Pendolare multi-tasking

Vorrei invitare tutti gli sceneggiatori di fiction, fotoromanzi, telenovelas, soap opera e affini a farsi qualche viaggio su un treno pendolare, la mattina, vi assicuro che è una fonte inesauribile di ispirazione 🙂

Il treno è piuttosto affollato stamani e sono costretta a condividere lo spazio compreso tra i quattro sedili con cui è suddiviso il vagone con altre due donne. Una è seduta al mio fianco, a destra, l’altra di fronte a me. È quest’ultima, stamani, a catturare la mia attenzione. Indossa abiti e accessori scelti con cura, siede con eleganza, anche se la postura è abbastanza piegata su un lato e le gambe accavallate sconfinano nello spazio del sedile di fianco al suo, vuoto, sul quale ha sistemato le due borse che porta con sé. La testa è piegata un po’ in avanti e un po’ a sinistra, cosicché lo sguardo può concentrarsi sul tablet appoggiato sulle ginocchia, mentre la spalla e il lato sinistro della mandibola  contribuisce a sorreggere il telefonino seminascosto dai lunghi capelli biondi contro l’orecchio. Con la mano destra sfiora ritmicamente la superficie del tablet, in orizzontale e verticale, alternativamente. Di tanto in tanto dal dispositivo esce un’allegra musichetta: deve trattarsi di uno di quei giochini elettronici che vanno di moda. Allo stesso tempo porta avanti una confidenziale conversazione con l’incognito interlocutore all’altro capo del telefono. Le due azioni sono totalmente scollegate tra loro: non esiste alcuna relazione tra la traiettoria del suo indice sulla piastra di vetro e le variazioni del ritmo della voce nella comunicazione, come se fossero controllate da due processori distinti e indipendenti tra loro. A un tratto, uno squillo sonoro la distrae momentaneamente da entrambe le mansioni. Proviene da una delle due borse, anzi, per essere precisi, dal secondo telefonino, bianco in questo caso, in essa contenuto.

“Scusa, scusa, amore, aspetta un attimo, ho un’altra telefonata.”

Posa delicatamente il primo cellulare dentro la borsa, aperta, senza chiudere la comunicazione, e prende l’altro. Inizia una seconda conversazione, con lo stesso tono affettuoso e confidenziale della prima.

“Buongiorno, amore, come stai? Dormito bene? Sì, sì, anche io, sono già in treno…”

Continua così per alcuni minuti, e riprende anche l’attività ludica con il tablet. Poco prima della stazione di arrivo, si congeda frettolosamente con il secondo misterioso interlocutore:

“Amore, sono quasi arrivata, devo prepararmi per scendere, ok, ti chiamo più tardi, va bene?”

Chiude la chiamata con il telefonino bianco e riprende il primo, quello nero, che nel frattempo aveva aspettato pazientemente nella borsa.

“Scusa, amore, ci ho messo più del previsto e ora sono quasi arrivata alla stazione, ti devo salutare. Ti chiamo più tardi, ok?”

Termina anche la seconda chiamata, che poi era la prima… Mancano ancora alcuni istanti all’arrivo, il treno ha appena iniziato a rallentare. Giusto il tempo di finire la partita sul tablet, e pure con successo, a giudicare dalla festosa musichetta, prima di riporre anche questo in una delle due borse e prepararsi a scendere.

E intanto a me inizia a frullare per la testa un famoso motivo di Renato Zero…

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Post dadaista, con sorpresa finale…

…per cui leggetelo fino in fondo, vi conviene! 😉

Il treno procede tranquillo, fermandosi ogni tanto per scaricare e caricare pendolari assonnati e apatici, di ritorno dalla giornata lavorativa. Sono seduta in una carrozza  piuttosto affollata e digito velocemente sulla tastiera del mio computer portatile l’ultima parte della relazione che devo consegnare per domani a mezzogiorno.

C’è molto rumore oggi pomeriggio, è difficile lavorare… E più ho fretta di finire, più i disturbi esterni mi distraggono e mi irritano.

Cerco di estraniarmi e concentrarmi nella mia relazione, ma a un certo punto, come un medium che cade in trance, le mie dita iniziano a trascrivere l’assurdo dialogo che sta prendendo vita intorno a me.  Ed ecco il delirante risultato:

“A te quando andrebbe bene?”

 “Eeeeh”

 “No giovedì non posso, vado in palestra”

“Mamma mia…”

“Il dottore mi ha detto che ho una disfunzione alla tiroide”

“Facciamo venerdì allora, d’accordo, te cosa porti?”

