposta alla vostra.

Il treno al binario sei, nel frattempo, riparte. Quello al binario uno matura un ritardo aggiuntivo di dieci minuti.

Supponiamo, viceversa, che una vocina interiore, l’istinto pendolare che c’è in voi, tanto per citare il buon Raf, vi suggerisca, senza alcun motivo apparente, di scegliere il treno al binario sei. Come si dice, meglio un treno locale oggi che un Regionale Veloce mai… Vi incamminate tranquillamente verso il binario sei, salite le scale, raggiungete una panchina e vi sedete. Di fronte a voi, scorgete, lungo il binario uno, gli altri viaggiatori, in attesa. “Tze, che bischeri…” pensate, forti della vostra pluriennale esperienza. E infatti, ecco spuntare, all’orizzonte, il trenino locale, in perfetto orario. Salite sulla carrozza, soddisfatti di aver fatto, ancora una volta, la scelta giusta, alla faccia di quei poveretti, ancora lì, lungo il binario uno. Vi accomodate su uno dei sedili, in una carrozza semi vuota e aspettate la partenza del treno. Aspettate… aspettate…

E intanto ecco arrivare al binario uno il Regionale Veloce, che essendo Veloce, appunto, e in ritardo, si ferma e riparte prima che voi possiate pensare di scendere dal trenino locale. Che, per dare la precedenza, accumula dieci minuti di ritardo.

C.V.D.

2013-12-24 11.04.34

Coraggio Pendolo, è quasi Natale!

Era proprio contento quel mercoledì,  alla stazione, il nostro Pendolo. Era una fredda mattina di metà dicembre, il cielo terso, di un giallo leggero lungo l’orizzonte, verso est, poi via via arancio, e poi rosa, fino a un tenue celestino. Le scie degli aerei vi disegnavano un motivo astratto fatto  di candide linee rette. Sulle rotaie, sulle sterpaglie intorno ai binari, nei prati, nei campi, nella notte si era formato un sottile strato di brina che smorzava e ingentiliva il paesaggio. Sembrava di essere in un quadro dipinto con gli acquerelli, in cui Pendolo e gli altri viaggiatori  erano delle macchie scure che stonavano un po’.

Era contento, Pendolo, perché quella mattina aveva deciso di entrare un’ora e mezzo dopo al lavoro. Era partito da casa alla stessa ora del solito, voleva approfittare di quel poco di tempo in più per fare con calma gli acquisti natalizi,  almeno una parte. Non è che amasse troppo girovagare per negozi alla ricerca di regali, specialmente in questo periodo, con la confusione e la frenesia dell’acquisto dell’ultimo minuto, non aveva neppure troppa fantasia nella scelta.  Ma ancora di più non sopportava ridursi all’ultimo minuto, come tutti i pendolari disorganizzati – mica come lui eh! – intasati nell’ingorgo di qualche grande magazzino o outlet nel fine settimana prima del venticinque.

E poi, saranno state le melodie natalizie che si sentivano ovunque, saranno stati gli sbrilluccichii degli addobbi e delle vetrine, sarà stata la prospettiva di arrivare al lavoro con calma,  insomma, Pendolo si sentiva di ottimo umore.

In piedi, sulla banchina, si era fatto mentalmente un ricco e dettagliato programmino per l’ora e mezzo a sua disposizione. Avrebbe ovviamente iniziato con una colazione a base di cappuccino e sfoglia all’arancia nella più bella pasticceria del centro, quella che aveva addobbato la vetrina con un albero fatto di biscotti innevati di zucchero a velo. Poi avrebbe iniziato il giro dei negozi. Dunque, doveva pensare ai genitori, alla sorella, ai nipoti dispettosi, ai colleghi, agli amici del calcetto, alla vecchia zia…

A un tratto, del tutto inaspettato, un pensiero si intromise tra le visioni di nastri colorati e carte da regalo: “Ma quant’è che sono qui che aspetto?” Era un pensiero che non veniva dalla sua mente, ma dalle punte dei suoi piedi, ormai ghiacciate. Guardò l’orologio e si accorse che il suo treno doveva essere già partito da almeno dieci minuti. Proprio in quel momento si fece viva la voce dall’altoparlante, che annunciò, appunto,  venti minuti di ritardo. “Uffa! Proprio stamani!” Decise a malincuore di rinunciare alla colazione nella pasticceria, doveva anche affrettarsi nell’acquisto dei regali, per poter entrare al lavoro in orario.

