Festeggiamo il solstizio d’inverno con un bel maglioncino a tema (molto sobrio)! 😀
moda pendolare
Viaggi pendolari… da brivido
Il primo aggettivo che mi è venuto in mente quando l’ho visto sedersi, di fronte a me, stamani sul treno, è stato “oscuro”. Innanzitutto per il colore di base dell’abbigliamento, il nero, appunto: stivaletti con vistose borchie metalliche, jeans stretti e sciupati in più punti, e la T-shirt, che riportava, stampata sul davanti una convulsa scena i cui i protagonisti erano teschi con espressioni beffarde, zombie e altri mostri di vario genere, corpi solo vagamente antropomorfi, sfatti, tumefatti, smembrati, il tutto contornato da un’iscrizione con caratteri gotici che non sono riuscita a decifrare. I lobi delle orecchie erano martoriati da diversi piercing, spunzoni metallici fondamentalmente, mentre numerosi tatuaggi ornavano gli avambracci: ancora teschi, ma anche stelle a cinque punte, scritte e simboli per me sconosciuti e misteriosi. Da un paio di auricolari collegato a un telefonino usciva un ronzio ritmato, in cui era possibile riconoscere il gemito lamentoso di una chitarra elettrica distorta e la voce cavernosa e gutturale di un cantante tutt’altro che melodioso.
Le premesse, insomma, non erano molto promettenti. I simboli tatuati sulle braccia, in particolare, erano particolarmente inquietanti e sinistri e richiamavano alla mia memoria mitologie e riti oscuri. Io, poi, di solito sono abbastanza paurosa: quando, per sbaglio, in televisione m’imbatto in un film horror cambio subito canale e durante la visione di qualsiasi thriller tengo a portata di mano un cuscino dove nascondere la faccia durante le scene più violente e truci. Stamani per ovvi motivi non avevo con me il cuscino di protezione e ho dovuto arrangiarmi: che fare? Rimanere indifferenti, fingere di dormire, magari, scappare a gambe levate… Calma, mi sono detta, non siamo in un film, ragioniamo.
Nei film dell’orrore e nei thriller molta della paura nasce dalle atmosfere tenebrose e dalle note tese e sospese della colonna sonora. Stamani, invece, era una bella mattinata di ormai fine estate, soleggiata ma fresca, gli altri viaggiatori leggevano o sonnecchiavano, gli unici rumori erano il familiare e tranquillo sferragliare delle ruote sulle rotaie e gli sporadici messaggi automatici dall’altoparlante. Dopo il primo, poco rassicurante impatto, mi sono fatta coraggio e ho osservato un po’ meglio il mio occasionale compagno di viaggio, badando bene di non farmi vedere.
C’erano delle cose che non tornavano, in effetti. Il colore della pelle, innanzi tutto. Molto chiaro, devo dire, ma tendente al roseo, quasi rubicondo in certi punti del viso, non il poco salubre colorito grigio-verdognolo che ci si aspetterebbe, per una siffatta creatura delle tenebre (e, poi, che ci faceva una creatura delle tenebre su un anonimo treno pendolari, alle sette e mezzo di mattina?). Guardando, ancora, mi sono soffermata un attimo sulle guance, belle piene, paffutelle, altro che la pelle grinzosa e cadente, i visi scarni e scheletrici dei mostri sulla sua maglietta. La maglietta, appunto: quelle due pieghe perfettamente diritte, sulle maniche, verso le spalle, tradivano una sapiente stiratura, una perfetta piegatura, nonché la disposizione in un armadio ordinato e pulito, sicuramente incompatibile con l’antro scuro, umido e caotico di un serial-killer. Dalla maglietta leggera emergeva un corpo decisamente in salute, anzi, tendente al rotondetto, specialmente nella zona degli addominali: un fisico compatibile con una dieta a base di lasagne fatte in casa e una modesta attività fisica, non martoriato dagli eccessi e privazioni di una vita dannata. E, poi, gli occhi, quegli occhi marroni, svegli e vivaci, a ben guardare ispiravano più simpatia che terrore. Riflettendoci su, non ho più sentito la necessità di fuggire a gambe levate in un altro scompartimento, e devo dire che non ho neppure rimpianto troppo il mio cuscino.
Ma, allora, vi chiederete, perché questo titolo al post? In effetti durante il viaggio ho tremato… ma non di paura, di freddo! L’aria condizionata in tutto il treno era infatti tarata su una temperatura veramente polare e per di più avevo dimenticato la maglia a casa.
