Enigmi pendolari

In questo periodo dell’anno, non ancora abituata al caldo, durante il viaggio di ritorno sono più stanca del solito. Per questo motivo oggi pomeriggio decido di passare i dodici minuti di attesa tra un treno e l’altro nella sala d’attesa della stazione, dove la temperatura è più clemente e posso stare seduta. Sono in compagnia di vari personaggi: un uomo che dorme sdraiato su una delle panchine della sala, un altro che guarda nervosamente il tabellone con gli orari di partenza dei treni, una suora impegnata in una vivace conversazione telefonica, una donna elegante, con una grossa borsa di pelle chiara, anche lei alle prese con il suo smartphone, seduta alla mia sinistra.

L’attesa è monotona e tranquilla finché nella saletta irrompono quattro adolescenti: tre ragazzi e una ragazza, allegri e spensierati. Dagli asciugamani colorati che spuntano dai rispettivi zaini, dagli abiti sbracciati e dalle ciabattine ai piedi deduco che devono aver passato la giornata in piscina. Beati loro.

Chiacchierando e ridendo rumorosamente si siedono nei posti liberi accanto alla signora con la borsa elegante, dalla parte opposta rispetto alla mia.

“Dai ragazzi, si va un po’ avanti?”, propone uno dei quattro.

“Sì, vediamo se ce la facciamo ad arrivare in fondo!”, risponde la ragazza.

“No, dai, ancora?! Che palle!”, replica un terzo.

Il promotore prende dallo zaino una copia dell’inconfondibile e inimitabile “Settimana Enigmistica”, con le pagine tutte arricciate sugli angoli.

“Dove eravamo arrivati? Ah, ok, ci sono. Questa è difficile: Castruccio, famoso nobile di Lucca!”.

“Quante lettere?”

“Tante, è una parola lunga…”

“Boh, io non la so.”

“Io nemmeno, proviamo ad andare avanti, magari dopo ci viene in mente…”

“Va bene, quindici orizzontale: Valutazione del perito…

“Come si dice quella cosa che fa il perito? Giudizio?”

“No, il giudizio lo fa il giudice, non il perito. Quante lettere?”

“Sette, la terza è una erre!”

La signora accanto a me distoglie l’attenzione dal cellulare e si drizza sulla schiena, come una scolara diligente che sa la risposta alla domanda del professore e freme dalla voglia di dirla.

Perizia”, mormora, “la valutazione del perito è la perizia!”, lo dice titubando, a mezza voce, i ragazzi non la sentono. La sento io, e mi volto inconsciamente verso di lei. Accortasi che la sto ascoltando, è allora a me che si rivolge: “Non è perizia?”.

Annuisco un po’ imbarazzata, non era mia intenzione intromettermi nella ludica discussione.

“Dai, proviamone un’altra”, incalza la ragazzina, rivolgendosi all’amico con il giornalino.

“Questa forse ce la facciamo: Zingara spagnola, sei lettere, finisce con la A”.

Ancora una volta, è a me che la signora si rivolge: “Secondo me è nomade, sei lettere, ci sta, no?”.

Questa volta non la assecondo: prima di tutto perché non sono per niente convinta della correttezza della sua risposta, e poi sto rispondendo a un messaggio con il cellulare.

“Ragazzi, facciamo pena, non ne sappiamo una!”, commenta il ragazzo che non aveva voglia di fare il cruciverba.

“Aspettate, non vi scoraggiate! Questa ce la possiamo fare, sono solo tre lettere: Donne molto devote…”

Ora, io non sono un’esperta di Settimana Enigmistica, ma dal poco che so, questa è una delle definizioni che c’è sempre, in ogni cruciverba che si rispetti.

Anche la signora al mio fianco è sicura, questa volta, e finalmente declama con voce chiara e udibile in tutta la sala: “Pie! Le donne molto devote sono Pie!”.

Il promotore dei quiz conferma: “E’ vero, Pie!”, e compila diligentemente le tre caselle corrispondenti nello schema.

Mi viene da guardare verso la suora, come se fosse in qualche modo chiamata in causa da questa definizione, ma è troppo concentrata nella sua telefonata e pare non curarsi minimamente dei dubbi enigmistici degli altri viaggiatori della sala d’attesa.

“E’ come mia nonna!”, aggiunge la ragazza, compiaciuta, “Anche mia nonna è bravissima a fare i cruciverba, indovina sempre!”.

Ecco, fossi stata nei panni della signora, questo paragone con la nonna della giovane non mi avrebbe fatto molto piacere: noi donne, si sa, arrivate a una certa soglia, siamo piuttosto suscettibili ai confronti anagrafici, seppure indiretti, a nostro sfavore. Voglio dire: se avesse detto: “E’ come mia sorella…”, o, più realisticamente, “E’ come mia mamma…” sarebbe stato un altro conto, insomma. Ma la signora non sembra dar peso alla cosa, anzi, mi pare molto soddisfatta di aver richiamato l’attenzione dei quattro e di poter finalmente contribuire con la sua esperienza alla soluzione del cruciverba.

E, infatti, incalza subito: “La definizione di prima, quella della zingara spagnola, secondo me la risposta è Nomade!”.

Il ragazzo con la Settimana replica, giustamente: “Non mi torna, dovrebbe finire con la A!”.

E la signora, prontamente: “Allora sarà nomadA!”.