“Perché noi lo sappiamo bene…”

“Ero disperata, una volta mi sono dovuta fermare all’Autogrill perché mi sentivo svenire”

“Ah buono, anch’io lo faccio a volte, ma ci metti il Philadelphia?”

“Mi ha dato delle pillole da prendere tutti i giorni”

“Lo so, una noce nel sacco non fa rumore…”

“Sì proprio quelle”

“No, io vedrai porterò i crostini”

“Eeeeh mamma mia…”

“No, a me non danno noia, anzi hanno risolto parecchio”

“Ma, niente di speciale vedrai, quelli con il tonno e la maionese”

“Ma due… due se vogliono fanno tanto rumore”

“Sì ha detto che viene anche lei se ce la fa ma non è sicura ancora”

“Sì mi è arrivata l’email… mamma mia che parolona I MAIL”

“Va bene”

“Sì l’ho installata ma non so come funziona…”

“Comunque è una cosa diffusa, mi ha detto che ne soffre anche la mamma della Patrizia”

“Cosa vuol dire la devo inoltrare l’allegato?”

 “Ci siamo stati domenica scorsa ma non è un granché…”

“Sì lo vedo che è arrivata ma ora come devo fare…”

“Ora sta meglio, ha ancora qualche dolore alla parte bassa della schiena”

“Mah, secondo me non ne vale la pena”

“E la Susanna come sta? E’ tornata al lavoro?”

“Ci vorrebbe un informatico…”

“Ciao, sono sul treno, sto tornando solo adesso”

“Sì ma fisicamente come faccio?”

“Eh cosa vuoi che sia successo… ho fatto tardi come sempre”

“Davvero? Non lo sapevo mica… Ma dai, quando?”

“Salva con nome, sì, e poi?”

“Anche lei, con quell’allergia, non ne esce proprio”

“E dove si sposano?”

“Salva, va bene!”

“Bello, ci sono stata a un altro matrimonio”

“No no, non importa… Mangio un boccone e via, non ho nemmeno fame stasera”

“Eeeeh…”

“Mi ha raccontato che ha provato ma senza cortisone non riesce a farla passare”

“Tutto bene, mamma, cosa vuoi sia successo?”

“Quando ti compare dove la devi salvare?”

“E dove vanno in viaggio di nozze?”

“Ti ho detto va tutto bene, sono solo stanco e mi girano, ecco”

“Eh!”

“In Polinesia? Esagerati! ”

“Sì nell’’erboristeria in piazza”

“Eh!”

“No, dopo esco…”

“Bello! Mi piacerebbe davvero!”

“Ci vorrebbe il compiuter (sic!) davanti per poter operare…”

“Ah non lo sapevo, da quanto?”

“Mamma mia…”

“Figuriamoci!”

“Aah…”

“Mamma, l’esame ce l’ho la prossima settimana, lo saprò io quanto studiare, no?”

“Ma sono sposati?”

“Ma allora sei un genio!”

“No, non importa”

“Mamma mia… Sei un luminare, sei un vulcano!”

Come colonna sonora di questa assurda sceneggiatura, il rumore di un videogioco, di quelli “spara-spara” per intenderci, proveniente dal telefonino del canuto signore seduto accanto a me, intervallato da squilli e suonerie varie.

Solo vicino all’arrivo mi riprendo dalla fase di trance e mi rendo conto che ho trascritto la surreale conversazione che ho riportato sopra  nel file della relazione che devo consegnare. Seleziono il testo “abusivo”, sto per cancellarlo, poi ci ripenso…

Perché voglio riutilizzarlo per…

Il primo contest pendolare-assurdo!

Che funziona grossomodo così:

Il Candidato o la Candidata descriva brevemente i protagonisti della sovra-citata conversazione specificando, per ognuno: genere, fascia d’età, carattere, abbigliamento, vizi e virtù, passato, presente, fututo e qualsiasi altra informazione egli-ella ritenga opportuna per definire il personaggio.

La descrizione potrà essere riportata come commento a questo post o come post nel proprio blog, qualora il Candidato o la Candidata ne possieda uno.

Non è prevista scadenza.

Non importa “indovinare” esattamente chi erano i protagonisti (non si gioca mica a “indovina chi?”, non siamo mica un blog di gossip!), ma divertirsi a inventare una situazione realisticamente assurda o assurdamente realistica.

