Un viaggio… come dire… sFibrante

Adoro la musica, in tutte le sue forme e in tutti i suoi generi, o quasi. Penso che sia un’arte sublime, in grado di innalzare lo spirito umano e trascendere dalla quotidiana realtà terrena. La ascolto, la seguo, la amo e, nei limiti delle mie capacità, la pratico.

In un viaggio pendolare però talvolta anche la musica può diventare un elemento di disturbo. Come stamattina. Nella mia carrozza c’è il solito gruppo di giovincelli che vanno a scuola. Il capobranco di oggi è un tipetto magro e pieno di brufoli, con i capelli pettinati alla moda, ottenuti probabilmente facendoci nidificare qualche specie di uccello arboricolo. Si è conquistato il titolo di star del giorno perché sfoggia un nuovo telefono.

“Ma non dovevi prendere il quattroesse?” chiede una ragazzina, con un tono ammirato e un pizzico invidioso.

“No ho convinto il mi’ babbo a prendermi il cinque, dato che ho recuperato l’insufficienza in matematica”

Per rendere partecipe tutto lo scompartimento della sua nuova conquista pensa bene mettersi ad ascoltare la musica con il nuovo congegno tecnologico, a tutto volume, senza cuffie, con l’aggravante di riprodurre ciclicamente sempre la stessa canzone. Si tratta di Pronti, partenza, via di Fabri Fibra.

Per chi non la conoscesse e per chi se la vuole riascoltare, ecco qui il video:

Ok, il rap non è tra i miei generi preferiti, lo ammetto, ma questa canzone, sentita un paio di volte alla radio, fino a stamattina non mi dispiaceva troppo, sarà per il motivetto semplice da memorizzare (pronti, partenza, via, si va per mari e monti…), le tematiche calde toccate…

Ma, dopo averlo sentito e risentito, almeno quattro o cinque volte di seguito, alle sette di mattina, in un treno affollato di pendolari, ha decisamente smesso di piacermi. Avesse avuto, il ragazzetto molesto, uno di quei vecchi walkman che avevamo ai miei tempi (come mi sento obsoleta quando faccio questi ragionamenti!), glielo avrei preso, avrei estratto la cassetta, l’avrei pestata fino a tritarla e avrei fatto volare i resti fuori dal finestrino. Ma al giorno d’oggi la musica è fatta di bit registrati nella memoria di un costosissimo smartphone e non mi sembra il caso di sottrarglielo per frantumarlo.

Oltretutto, all’ascolto forzato del rapper nostrano, come pena aggiuntiva, c’è toccata anche la visione delle evoluzioni scoordinate del ragazzo, nel goffo tentativo di improvvisare un balletto, e il suo infelice controcanto. Da cantante dilettante riconosco la difficoltà di riprodurre un brano di quel genere, che non sta tanto nella melodia, di per sé piuttosto semplice, ma nell’esecuzione a tempo del testo: uno scioglilingua da ripetere velocissimamente senza poter riprendere fiato. E, infatti, il nostro rapper pendolare arranca dietro il cantante: parte con le parole giuste, si vede che le conosce bene (devo dire che dopo stamani anch’io ormai le so a memoria, ahimè), ma si confonde verso la metà di ogni verso, che diventa via via un biascichio sempre più incomprensibile, per riprendersi poi alla fine:

Burocrazia

L’Italia si squaglia cm brr… em….ZIA

Una bella idea

Arriva smpr tte..ONDA

Come la polizia

….

Roba magica simsalabim

Ma al microf.. em br… ah… PIN….

Avrei potuto spostarmi in un’altra carrozza, ma ormai mi ero sistemata e mi faceva un po’ fatica. E poi, lo ammetto, anche se in molti loro atteggiamenti questi ragazzi sono fastidiosi, anche parecchio, in fondo in fondo mi diverto a guardare le loro esibizioni mattutine. Me ne sono accorta, sapete, che quello faceva il galletto (rompendo le scatole a tutto lo scompartimento) per farsi notare dalla morettina un po’ emo seduta più avanti con due sue amiche…

Finalmente i ragazzi arrivano a destinazione e, in modo disordinato e scomposto, spintonandosi e sbattendo gli zaini da tutte le parti, scendono lasciando il treno in un surreale silenzio. Che dire, a quel giovinetto auguro tutto il bene del mondo: di conquistare la sua morettina, di mantenere la sufficienza a matematica e anche in tutte le altre materie, così il babbo potrà comprargli tutti gli aggeggi tecnologici che vorrà (e magari anche un paio di cuffie). Ma se potessi dargli un consiglio, gli direi di non tentare la strada del rapper, non mi pare proprio portato.