Vedendo un po’ di perplessità nei quattro, è a me che si rivolge, di nuovo: “Perché, non si dice nomadA?”.

Non mi va di ribattere, perché questo comporterebbe la mia inclusione nel gruppo di lavoro del cruciverba  e non ne ho molta voglia. Tentenno qualche istante, poi, inaspettatamente, è la voce impassibile dall’altoparlante a salvarmi, annunciando l’imminente arrivo del mio treno. Prendo le mie cose, mi alzo, saluto con un sorriso la combriccola improvvisata e me ne vado al binario… portando con me la soluzione dell’enigma… 🙂

enigmisticapendolare

Piove

Siamo fermi in un punto imprecisato della campagna. Un temporale improvviso ha sorpreso tutti, anche il treno. Un fulmine ha pensato bene di andare a cadere proprio sulla linea, davanti a noi, danneggiandola. Il treno ripartirà tra circa quindici minuti, ci dicono dall’altoparlante. E io, invece di arrabbiarmi… mi sono dilettata a fare foto alle gocce di pioggia sul finestrino! 🙂

 

Un tranquillo venerdì on the rail

Stamani, andando verso il  binario, mi accorgo che sotto i monitor con gli orari si è formato un capannello di gente che discute animatamente. Brutto segno, penso tra me. Mi avvicino al monitor per vedere di che cosa si tratta e vedo che il mio treno è segnalato con dieci minuti di ritardo. Un’inezia, sono abituata a ben di peggio. Abbandono il capannello, ignorando il perché della sua esistenza, e salgo le scale del sottopassaggio per raggiungere il binario. Sono ormai arrivata quando sento la metallica voce dall’altoparlante annunciare che “Causa guasto sulla linea, i treni potranno subire ritardi fino a trenta minuti”.

A questo punto è doveroso aprire una parentesi. Applicando alla frase precedente le regole dell’analisi logica che si apprendono durante i primi anni di scuola, quello che se ne deduce è che il ritardo in questione, se presente, potrà avere entità minore o uguale a trenta minuti. Ma qui non funzionano le regole della logica. Basta frequentare per pochi giorni le nostre linee ferroviarie regionali per capire che, quando sono previsti ritardi <fino a> x minuti, in realtà significa che, se sei veramente fortunato, il tuo treno arriverà`, e se arriverà (…e sottolineo se… cantato con la voce di Mina) lo farà con <almeno> x minuti di ritardo.

Tornando a stamani, sono sul binario che aspetto, continuando con i miei astratti ragionamenti di logica, per ingannare il tempo, mentre la voce robotizzata, che ha preso il posto del capostazione in molte stazioni secondarie, si ostina imperterrita a sostenere, contro ogni evidenza, che il mio treno arriverà con dieci minuti di ritardo (doveva essere già partito da tredici minuti ormai). Forse sta arrivando, penso, forse è là, dietro la curva, adesso apparirà. Invece, niente.

Passano ancora un paio di minuti, a un certo punto la voce dall’altoparlante si arrende e ammette la cocente sconfitta: “Il treno regionale xyz è stato soppresso”. Sul binario il brusio aumenta di volume, alcuni pendolari scuotono la testa, increduli, altri iniziano ad agitarsi, partono imprecazioni di vario tipo, dai grandi classici “Mavaff…”, a espressioni più fantasiose e colorite, indici di spiccata creatività verbale.

Io intanto mi interrogo su dove sia finito quel treno, che è stato così brutalmente soppresso. Se fino a poco fa viaggiava con dieci minuti di ritardo vuol dire che esisteva, era da qualche parte. E allora, cosa gli è successo? E` stato risucchiato in un imbuto spazio-temporale e adesso viaggia sui binari di un universo parallelo? Oppure, come in “Ritorno al Futuro”, uno scienziato pazzo ci ha installato un dispositivo in grado di generare un “flusso canalizzatore” che, non appena la velocità ha raggiunto le ottantotto miglia orarie, lo ha spedito negli anni Cinquanta? Oppure, ancora, a causa del guasto sulla linea, uno scambio difettoso lo ha fatto finire diritto nel tunnel dei neutrini e, più veloce della luce, è arrivato fino a Ginevra?

Dalla logica, alla matematica, alla fantascienza, i miei pensieri vagano sempre più lontano, cercando di astrarsi dalla grigia realtà.

Giunge così l’orario di arrivo del treno successivo, anche questo viaggia con quindici minuti di ritardo dichiarato. Dopo diciotto minuti abbondanti di ritardo effettivo lo vedo spuntare all’orizzonte. Ovviamente, a causa della cancellazione del treno precedente, è pieno zeppo di gente, a malapena riesco a salire. Per fortuna oggi è vacanza per le scuole e non ci sono gli studenti, altrimenti non  ce l’avrei di sicuro fatta. Molti sono arrabbiati, si lamentano rumorosamente, altri stanno cercando di rimandare appuntamenti e impegni. Altri fremono per la paura di perdere la coincidenza. Io oggi non ho impegni con orari vincolati, per cui non sono particolarmente arrabbiata, diciamo che sono solo rassegnata.  Certo, ho perso un’ora di tempo che dovrò recuperare stasera, ma comunque stanno arrivando alcuni giorni di vacanza per riprendermi…

Buona Pasqua a tutti i pendolari!