Un tranquillo venerdì on the rail

Stamani, andando verso il  binario, mi accorgo che sotto i monitor con gli orari si è formato un capannello di gente che discute animatamente. Brutto segno, penso tra me. Mi avvicino al monitor per vedere di che cosa si tratta e vedo che il mio treno è segnalato con dieci minuti di ritardo. Un’inezia, sono abituata a ben di peggio. Abbandono il capannello, ignorando il perché della sua esistenza, e salgo le scale del sottopassaggio per raggiungere il binario. Sono ormai arrivata quando sento la metallica voce dall’altoparlante annunciare che “Causa guasto sulla linea, i treni potranno subire ritardi fino a trenta minuti”.

A questo punto è doveroso aprire una parentesi. Applicando alla frase precedente le regole dell’analisi logica che si apprendono durante i primi anni di scuola, quello che se ne deduce è che il ritardo in questione, se presente, potrà avere entità minore o uguale a trenta minuti. Ma qui non funzionano le regole della logica. Basta frequentare per pochi giorni le nostre linee ferroviarie regionali per capire che, quando sono previsti ritardi <fino a> x minuti, in realtà significa che, se sei veramente fortunato, il tuo treno arriverà`, e se arriverà (…e sottolineo se… cantato con la voce di Mina) lo farà con <almeno> x minuti di ritardo.

Tornando a stamani, sono sul binario che aspetto, continuando con i miei astratti ragionamenti di logica, per ingannare il tempo, mentre la voce robotizzata, che ha preso il posto del capostazione in molte stazioni secondarie, si ostina imperterrita a sostenere, contro ogni evidenza, che il mio treno arriverà con dieci minuti di ritardo (doveva essere già partito da tredici minuti ormai). Forse sta arrivando, penso, forse è là, dietro la curva, adesso apparirà. Invece, niente.

Passano ancora un paio di minuti, a un certo punto la voce dall’altoparlante si arrende e ammette la cocente sconfitta: “Il treno regionale xyz è stato soppresso”. Sul binario il brusio aumenta di volume, alcuni pendolari scuotono la testa, increduli, altri iniziano ad agitarsi, partono imprecazioni di vario tipo, dai grandi classici “Mavaff…”, a espressioni più fantasiose e colorite, indici di spiccata creatività verbale.

Io intanto mi interrogo su dove sia finito quel treno, che è stato così brutalmente soppresso. Se fino a poco fa viaggiava con dieci minuti di ritardo vuol dire che esisteva, era da qualche parte. E allora, cosa gli è successo? E` stato risucchiato in un imbuto spazio-temporale e adesso viaggia sui binari di un universo parallelo? Oppure, come in “Ritorno al Futuro”, uno scienziato pazzo ci ha installato un dispositivo in grado di generare un “flusso canalizzatore” che, non appena la velocità ha raggiunto le ottantotto miglia orarie, lo ha spedito negli anni Cinquanta? Oppure, ancora, a causa del guasto sulla linea, uno scambio difettoso lo ha fatto finire diritto nel tunnel dei neutrini e, più veloce della luce, è arrivato fino a Ginevra?

Dalla logica, alla matematica, alla fantascienza, i miei pensieri vagano sempre più lontano, cercando di astrarsi dalla grigia realtà.

Giunge così l’orario di arrivo del treno successivo, anche questo viaggia con quindici minuti di ritardo dichiarato. Dopo diciotto minuti abbondanti di ritardo effettivo lo vedo spuntare all’orizzonte. Ovviamente, a causa della cancellazione del treno precedente, è pieno zeppo di gente, a malapena riesco a salire. Per fortuna oggi è vacanza per le scuole e non ci sono gli studenti, altrimenti non  ce l’avrei di sicuro fatta. Molti sono arrabbiati, si lamentano rumorosamente, altri stanno cercando di rimandare appuntamenti e impegni. Altri fremono per la paura di perdere la coincidenza. Io oggi non ho impegni con orari vincolati, per cui non sono particolarmente arrabbiata, diciamo che sono solo rassegnata.  Certo, ho perso un’ora di tempo che dovrò recuperare stasera, ma comunque stanno arrivando alcuni giorni di vacanza per riprendermi…

Buona Pasqua a tutti i pendolari!

Il canto delle sirene

Oggi propongo un racconto, ambientato come al solito sulle nostre linee ferroviarie regionali, ispirato dalle avventure del mitico Odisseo, narrate nel capolavoro della tradizione greca ma soprattutto dalle mie esperienze quotidiane.

