Amanda Ciarlieri (e la sua amica Gianna)

 

L’ultima volta che l’ho vista, e soprattutto sentita, è stata la settimana scorsa. Era stata una giornata particolarmente pesante, al lavoro. Arrivata al treno, non avevo voglia neppure di mettermi a leggere, volevo solo dormire, anche se non lo faccio quasi mai.

Trovato un posto sufficientemente isolato, avevo già sistemato la borsa e lo zaino del computer, allungato un pochino le gambe e iniziato ad abbassare le palpebre, quando…

“Oh, guarda chi c’è! Ci sediamo qui, oggi, va bene?”

Addio, mio caro Morfeo, ho pensato subito, per oggi ti devo lasciare. Sono arrivate Amanda Ciarlieri e la sua amica Gianna.

Cosa posso raccontarvi di Amanda Ciarlieri? Non so proprio da dove partire, e potrei stare qui per ore…

So che qualche tempo fa ha fatto le analisi del sangue e le hanno trovato il colesterolo un po’ alto, quello buono, però.

So che il martedì e il giovedì va a pilates appena torna a casa dal lavoro, ma ultimamente non si trova molto bene, perché hanno cambiato insegnante. Quella che c’era prima era più brava e anche più simpatica, ma adesso è in maternità.

So che qualche domenica fa ha cucinato delle lasagne buonissime, così deliziose che il marito, a cui le lasagne nemmeno piacciono tanto, ne ha prese due porzioni.

Potrei elencarvi tutti i voti a scuola del figlio, e descrivervi i capolavori di bricolage del marito o le prodezze dell’amato cagnolino, un pinscher nano di nome Artù che, a sentire i suoi racconti, è ben più intelligente e abile del Commissario Rex, il pastore tedesco dell’omonima serie televisiva.

Conosco la sua taglia, la marca del colore dei capelli, il numero di scarpe. Che però è  variabile, perché ha il piede un po’ largo non tutti i modelli le vanno bene, soprattutto quelli che calzano stretto.

A volte viaggiare con lei, anche se rumoroso, si può rivelare utile. Per esempio, è aggiornatissima sugli sconti e promozioni di tutte le catene di supermercati. Qualsiasi cosa vi serva, dalla provola al liquido per il tergicristalli, dalla finocchiona DOP ai sacchetti per il freezer: basta chiedere a lei e potrete sapere dove recarvi per ottenere il massimo rapporto qualità/prezzo. Se siete particolarmente fortunati, a un certo punto dalla borsa tirerà fuori un coupon per uno sconto proprio su quel prodotto e ve lo regalerà.

E l’amica Gianna? Beh, lei è la spalla ideale per gli estenuanti monologhi di Amanda: segue, annuisce, ogni tanto interviene, integra, fornisce spunti. Come un satellite, riflette la prorompente luminosità della dialettica della compagna di viaggio.

Perché non ti porti un paio di cuffie? Vi starete chiedendo. Magari di quelle belle grosse, che cancellano il rumore esterno. Eh, no, miei cari, non si può. Perché se Amanda e l’amica Gianna vi scelgono come compagni di viaggio, dovete per forza seguirle, far parte della loro conversazione, verrete coinvolti della discussione, interrogati. E poco importa se volevate approfittare del tempo del viaggio per finire una relazione di lavoro, leggere un libro, fare una partita a Candy Crush Saga sul tablet, dormire. Non vorrete mica passare da antipatici o misantropi, come il vecchio Dimitri, o da bislacche lunatiche, come Amelia, o patologicamente fissati con i vostri congegni tecnologici, come il Signor Perfetti?

Conoscete la teoria dei sei gradi di separazione? Quella che afferma che ogni persona può essere collegata a qualunque altra persona o cosa attraverso una catena di conoscenze e relazioni con non più di cinque intermediari? Ecco, nel caso di Amanda, chiunque si trovi davanti, il grado di separazione è uno, due, al massimo. Perché, chiunque voi siate, qualunque sia la vostra provenienza, lei conoscerà sicuramente un vostro collega, o un genitore di un compagno di scuola dei vostri figli, o il vostro dentista…

Quando la incontrerete, nel primo quarto d’ora lei cercherà di inquadrarvi, si costruirà una sorta di dossier mentale. Digos, FBI, Wikileaks, non sono niente in confronto.

“Ah, lavori all’università?”

“Sì.”

“Allora conoscerai di sicuro Tizio!”

“No, non mi pare di averlo mai sentito…”

“Strano, anche lui lavora all’università…”

“Magari è in un altro dipartimento.”