Ovviamente non si vince e non si perde niente… 😀

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Pendolari fashion (o, meglio, fèscion)

Questa mattina la sveglia si è dimenticata di fare il suo lavoro. Poverina, non è colpa sua, sono le batterie che iniziano a reclamare un cambio. Sta di fatto che mi sveglio solo grazie al mio “orologio interno”, che oggi ha funzionato come parziale backup, dieci minuti dopo l’orario previsto. Che saranno mai dieci minuti? Dieci minuti sono un ritardo pazzesco, se confrontati con il tempo totale a mia disposizione. Come nella famosa scena del primo Fantozzi, sono praticamente al limite delle capacità umane. Non sto a descrivere le fasi concitate della rocambolesca preparazione, che ricordano il già citato film. La cosa significativa, oggi, è il risultato. Mi sono vestita pescando a caso dall’armadio: un paio di jeans già messi nei giorni scorsi, una maglia color giallino-smorto, scarpe basse da corsa (oggi ne avrò bisogno), calzini a righe colorate che niente hanno a che vedere con il resto (ma che non si vedono per fortuna, dato che i jeans sono abbastanza lunghi), spolverino blu, sciarpina indiana comprata al mercato. Trucco? Non se ne parla proprio stamani. La cosa più orribile sono i capelli, li ho lavati ieri sera, li ho tirati un po’, ma ero troppo stanca e sono andata a dormire a metà del lavoro. Il risultato di oggi è un informe ammasso di sterpi, che riesco a domare solo raccogliendoli in una coda con un elastico. Così facendo mi accorgo che anche il colore ha bisogno di un ritocco… Insomma, un disastro.

Come se non bastasse, a calpestare ulteriormente la mia autostima, oggi sotto il livello di guardia, ci pensa anche la mia compagna di viaggio. Il destino beffardo ha deciso di assegnare al seggiolino di fronte al mio una bella signora sulla cinquantina, tailleur-munita, borsa di Prada, decolté color tortora con tacco non troppo alto, occhiali da sole giganti alla Grace Kelly, orecchini delicati, giro di perle. Completano il quadro una messa in piega che sfida le leggi di gravità, tipo non-mi-toccate-sono-appena-uscita-dal-coiffeur, un trucco leggero ma impeccabile, unghie perfette, laccate di un bel rosso brillante. Anche lei mi squadra da capo a piedi. Forse è solo una mia impressione, ma mi pare anche un po’ schifata. “Affari suoi” reclama la parte bohémien della mia anima, e mi immergo nella lettura. In realtà mi sento meschina e totalmente inadeguata, vorrei tanto tornare a casa, subito.

Mentre sfoglia annoiata una rivista di moda, le squilla il cellulare. Estrae il telefono dalla borsa e pronuncia un sonoro “Prooontoooo?” con una insospettabile voce da chioccia e uno spiccato accento aretino. Inizia così una lunga conversazione telefonica, che non è possibile non seguire, visto il livello di emissione acustica, anche se il mio libro sarebbe molto più interessante. Dalla metà del dialogo che sento, deduco che sta parlando con un’amica, o meglio, stanno spettegolando cattiverie su una loro conoscente comune, che viene etichettata con una serie di aggettivi poco lusinghieri, di cui il più carino è “insignificante”.  La conversazione procede, continua la narrazione di quanto perfida, infida, traditrice, sia la persona in questione. Nella mia testa le parole piano piano si mescolano con il rumore di fondo, diventano un tutt’uno omogeneo che mi consente di riprendere la lettura. Di tanto in tanto il volume del dialogo però aumenta e cattura di nuovo la mia attenzione (nella fretta di stamani ho dimenticato le cuffie, maledizione!). Gli argomenti evolvono, dallo spettegolare si passa alle attività quotidiane. A un certo punto, le mie orecchie captano questo stralcio di conversazione: “… poi oggi pomeriggio passo dalla mia amica all’erboristeria, per farmi dare qualcosa per dimagrire, che da quando so’ in menopausa, mangio come ‘na maiala, ho un gran caldo e so’ sempre tutta suda come ‘na cavalla!” Proprio così, giuro, testuali parole! Il ragazzo nel seggiolino dietro al suo si volta, incredulo. Sgrano gli occhi, faccio uno sforzo sovrumano per non scoppiare a ridere, a un tratto la mise della signora mi sembra meno impeccabile di prima e la mia autostima si riprende un po’, finalmente.