In questi giorni fa troppo caldo per percorrere a piedi il tragitto dall’ufficio e la stazione, soprattutto al ritorno, il pomeriggio, per cui prendo l’autobus. La strada percorsa diventa più lunga, perché a piedi taglio attraverso il centro, mentre il bus passa da fuori, lungo una strada piena di curve e saliscendi. Sono arrivata alla fermata da poco, manca ancora un paio di minuti prima dell’orario previsto, quando vedo arrivare il mezzo a velocità sostenuta. Immagino che alla guida ci sia un autista scoglionato e sudaticcio, che sta per finire il turno e ha fretta di arrivare al capolinea per staccare e tornare a casa. Invece l’autista di oggi, o meglio, direi la pilota, è una ragazza che dall’aspetto avrà poco più di venti anni, minuta e carina. Mi fa piacere, mi sono simpatiche le ragazze che fanno professioni che nell’immaginario collettivo sono riservate agli uomini.
Appena salita, mi sorprende una brusca accelerazione che mi fa retrocedere di quasi un metro (per fortuna senza investire nessuno!). Non ci sono posti liberi a sedere, mi reggo con due mani ai sostegni, ma nonostante ciò, nelle curve, la forza centrifuga mi sballotta, rischio più volte di cadere in collo alla signora seduta davanti a me. A un tratto la velocità diminuisce bruscamente, noto che davanti a noi c’è una Panda che procede lentamente. “Che sei, imbranato? Moviti! O che gente c’è a giro per la strada, certo che la patente la danno proprio a tutti!” e via dicendo, finché finalmente la Panda svolta a destra (rientra ai box) e finalmente abbiamo strada libera e possiamo fare il record su giro. Ad un incrocio, una macchina entra un po’ all’improvviso, intralciandoci, e di nuovo parte una catena di insulti: “Ma che sei deficiente? O guarda questo rincoglionito!”. A una fermata sale un ragazzo che sta discutendo animatamente al telefono. Il tono della sua voce è un po’ alto, è vero, ma nella situazione in cui siamo non è certo un disturbo, penso. Invece lei lo rimprovera subito: “Scusi, può abbassare il tono della voce? Se tutti facessero come lei si immagina che casino?” E questo giovanottone grande e grosso, che a occhio pesa più del doppio di lei, con la coda tra le gambe, congeda il suo interlocutore con un “Ti chiamo dopo!” e si mette buono buono in un angolino. Arriviamo alla stazione con una brusca frenata (questa volta non mi lascio sorprendere, però!) sei minuti prima del solito, abbiamo battuto il record, e come premio posso anche prendermi un caffè prima di salire sul treno.