“Può darsi, lui è nel dipartimento di Biotecnologie.”

“Ah, no, io sono a Fisica!”

“A Fisica?! Allora conosci sicuramente Sempronia!”

“Sì, la conosco, ha l’ufficio accanto al mio.”

“La conosco bene, sai?! Andiamo a pilates insieme… Anche lei ha problemi alla schiena!”

Ed ecco fatto il link , da adesso anche voi sarete un nodo della sua fittissima, super connessa rete di conoscenze.

La settimana scorsa la conversazione aveva preso una piega squisitamente autunnale: si parlava di funghi. Non si era nemmeno finita di sedere che stava già aggeggiando con il telefono cellulare per mostrarci la foto di un bel cestino zeppo di prodotti micologici, procacciato dall’efficiente marito, che la sera precedente era stato a fare una passeggiata nel bosco in compagnia di un amico.

“Ma sono tutti buoni?”, avevo chiesto, perplessa, vedendo l’immagine.

“Ma scherzi?!?! Certo che sono buoni! L’amico di mio marito è esperto, sai!”

“Anche quelli lì? Quelli gialli… Che strano colore, non ne ho mai visti così!”

“Ah, quelli sono buonissimi! Non li ho mai mangiati, ma mi ha detto la Gina, che secondo lei sono anche meglio dei porcini! Stasera ci faccio un bel sughetto e ci condisco gli gnocchi!”

Davanti a tanta sicurezza avevo smesso di replicare. Sarà vero che sono buoni, ho pensato; in fondo, so che i funghi commestibili sono molti di più di quelli che conosco. Anche se, quando vado nel bosco, per essere sicura prendo solo i porcini, se ho la fortuna di trovarne qualcuno.

“Mah, anche a me non sembrano tanto commestibili…”, aveva replicato l’amica Gianna, insolitamente in disaccordo. “Ma tu cosa ci metti, per preparare il sugo?”

Ne era seguita una disquisizione sul mix ottimale di spezie da utilizzare per il sugo di funghi, che ci aveva portato fino alla stazione di arrivo. Visto l’orario, visto il panino frettoloso che avevo mangiato per pranzo, visto l’argomento gustoso della conversazione, mi ero quasi convinta che quegli strani funghi gialli fossero veramente buoni. Se li avessi avuti a disposizione, quella sera, ci avrei fatto anch’io un bel sughetto per la pasta.

Alla fine, non vi so dire se gli strani funghi gialli erano veramente commestibili e se cucinati a dovere erano così deliziosi: da quel giorno, Amanda, non l’ho più rivista sul treno… Uno di questi giorni chiedo all’amica Gianna se ne sa qualcosa…

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Pendolare multi-tasking

Vorrei invitare tutti gli sceneggiatori di fiction, fotoromanzi, telenovelas, soap opera e affini a farsi qualche viaggio su un treno pendolare, la mattina, vi assicuro che è una fonte inesauribile di ispirazione 🙂

Il treno è piuttosto affollato stamani e sono costretta a condividere lo spazio compreso tra i quattro sedili con cui è suddiviso il vagone con altre due donne. Una è seduta al mio fianco, a destra, l’altra di fronte a me. È quest’ultima, stamani, a catturare la mia attenzione. Indossa abiti e accessori scelti con cura, siede con eleganza, anche se la postura è abbastanza piegata su un lato e le gambe accavallate sconfinano nello spazio del sedile di fianco al suo, vuoto, sul quale ha sistemato le due borse che porta con sé. La testa è piegata un po’ in avanti e un po’ a sinistra, cosicché lo sguardo può concentrarsi sul tablet appoggiato sulle ginocchia, mentre la spalla e il lato sinistro della mandibola  contribuisce a sorreggere il telefonino seminascosto dai lunghi capelli biondi contro l’orecchio. Con la mano destra sfiora ritmicamente la superficie del tablet, in orizzontale e verticale, alternativamente. Di tanto in tanto dal dispositivo esce un’allegra musichetta: deve trattarsi di uno di quei giochini elettronici che vanno di moda. Allo stesso tempo porta avanti una confidenziale conversazione con l’incognito interlocutore all’altro capo del telefono. Le due azioni sono totalmente scollegate tra loro: non esiste alcuna relazione tra la traiettoria del suo indice sulla piastra di vetro e le variazioni del ritmo della voce nella comunicazione, come se fossero controllate da due processori distinti e indipendenti tra loro. A un tratto, uno squillo sonoro la distrae momentaneamente da entrambe le mansioni. Proviene da una delle due borse, anzi, per essere precisi, dal secondo telefonino, bianco in questo caso, in essa contenuto.