Faceva un gran freddo, lungo il binario. Per riscaldarsi un po’ iniziò a camminare su e giù. Si fermò davanti ai tabelloni con gli orari dei treni, a volte quando doveva aspettare, si metteva a studiarli, così, giusto per passare il tempo. Ma quella mattina il vetro del tabellone era tutto ghiacciato e non si leggeva un bel niente. I piedi e la punta del naso erano ormai surgelati. Passarono lenti, lentissimi i minuti, nessuna traccia del treno. Dopo una buona mezzora l’altoparlante con un suono gracchiante si schiarì la voce e annunciò con una punta di sadismo che il regionale che Pendolo stava aspettando era stato cancellato.  Quello successivo sarebbe arrivato dopo pochi minuti, Pendolo si rassegnò, ancora, ad aspettare, anche se ormai il buonumore e lo spirito natalizio erano stati sostituiti da un ben più familiare brontolio incavolato.

Si sporgeva oltre la linea gialla scrutando l’orizzonte, ma ancora niente. Poi, ad un tratto, riecco la voce gracchiante dell’altoparlante,  l’uccellaccio del malaugurio, foriero di brutte notizie e rotture di scatole: “Il treno regionale 12345 viaggia con quindici minuti di ritardo”. Maledetto! Se avesse avuto una fionda, preso un sasso dalla massicciata, il più spigoloso,  lo avrebbe lanciato  con tutta la sua forza contro quell’odioso aggeggio. Addio programmi di shopping natalizio! All’arrivo lo aspettava la solita corsa contro il tempo per arrivare in ufficio in orario. E per comprare i regali avrebbe intasato, come tutti, qualche centro commerciale o qualche outlet nel fine settimana prima del venticinque.

Era ormai completamente ibernato quando finalmente arrivò sul binario due uno scoppiettante treno diesel, con due sole carrozze, per di più invase da un gruppo di ragazzini delle medie in gita. “Ma da quando in qua si fanno le gite a dicembre?” Durante il viaggio, che Pendolo trascorse nel vestibolo della seconda carrozza, appeso alla maniglia della toilette e compresso tra lo zaino di un turista danese e le poppe di una corpulenta viaggiatrice con alito fetido, il treno accumulò altri dieci minuti di ritardo.

Giunto a destinazione, scattò come un velocista fuori della stazione, non accorgendosi che, lungo il muro, dove c’era sempre ombra, le brinate dei giorni passati avevano formato un insidioso strato ghiacciato. Perse l’equilibrio e fece una mezza capriola all’indietro per aria, atterrando sui glutei, proprio perpendicolarmente all’osso sacro.

 

Piove

Siamo fermi in un punto imprecisato della campagna. Un temporale improvviso ha sorpreso tutti, anche il treno. Un fulmine ha pensato bene di andare a cadere proprio sulla linea, davanti a noi, danneggiandola. Il treno ripartirà tra circa quindici minuti, ci dicono dall’altoparlante. E io, invece di arrabbiarmi… mi sono dilettata a fare foto alle gocce di pioggia sul finestrino! 🙂

 

Pendolariadi

Tempo fa ho ritrovato un mio diario delle superiori, una vecchia Smemoranda, tutta sformata per la quantità di ritagli che ci avevo appiccicato,  e ho iniziato a sfogliarla. Tra le varie cose che si scrivono a quell’età, c’era, racchiusa in una cornicetta tutta fiorita, con grafia curata, la frase:

Ogni mattina, in Africa, una gazzella si sveglia, sa che deve correre più in fretta del leone o verrà uccisa. Ogni mattina, in Africa, un leone si sveglia, sa che deve correre più in fretta della gazzella, o morirà di fame. Quando il sole sorge, non importa se sei un leone o una gazzella: L’importante è che cominci a correre…

Sono passati ormai venti anni, purtroppo non scrivo più sul diario della Smemoranda, anche se la rimpiango un po’ e più volte sono stata tentata di ricomprarmene una. Adesso scrivo su questo blog. Quindi, ecco una rielaborazione della frase precedente che rispecchia di più la mia realtà quotidiana attuale:

“Ogni mattina, nella stazione, un pendolare si sveglia, sa che deve correre più in fretta del treno, o lo perderà. Ogni mattina, nella stazione, un treno si sveglia, sa che deve correre, o i pendolari in orario si arrabbieranno. Quando il sole sorge, non importa se sei un pendolare o un treno. L’importante è che cominci a correre”.