Colonna sonora del pendolare/3

Eccoci qua, anche per quest’anno ce l’abbiamo fatta ad arrivare all’ultimo giorno di lavoro prima della pausa estiva. Oggi pomeriggio, in una giornata particolarmente calda e umida, arrivo qualche minuto prima alla stazione per il viaggio di ritorno che mi condurrà verso le meritate ferie. In questi giorni di solito mi prende anche un po’ di malinconia, forse per la stanchezza, oppure perché, nonostante tutto, il tran tran quotidiano fa in qualche modo compagnia, da` delle certezze, in un mondo che di certezze ne ha sempre meno. Ma, ripensandoci, macché malinconia! Mi aspettano tre settimane di riposo e svago e poi, proprio oggi mi e` arrivato il nuovo computer. Anche se teoricamente sarebbe uno strumento di lavoro, per me ormai e` diventato una specie di compagno di viaggio e, come un bimbo la mattina di Natale, non vedo l’ora di baloccarmi con questo bel giocattolo. Oggi più che mai ho bisogno di un viaggio “all by myself” come canta Celine Dion, pero`, al contrario di lei, “I wanna be”, almeno per un’oretta.
Scelgo accuratamente una carrozza vuota con aria condizionata funzionante e mi sistemo su un seggiolino abbastanza centrale, dal lato opposto al sole, apro la borsa, prendo il nuovo portatile e lo accendo.
Ad un tratto, la carrozza ha un sobbalzo, mi accorgo che e` appena salito, con la grazia di una mandria di bufali, tipo quelli del parco del Serengeti, un gruppo, o meglio un branco di giovani turisti spagnoli. Per la maggior parte sono ragazze, tutte in shorts succinti e canotte minimaliste, per la gioia dei viaggiatori di sesso maschile sparsi nel vagone, tutte con un’esasperante, inaspettata, irritante vitalità,  visti l’ora, il periodo, il caldo opprimente.
Completano il quadro dei miei compagni di viaggio di oggi, un gruppo di cinque americani: una giovane coppia con una bimba di un anno circa e una coppia più  matura, probabilmente i genitori di lei.
Il gruppo di spagnoli si sistema proprio dietro di me e ben presto il livello di emissione acustica raggiunge dei livelli che anche il più tollerante degli ispettori del lavoro definirebbe inaccettabile. Il rumore e` costituito da dialoghi a distanza, risate grasse, conversazioni telefoniche.
La cosa migliore sarebbe prendere armi e bagagli e spostarsi da un’altra parte, ma ormai mi sono sistemata, sono stanca… e poi sono arrivata prima io, ovvia! Per cercare di limitare il fastidio prendo le cuffie, le collego al telefono e inizio a ascoltare uno dei brani che ho memorizzato. Il primo che mi capita e` la Nona di Beethoven, secondo me uno dei punti più alti della musica di tutti i tempi. Mi dispiace sfruttare un simile capolavoro come tampone per le mie orecchie, come argine nei confronti del dirompente caos che si sta materializzando dietro di me.
Alzo il volume e inizio ad assaporare le prime note, ma a un tratto mi arriva anche un’altra sorgente sonora: i miei compagni di viaggio hanno pure uno stereo!
E così le note del violoncello che introduce la celeberrima melodia dell’Inno alla Gioia si mescola con un ritmo latino, enfatizzato dal tamburellare delle mani sulle cosce e dai cori starnazzanti che si uniscono al cantante nei ritornelli.
Mentre il baritono nelle mie cuffie intona: “O Freunde…”, risponde un paradossale e stonato controcanto “… quiero bailar contigo toda la noche…”
La situazione sta degenerando. Una delle ragazze ha persino la brillante idea di improvvisare, proprio in mezzo del corridoio, alcuni passi di flamenco, sotto lo sguardo stralunato degli altri passeggeri.
Come se non bastasse, zitta zitta, l’aria condizionata intanto ha smesso di funzionare. Me ne accorgo quando vedo il signore accanto a me che si sta sventolando con un foglio e che sta assumendo il preoccupante aspetto di una porchetta in una festa paesana. E mi rendo conto che anche io mi sto surriscaldando.
Per completare il quadro, ecco infine la bimba della famiglia americana irrompere nella scena con un pianto disperato. Ha del talento, la piccola, da grande potrebbe diventare un ottimo soprano drammatico.
Basta, non ne posso più. I miei timpani iniziano a supplicare le mie gambe di portarli via da quel caos e alla fine queste, nonostante la stanchezza, cedono. Mi sposto nella carrozza vicina tenendo le cuffie. Finalmente mi posso gustare l’esplosione del coro nell’Inno alla Gioia, non dico in santa pace, ma per lo meno in condizioni un po’ migliori.
E così mi lascio alle spalle i dieci minuti peggiori della giornata, probabilmente della settimana. Ma per fortuna, da oggi, per qualche giorno, i ruoli cambieranno e la turista sarò io!