E la colonna sonora? Beh, invece che un pezzo dei Goblin (quelli di Profondo Rosso), cui avevo pensato inizialmente, alla fine per stamani ho optato per questa canzone degli Skiantos… 🙂
I colori della primavera!
E’ quasi primavera, ormai. E siamo tutti stanchi degli smorti toni invernali. Il nero, il grigio, il marroncino… basta! Gli alberi, i giardini, i terrazzi iniziano a colorarsi, la mia clivia ha ben quattro enormi boccioli che stanno per esplodere con loro meraviglioso arancione. Anche i pendolari alla stazione stanno cambiando, sono più luminosi, quasi allegri direi, forse anche perché è venerdì. C’è tanta voglia di stare al sole, all’aria aperta…
E allora, che ci può essere di meglio, in questa bella mattinata, che scorrazzare attraverso la stazione con il monopattino, indossando un bel paio di ballerine viola e un’ampia e comoda gonna gialla? 😀
Buon fine settimana!
L’incontro fugace
Colonna sonora del pendolare/3
Eccoci qua, anche per quest’anno ce l’abbiamo fatta ad arrivare all’ultimo giorno di lavoro prima della pausa estiva. Oggi pomeriggio, in una giornata particolarmente calda e umida, arrivo qualche minuto prima alla stazione per il viaggio di ritorno che mi condurrà verso le meritate ferie. In questi giorni di solito mi prende anche un po’ di malinconia, forse per la stanchezza, oppure perché, nonostante tutto, il tran tran quotidiano fa in qualche modo compagnia, da` delle certezze, in un mondo che di certezze ne ha sempre meno. Ma, ripensandoci, macché malinconia! Mi aspettano tre settimane di riposo e svago e poi, proprio oggi mi e` arrivato il nuovo computer. Anche se teoricamente sarebbe uno strumento di lavoro, per me ormai e` diventato una specie di compagno di viaggio e, come un bimbo la mattina di Natale, non vedo l’ora di baloccarmi con questo bel giocattolo. Oggi più che mai ho bisogno di un viaggio “all by myself” come canta Celine Dion, pero`, al contrario di lei, “I wanna be”, almeno per un’oretta.
Scelgo accuratamente una carrozza vuota con aria condizionata funzionante e mi sistemo su un seggiolino abbastanza centrale, dal lato opposto al sole, apro la borsa, prendo il nuovo portatile e lo accendo.
Ad un tratto, la carrozza ha un sobbalzo, mi accorgo che e` appena salito, con la grazia di una mandria di bufali, tipo quelli del parco del Serengeti, un gruppo, o meglio un branco di giovani turisti spagnoli. Per la maggior parte sono ragazze, tutte in shorts succinti e canotte minimaliste, per la gioia dei viaggiatori di sesso maschile sparsi nel vagone, tutte con un’esasperante, inaspettata, irritante vitalità, visti l’ora, il periodo, il caldo opprimente.
Completano il quadro dei miei compagni di viaggio di oggi, un gruppo di cinque americani: una giovane coppia con una bimba di un anno circa e una coppia più matura, probabilmente i genitori di lei.
Il gruppo di spagnoli si sistema proprio dietro di me e ben presto il livello di emissione acustica raggiunge dei livelli che anche il più tollerante degli ispettori del lavoro definirebbe inaccettabile. Il rumore e` costituito da dialoghi a distanza, risate grasse, conversazioni telefoniche.
La cosa migliore sarebbe prendere armi e bagagli e spostarsi da un’altra parte, ma ormai mi sono sistemata, sono stanca… e poi sono arrivata prima io, ovvia! Per cercare di limitare il fastidio prendo le cuffie, le collego al telefono e inizio a ascoltare uno dei brani che ho memorizzato. Il primo che mi capita e` la Nona di Beethoven, secondo me uno dei punti più alti della musica di tutti i tempi. Mi dispiace sfruttare un simile capolavoro come tampone per le mie orecchie, come argine nei confronti del dirompente caos che si sta materializzando dietro di me.
Alzo il volume e inizio ad assaporare le prime note, ma a un tratto mi arriva anche un’altra sorgente sonora: i miei compagni di viaggio hanno pure uno stereo!
E così le note del violoncello che introduce la celeberrima melodia dell’Inno alla Gioia si mescola con un ritmo latino, enfatizzato dal tamburellare delle mani sulle cosce e dai cori starnazzanti che si uniscono al cantante nei ritornelli.
Mentre il baritono nelle mie cuffie intona: “O Freunde…”, risponde un paradossale e stonato controcanto “… quiero bailar contigo toda la noche…”
La situazione sta degenerando. Una delle ragazze ha persino la brillante idea di improvvisare, proprio in mezzo del corridoio, alcuni passi di flamenco, sotto lo sguardo stralunato degli altri passeggeri.