Ecco quindi l’avventura di oggi dell’impavido Ulisse, che, dopo una giornata di lavoro intensa, è naufragato in una stazione di provincia. Appena sceso da un primo treno, aspetta la coincidenza con il secondo, che lo porterà fino a destinazione, alla sua cara Itaca.

Fuori tema: in questo momento è passato il controllore a verificare l’abbonamento, se immaginasse le cose che sto scrivendo…

Ma torniamo alla testimonianza del nostro Odisseo…

Come i muli si inerpicano sulla montagna percorrendo per anni sempre gli stessi sentieri, anche io scendo pazientemente le scale del sottopassaggio, procedo senza alzare il capo verso il binario, risalgo lentamente.

Arrivato sul binario però qualcosa mi disturba, c’è un’anomalia rispetto al consueto, nel binario accanto, di solito libero a quest’ora, oggi c’è un treno, aperto, fermo. Alzo lo sguardo verso il tabellone e vedo che la destinazione è la stessa del mio, Itaca Centrale, ma l’orario corrisponde alla corsa precedente, con a fianco un bel 15 min. in corrispondenza del ritardo.

C’è qualcosa che non va, dunque, sono le 17.56, il treno precedente doveva partire alle 17.28, con 15 minuti di ritardo, facendo il conto… no, non ci riesco a fare il conto a quest’ora, comunque penso che sarebbe dovuto partire già da un bel po’.

Ma in fondo, cosa me ne importa? Io devo prendere quello dopo… E invece no, me ne importa, eccome, perché a causa di questo ritardo, erroneamente segnalato tra l’altro, tutti i passeggeri si sono riversati nel mio e adesso non c’è più posto nemmeno in piedi nelle toilette.

No, non ce la posso fare dopo una giornata così a stare ancora trentacinque minuti in piedi, pressato, in mezzo a un gruppo di turisti giapponesi, ognuno dei quali con un paio di valigie  di un metro cubo ciascuna. Mi allontano tristemente e mi siedo nella panchina lungo il binario, aspettando che la sorte mi sorrida di nuovo.

Naufragato sull’anonimo binario di una stazione secondaria, iniziano i miraggi. Vedo un Frecciarossa che si ferma davanti a me, scende un controllore e mi annuncia che sostituisce il regionale misteriosamente scomparso (ancora, sul tabellone, è segnalato con quindici minuti di ritardo). Ma l’illusione svanisce subito e il Frecciarossa si trasforma in uno sferragliante convoglio merci che trasporta cisterne variopinte contenenti chissà cosa.

Ed eccolo, il canto delle sirene, che m’ipnotizza, che mi chiama: “Regionale 12432 proveniente da… e diretto a… in arrivo al binario sei”. Poi, mi rassicura: “Treno in transito al binario quattro, allontanarsi dalla linea gialla”. E ancora, mi avverte: “Si avvisano i signori viaggiatori che è vietato aprire le porte e salire e scendere dal treno quando questo non è completamente fermo”. E mi protegge: “Si invitano i signori viaggiatori a non lasciare incustoditi i propri bagagli”. Ma non dice niente sulla sorte del treno scomparso, è come se fosse stato dimenticato, eppure è lì, vuoto, che aspetta chissà cosa.

Passa il tempo e si approssima l’arrivo della nuova corsa, quella che spero di poter finalmente prendere. E a un tratto, il tabellone accanto al treno abbandonato si rianima, la lucina gialla inizia a ballare freneticamente segnalando l’imminente partenza, con un ritardo annunciato di settanta minuti. E le sirene iniziano a chiamarmi: “Regionale 13425, diretto a Itaca Centrale in partenza in ritardo  al binario quattro”. E iniziano anche a confondermi: “Regionale 12345, proveniente da … e diretto a Itaca Centrale in arrivo al binario sette”.

Adesso il calcolo però lo devo proprio fare, chi partirà prima? Tra i due c’è una differenza nominale di quattro minuti, ampiamente all’interno della zona d’incertezza. Ovviamente i due sono in binari lontani tra loro e non è possibile usare il trucco di aspettare fino all’ultimo minuto. Bisogna fare una scelta. Decido di prendere quello teoricamente in orario.

Effettivamente arriva prima, ce l’ho fatta, ho vinto la scommessa, mi sento felice come se avessi fatto sei al Superenalotto (non esageriamo, diciamo come se avessi fatto quattro, è più realistico), felice di arrivare a casa con solo quaranta minuti di ritardo.