Poggio e buca fan pari

Chi l’ha detto che la vita del pendolare è monotona? Ogni viaggio è una sorpresa, bella o (spesso ahimè) brutta. Quello di stamani ad esempio come posso definirlo? Non saprei, diciamo insolito. Ad attendermi alle 7.20 sul binario c’è una serie di carrozze nuove di zecca, come ieri, wow! Allora non è una coincidenza! Devono essere quelle di cui parlavano i quotidiani locali qualche giorno fa, acquistate dalla Regione per i treni pendolari. A dire il vero non speravo che toccassero proprio a me.  Ne scelgo una, salgo i gradini, entro, mi accoglie un’atmosfera insolita. Sento una musica nell’aria, a volume piuttosto alto, cerco la sorgente e mi accorgo con sorpresa che proviene dagli altoparlanti all’interno del vagone. Si tratta della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, o, meglio, ascoltando con attenzione, di un pezzetto di quel brano di circa trenta secondi, riproposto ciclicamente. L’aria condizionata piuttosto gelida e il ritmo serrato del pezzo mi svegliano bruscamente dal torpore mattutino, come uno schiaffo. Mi siedo, per fortuna il treno è poco affollato, accendo il computer e inizio a lavorare. Alle note Wagner intanto si sostituisce la voce del capotreno, che con tono chiaro e gentile ci informa sulle fermate intermedie e sull’orario di arrivo.  Sono proprio contenta, non sono abituata a viaggiare in condizioni così confortevoli (l’aria condizionata è un po’ freddina, è vero, ma è sempre meglio di quando è rotta e il treno si trasforma in una fonderia). Lo so, non mi devo illudere, domattina probabilmente ci sarà il treno scassato degli altri giorni, ma per ora godiamoci il presente. Mentre mi abbandono a queste riflessioni ricche di soddisfazione, immagino un mondo di treni perfetti con temperatura perfetta e orari perfetti, una goccia di acqua dal soffitto cade proprio nel mezzo della tastiera del mio MacBook. Alzo lo sguardo e mi accorgo che, proprio sopra di me, lungo la canalina che percorre tutto il vagone, c’è una grossa fessura, da cui gocciola la condensa dell’aria condizionata. Ecco, appunto, mi sembrava che funzionasse tutto troppo bene! A parte questo piccolo neo, al quale ovvio semplicemente cambiando posto a sedere, il viaggio procede regolarmente: partenza e arrivo in orario, tutto calmo, a parte la consueta scenetta tra controllore e passeggero senza biglietto. Arrivo in ufficio più contenta del solito e la giornata lavorativa si rivela rilassata e proficua. Insomma, inizio a illudermi che forse il sistema funzioni. E rifletto anche su come sarebbe bello, quanto migliore sarebbe la nostra vita, se il sistema funzionasse!

Ma… che post sarebbe se non ci fosse un ma? E, infatti, come dice mia nonna, “poggio e buca fan pari”, per ristabilire il consueto tasso di disagio e malumore quotidiani, durante il viaggio di ritorno succede di tutto. Arrivo alla stazione e il binario del mio treno non è segnato sul tabellone. Il treno precedente, il locale che si ferma in tutte le stazioni, è previsto con trentacinque minuti di ritardo. I treni provenienti dalla direzione opposta viaggiano con ritardi di quindici e trentacinque minuti. Completano il quadro trentasette gradi di temperatura esterna e un’umidità assurda. Ho un brutto presentimento che presto si materializza: il locale viene soppresso e il mio cosiddetto regionale veloce oggi deve fare tutte le fermate… Tranne la mia ovviamente! Quindi, dovrò comunque cambiare treno a metà strada, ma con queste perturbazioni mi salteranno tutte le coincidenze.