“Scusa, scusa, amore, aspetta un attimo, ho un’altra telefonata.”

Posa delicatamente il primo cellulare dentro la borsa, aperta, senza chiudere la comunicazione, e prende l’altro. Inizia una seconda conversazione, con lo stesso tono affettuoso e confidenziale della prima.

“Buongiorno, amore, come stai? Dormito bene? Sì, sì, anche io, sono già in treno…”

Continua così per alcuni minuti, e riprende anche l’attività ludica con il tablet. Poco prima della stazione di arrivo, si congeda frettolosamente con il secondo misterioso interlocutore:

“Amore, sono quasi arrivata, devo prepararmi per scendere, ok, ti chiamo più tardi, va bene?”

Chiude la chiamata con il telefonino bianco e riprende il primo, quello nero, che nel frattempo aveva aspettato pazientemente nella borsa.

“Scusa, amore, ci ho messo più del previsto e ora sono quasi arrivata alla stazione, ti devo salutare. Ti chiamo più tardi, ok?”

Termina anche la seconda chiamata, che poi era la prima… Mancano ancora alcuni istanti all’arrivo, il treno ha appena iniziato a rallentare. Giusto il tempo di finire la partita sul tablet, e pure con successo, a giudicare dalla festosa musichetta, prima di riporre anche questo in una delle due borse e prepararsi a scendere.

E intanto a me inizia a frullare per la testa un famoso motivo di Renato Zero…

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Accostamenti bislacchi

Stamani mi sono seduta involontariamente dietro uno dei soliti gruppetti di pendolari che ogni giorno mettono in scena un vero e proprio talk show, con tanto di ospiti, “esperti”, vallette e pubblico. Non so se avete presente: durante gli europei di calcio erano tutti giornalisti sportivi mancati, nei giorni scorsi ho partecipato a dottissime dissertazioni sui bosoni di Higgs, tempo fa, nei giorni della Costa Concordia, erano tutti provetti piloti di transatlantici, per non parlare della politica e dell’economia.

Ad essere sincera, partecipare a questi involontari “talk show” viaggianti (come pubblico, per mia inerzia e pigrizia  non intervengo mai, al massimo applaudo) non mi dispiace, anzi, talvolta mi diverte anche. Devo dire anche che il livello di competenza ed educazione spesso supera di gran lunga quello offerto da molti programmi televisivi. E poi qualche volta in questi discorsi variegati, solitamente vivaci e ad alto volume, si generano delle “perle” bellissime da ri-raccontare.

Per esempio, stamani, la discussione verteva su argomenti eno-gastronomici: c’erano alcuni che decantavano le glorie della tradizione nostrana, in particolare della “ciccia“, da loro stessi definita “la quintessenza della cucina toscana”. Seguivano opinioni e giudizi critici nei confronti dei vegetariani, che “non sanno cosa si perdono” a rinunciare alla tradizionale grigliata del pranzo della domenica.

Non ricordo com’è evoluto il discorso, ma a un certo punto una signora, non toscana e non esperta evidentemente di “ciccia”, ha chiesto che cos’era la rosticciana. Uno degli esperti eno-gastronomici ha prontamente risposto: “La rosticciana è quella carne di maiale da cuocere alla griglia, che sembra un flauto di Pan”.

Un flauto di Pan?!

Effettivamente la forma della rosticciana, con tutte le costicine del maiale, richiama vagamente quella dello strumento musicale, ma a me quell’accostamento non era proprio mai venuto in mente.

A sentire queste parole, ho immaginato di essere in una pianura fiorita, con le farfalle, gli uccellini canterini che si inseguono tra le fronde di un albero, sullo sfondo, un piccolo lago in cui si tuffa una cascatella. Sul bordo del laghetto su una roccia, è seduto un fauno: sta suonando una melodia armoniosa con un flauto di Pan, appunto. Mi piace quella melodia, la ascolto con gioia. Dal punto in cui mi trovo, in questo quadro immaginario, vedo il fauno di spalle e non sento bene la musica, allora mi avvicino. Sentendo i miei passi nell’erba, lui si volta e… Mi accorgo che, invece del flauto, sta suonando un pezzo di rosticciana appena tolto dal fuoco, da cui gocciola ancora il grasso fuso… Fine della scenetta bucolica!

Un Fauno mentre suona il flauto di Pan (dipinto di Pál Szinyei Merse, XIX secolo)