In questi mesi il mio percorso pendolare include, due giorni alla settimana, un cambio nella stazione di Firenze Santa Maria Novella, tra un treno della linea Empoli-Pisa e uno Pontassieve-Arezzo. Il viaggio di andata, la mattina, di solito, non presenta particolari problemi, dato che ho un margine di un quarto d’ora tra uno e l’altro, che talvolta mi consente pure di prendere un caffè. La situazione si complica al ritorno, poiché il margine a quell’ora si riduce a sette minuti e il treno utile successivo parte dopo venticinque minuti. In questi sette minuti, che solitamente sono molto meno a causa dei fisiologici ritardi e della coda per scendere, devo in pratica attraversare tutta la stazione: i treni in arrivo da Arezzo di solito sono al binario sedici, mentre quelli per Empoli-Pisa partono dai binari uno o due.

Appena scesa, scatta quindi la corsa contro il tempo, una corsa disordinata e sconnessa, con sciarpe che svolazzano e borse che sbattono qua e là.  Una corsa a ostacoli che, contrariamente a quelli della disciplina sportiva, non sono fissi ed equispaziati, nel  mio caso sono mobili e imprevedibili: il gruppo dei corpulenti turisti tedeschi con i loro zaini e gli inconfondibili sandali con i calzini, inamovibili, di fronte ai binari dieci e undici  in attesa del Frecciarossa, i turisti giapponesi con i trolley scintillanti, che invece si muovono seguendo traiettorie caotiche e frenetiche, l’addetto alle pulizie con la sua macchinetta, che sterza sempre all’ultimo momento obbligandoti a bruschi cambi di traiettoria.

Come nelle gare ciclistiche gli addetti si affiancano ai corridori per dare loro qualcosa da bere, anche a me si affiancano vari personaggi, ma non per darmi un supporto. Mi parlano in varie lingue, ma le loro frasi finiscono puntualmente con “… un euro!”, io rispondo, in modo automatico, “No mi spiace non ho niente, devo scappare, scusa!” e continuo la mia corsa.

Non sono la sola a intraprendere questa sfida, durante il tragitto mi accorgo che ci sono altri che corrono nella mia stessa direzione, per raggiungere in tempo lo stesso treno. Allora, alla fretta, si aggiunge la competizione: l’obiettivo di prendere il treno diventa subordinato a quello di raggiungere e superare il pendolare corridore che ho davanti, appena lo faccio, anche lui accelera per riprendermi.  Leggevo giorni fa un articolo su National Geographic sull’argomento, intitolato, per l’appunto, “Siamo nati per correre”. Secondo gli autori dell’articolo, “la sensazione di euforia che regala la corsa è stata la spinta evolutiva che ci ha reso cacciatori più efficienti e, che ci piaccia o no, degli atleti.”

Arrivata al binario, a volte purtroppo mi accorgo che il treno si sta già muovendo, allora assaporo l’amaro della sconfitta. Altre volte le porte sono già chiuse, ma vedo, in fondo, la sagoma scura del capotreno che mi fa cenno di sbrigarmi. Allora, con l’energia rimasta, mi preparo allo scatto finale. Quando mi immagino questa scena da fuori, la vedo al rallentatore, con la colonna sonora di “Momenti di Gloria”, mentre con grandi falcate percorro tutta la lunghezza del treno, il capotreno avvicina il fischietto alla bocca e solleva il braccio con il fazzoletto verde. La realtà è un po’ diversa, il mio stile di corsa non è proprio elegante come quello di una gazzella, in questi momenti maledico la mia pigrizia e l’avversione nei confronti dell’attività fisica. L’ultima scintilla di energia mi serve per salire sul vagone, anche oggi ce l’ho fatta!