Mentre scrivo, sono appena partita, il treno è pieno zeppo a causa della cancellazione di quello precedente, in un gruppetto più avanti, altri pendolari, si stanno raccontando a vicenda storie di ordinaria follia ferroviaria, storie di treni soppressi, spostati, compressi… Chissà a che ora arriverò?

Colonna sonora del pendolare – parte 2

La quotidianità del pendolare talvolta può assumere aspetti un po’ surreali… Una mattina di qualche tempo fa, arrivata alla stazione intermedia in cui solitamente cambio treno, ad accogliermi non c’è  la consueta caffettiera arrugginita a gasolio, ma un nuovissimo Minuetto appena spacchettato, lucido, all’interno del quale regna un gradevole odore di vernice fresca e silicone, tipico delle cose nuove, insolito per le mie narici. “Che bello! Forse si inizierà a viaggiare in modo decente, finalmente!” Pia illusione… in realtà già il giorno dopo lo sferragliante trenino arrugginito aveva ripreso il suo posto e il sogno era svanito.

Comunque, tornando a quella mattina, salgo contenta sul Minuetto e, appena seduta, inizio a lavorare con il computer. Accanto a me ci sono tre studenti universitari: due ragazzi e una ragazza, concentrati sui loro appunti, dato che è un periodo di esami.

Il primo evento surreale della mattina si verifica quando la voce meccanica dell’”Omino di Trenitalia” (è il nome che ho dato alla voce automatica che nelle stazioni e sui treni proclama gli annunci) inizia a elencare le varie stazioni intermedie e il tempo previsto di arrivo: l’altoparlante è evidentemente regolato un po’ male, visto che ha un eco pazzesco, sembra di sentire il Papa in piazza S. Pietro la domenica mattina.

Una volta partiti, il trenino nuovo fiammante inizia ad avventurarsi sulla scalcinata linea regionale. Forse un trenino così bellino meritava una linea un po’ meglio, non lo so, forse non se la sente di percorrere quel tragitto, sta di fatto che dopo poco iniziano delle fastidiosissime vibrazioni nella direzione di marcia, a frequenza molto bassa, di entità tale da dover chiudere il computer, visto che il monitor oscilla in modo innaturale e, oltre a non riuscire a leggere, ho paura che si rompa proprio.

Metto via il computer e inizio a leggere il mio librino.

Nella stazione successiva salgono quattro ragazze rom, con le loro gonne variopinte e le lunghe trecce nere, che si siedono nei seggiolini dietro al mio. Il treno riparte e ricomincia il solito moto di shaker avanti e indietro. Lentamente, appena accennato, una delle quattro ragazze intona un canto struggente. Man mano che  procediamo il volume aumenta. Il ritmo della musica è sincrono con le oscillazioni del treno,  la melodia è monotona e, pur non essendo esperta di musica etnica, mi pare un po’ stonata. Insomma, una vera goduria per le orecchie. I tre ragazzi si distraggono sempre più spesso dagli appunti, a uno scappa da ridere, gli altri due sono un po’ infastiditi. Le tre amiche della nostra cantante commentano rumorosamente la performance. Immagino che nella loro lingua le dicano di smettere, visto che è stonata come una campana. Invece temo che non sia così, dato che dopo poco una seconda si unisce al canto per dar vita a un simpatico duetto, il cui volume ha raggiunto svariati decibel. Il canto assume natura polifonica, le stonature si sommano tra loro e si combinano con il movimento oscillatorio della carrozza. In certi momenti il canto sembra spengersi, ma dopo un attimo di silenzio, all’improvviso, riparte piu` forte di prima. Adesso sono in tre.

