Oggi propongo un racconto, ambientato come al solito sulle nostre linee ferroviarie regionali, ispirato dalle avventure del mitico Odisseo, narrate nel capolavoro della tradizione greca ma soprattutto dalle mie esperienze quotidiane.
Ecco quindi l’avventura di oggi dell’impavido Ulisse, che, dopo una giornata di lavoro intensa, è naufragato in una stazione di provincia. Appena sceso da un primo treno, aspetta la coincidenza con il secondo, che lo porterà fino a destinazione, alla sua cara Itaca.
Fuori tema: in questo momento è passato il controllore a verificare l’abbonamento, se immaginasse le cose che sto scrivendo…
Ma torniamo alla testimonianza del nostro Odisseo…
Come i muli si inerpicano sulla montagna percorrendo per anni sempre gli stessi sentieri, anche io scendo pazientemente le scale del sottopassaggio, procedo senza alzare il capo verso il binario, risalgo lentamente.
Arrivato sul binario però qualcosa mi disturba, c’è un’anomalia rispetto al consueto, nel binario accanto, di solito libero a quest’ora, oggi c’è un treno, aperto, fermo. Alzo lo sguardo verso il tabellone e vedo che la destinazione è la stessa del mio, Itaca Centrale, ma l’orario corrisponde alla corsa precedente, con a fianco un bel 15 min. in corrispondenza del ritardo.
C’è qualcosa che non va, dunque, sono le 17.56, il treno precedente doveva partire alle 17.28, con 15 minuti di ritardo, facendo il conto… no, non ci riesco a fare il conto a quest’ora, comunque penso che sarebbe dovuto partire già da un bel po’.
Ma in fondo, cosa me ne importa? Io devo prendere quello dopo… E invece no, me ne importa, eccome, perché a causa di questo ritardo, erroneamente segnalato tra l’altro, tutti i passeggeri si sono riversati nel mio e adesso non c’è più posto nemmeno in piedi nelle toilette.
No, non ce la posso fare dopo una giornata così a stare ancora trentacinque minuti in piedi, pressato, in mezzo a un gruppo di turisti giapponesi, ognuno dei quali con un paio di valigie di un metro cubo ciascuna. Mi allontano tristemente e mi siedo nella panchina lungo il binario, aspettando che la sorte mi sorrida di nuovo.
Naufragato sull’anonimo binario di una stazione secondaria, iniziano i miraggi. Vedo un Frecciarossa che si ferma davanti a me, scende un controllore e mi annuncia che sostituisce il regionale misteriosamente scomparso (ancora, sul tabellone, è segnalato con quindici minuti di ritardo). Ma l’illusione svanisce subito e il Frecciarossa si trasforma in uno sferragliante convoglio merci che trasporta cisterne variopinte contenenti chissà cosa.
Ed eccolo, il canto delle sirene, che m’ipnotizza, che mi chiama: “Regionale 12432 proveniente da… e diretto a… in arrivo al binario sei”. Poi, mi rassicura: “Treno in transito al binario quattro, allontanarsi dalla linea gialla”. E ancora, mi avverte: “Si avvisano i signori viaggiatori che è vietato aprire le porte e salire e scendere dal treno quando questo non è completamente fermo”. E mi protegge: “Si invitano i signori viaggiatori a non lasciare incustoditi i propri bagagli”. Ma non dice niente sulla sorte del treno scomparso, è come se fosse stato dimenticato, eppure è lì, vuoto, che aspetta chissà cosa.
Passa il tempo e si approssima l’arrivo della nuova corsa, quella che spero di poter finalmente prendere. E a un tratto, il tabellone accanto al treno abbandonato si rianima, la lucina gialla inizia a ballare freneticamente segnalando l’imminente partenza, con un ritardo annunciato di settanta minuti. E le sirene iniziano a chiamarmi: “Regionale 13425, diretto a Itaca Centrale in partenza in ritardo al binario quattro”. E iniziano anche a confondermi: “Regionale 12345, proveniente da … e diretto a Itaca Centrale in arrivo al binario sette”.
Adesso il calcolo però lo devo proprio fare, chi partirà prima? Tra i due c’è una differenza nominale di quattro minuti, ampiamente all’interno della zona d’incertezza. Ovviamente i due sono in binari lontani tra loro e non è possibile usare il trucco di aspettare fino all’ultimo minuto. Bisogna fare una scelta. Decido di prendere quello teoricamente in orario.
Effettivamente arriva prima, ce l’ho fatta, ho vinto la scommessa, mi sento felice come se avessi fatto sei al Superenalotto (non esageriamo, diciamo come se avessi fatto quattro, è più realistico), felice di arrivare a casa con solo quaranta minuti di ritardo.