I tre studenti rinunciano agli appunti, non è proprio la mattinata adatta per lo studio. Uno dei tre, disperato, si getta in ginocchio nel corridoio e inizia a supplicare: “Vi prego! Non ce la faccio più! Devo studiare, ho un esame tra due ore, almeno abbassate il volume!”. Le tre ragazze si mettono a ridere, smettono per un po’, ma non ce la fanno proprio a stare zitte e buone e ricominciano a cantare, anche se più piano. E così, con questa bella colonna sonora, arriviamo a destinazione. Scendo dal treno con un po’ di sollievo per i miei timpani, ma anche con un pizzico di invidia per queste quattro ragazze che, alle sette di mattina, hanno già voglia di cantare.

Colonna sonora del pendolare-parte 1

L’ispirazione per questo post mi è venuta alcuni giorni fa, quando ho sentito, in un brevissimo intervallo di tempo:

  • una suoneria metallica vecchio stile, oserei dire quasi vintage, quella dei resistentissimi telefonini di plastica che penso quasi tutti abbiamo avuto prima o poi nella nostra vita e che a volte rimpiango un po’;
  • una versione più moderna della stessa melodia, magistralmente eseguita con una chitarra classica , proveniente da un luccicante smartphone;
  • il consueto “dlin dlon… Benvenuti a bordo del treno regionale….”

I tre eventi si sono ripetuti con una cadenza perfetta, neanche il più bravo deejay avrebbe potuto fare meglio. Allora mi sono divertita a riassumere in un post quella che potrebbe essere la colonna sonora di una pendolare media come me, quando si dimentica a casa le cuffie per ascoltare in santa pace le sue canzoni preferite.

Ecco il risultato.

Le suonerie più frequenti, che però mi fanno sobbalzare e destare dal consueto torpore del viaggio, sono quelle tipo “old phone” o “old ring” a seconda dei modelli, perché anche io ce l’ho sul mio telefono: ogni volta che la sento, anche se palesemente proviene dalla parte opposta della carrozza, istintivamente tiro fuori dalla borsa il mio cellulare e controllo che nessuno mi abbia chiamato.

I più sofisticati si sbilanciano con la musica classica: la toccata e fuga in Re minore di Bach, la sinfonia in Sol minore n. 40 K 550 di Mozart, la serenata in Sol maggiore K 525, sempre di Mozart, la quinta Sinfonia di Beethoven, la Marcia di Radetzky di Strauss (che mi fa sempre venire in mente il concerto di Vienna primo dell’anno).

Sotto Natale è frequente sentire qualche telefonino che augura a chi riceve la chiamata e a tutti i suoi vicini di seggiolino un allegro “We wish you a merry Christmas…”

Molto divertenti sono (secondo me) le sigle delle trasmissioni televisive, in particolare quelle dei tg… non so perché ma mi fanno ridere.

Alcuni, penso per paura di non sentire, tengono il volume altissimo e usano come suoneria dei veri e propri allarmi, tipo quelli che si sentono nelle centrali nucleari, udibili a un chilometro di distanza.

Poi ci sono quelli che mettono come suonerie i versi degli animali. Un signore che conosco, pendolare come me tra l’altro, ha personalizzato la suoneria a seconda di chi chiama, in particolare per la moglie ha messo il barrito di un elefante (che carino!).  Un po’ di tempo fa sui cellulari circolava anche un odioso gattino, che con voce melliflua implorava di rispondere al telefono. Roba da far convertire anche il più imperterrito degli animalisti.

Tra i ragazzini va molto di moda usare come suoneria la colonna sonora di un film: molto gettonata quella di Trinità, ma anche Pulp Fiction si sente spesso. Le ragazze preferiscono invece le hit del momento, oppure qualche evergreen: proprio venerdì c’era qualcuno sulla mia carrozza il cui cellulare si animava con le note di “Come mai” degli 883.

Una volta ho sentito un cellulare rivolgersi così al proprio padrone:

Capo pattuglia chiama Corvo… rispondi Corvo!

Capo pattuglia chiama Corvo…

Capo pattuglia a Corvo… rispondimi Johnny!

E io a pensare: “Rispondigli, ti prego, sennò ci tocca ascoltare tutto Rambo…”

Tutte queste melodie si intrecciano e si fondono in un tortuoso remix, nel quale si inseriscono di tanto in tanto i vari “dlin dlon”, gli aggiornamenti del capotreno sul ritardo maturato (ahimè)  e le conversazioni delle persone che rispondono. Quando scendo certe volte mi sembra di uscire da una discoteca!