Come se non bastasse, zitta zitta, l’aria condizionata intanto ha smesso di funzionare. Me ne accorgo quando vedo il signore accanto a me che si sta sventolando con un foglio e che sta assumendo il preoccupante aspetto di una porchetta in una festa paesana. E mi rendo conto che anche io mi sto surriscaldando.
Per completare il quadro, ecco infine la bimba della famiglia americana irrompere nella scena con un pianto disperato. Ha del talento, la piccola, da grande potrebbe diventare un ottimo soprano drammatico.
Basta, non ne posso più. I miei timpani iniziano a supplicare le mie gambe di portarli via da quel caos e alla fine queste, nonostante la stanchezza, cedono. Mi sposto nella carrozza vicina tenendo le cuffie. Finalmente mi posso gustare l’esplosione del coro nell’Inno alla Gioia, non dico in santa pace, ma per lo meno in condizioni un po’ migliori.
E così mi lascio alle spalle i dieci minuti peggiori della giornata, probabilmente della settimana. Ma per fortuna, da oggi, per qualche giorno, i ruoli cambieranno e la turista sarò io!
Pendolari fashion (o, meglio, fèscion)
Questa mattina la sveglia si è dimenticata di fare il suo lavoro. Poverina, non è colpa sua, sono le batterie che iniziano a reclamare un cambio. Sta di fatto che mi sveglio solo grazie al mio “orologio interno”, che oggi ha funzionato come parziale backup, dieci minuti dopo l’orario previsto. Che saranno mai dieci minuti? Dieci minuti sono un ritardo pazzesco, se confrontati con il tempo totale a mia disposizione. Come nella famosa scena del primo Fantozzi, sono praticamente al limite delle capacità umane. Non sto a descrivere le fasi concitate della rocambolesca preparazione, che ricordano il già citato film. La cosa significativa, oggi, è il risultato. Mi sono vestita pescando a caso dall’armadio: un paio di jeans già messi nei giorni scorsi, una maglia color giallino-smorto, scarpe basse da corsa (oggi ne avrò bisogno), calzini a righe colorate che niente hanno a che vedere con il resto (ma che non si vedono per fortuna, dato che i jeans sono abbastanza lunghi), spolverino blu, sciarpina indiana comprata al mercato. Trucco? Non se ne parla proprio stamani. La cosa più orribile sono i capelli, li ho lavati ieri sera, li ho tirati un po’, ma ero troppo stanca e sono andata a dormire a metà del lavoro. Il risultato di oggi è un informe ammasso di sterpi, che riesco a domare solo raccogliendoli in una coda con un elastico. Così facendo mi accorgo che anche il colore ha bisogno di un ritocco… Insomma, un disastro.
Come se non bastasse, a calpestare ulteriormente la mia autostima, oggi sotto il livello di guardia, ci pensa anche la mia compagna di viaggio. Il destino beffardo ha deciso di assegnare al seggiolino di fronte al mio una bella signora sulla cinquantina, tailleur-munita, borsa di Prada, decolté color tortora con tacco non troppo alto, occhiali da sole giganti alla Grace Kelly, orecchini delicati, giro di perle. Completano il quadro una messa in piega che sfida le leggi di gravità, tipo non-mi-toccate-sono-appena-uscita-dal-coiffeur, un trucco leggero ma impeccabile, unghie perfette, laccate di un bel rosso brillante. Anche lei mi squadra da capo a piedi. Forse è solo una mia impressione, ma mi pare anche un po’ schifata. “Affari suoi” reclama la parte bohémien della mia anima, e mi immergo nella lettura. In realtà mi sento meschina e totalmente inadeguata, vorrei tanto tornare a casa, subito.
Mentre sfoglia annoiata una rivista di moda, le squilla il cellulare. Estrae il telefono dalla borsa e pronuncia un sonoro “Prooontoooo?” con una insospettabile voce da chioccia e uno spiccato accento aretino. Inizia così una lunga conversazione telefonica, che non è possibile non seguire, visto il livello di emissione acustica, anche se il mio libro sarebbe molto più interessante. Dalla metà del dialogo che sento, deduco che sta parlando con un’amica, o meglio, stanno spettegolando cattiverie su una loro conoscente comune, che viene etichettata con una serie di aggettivi poco lusinghieri, di cui il più carino è “insignificante”. La conversazione procede, continua la narrazione di quanto perfida, infida, traditrice, sia la persona in questione. Nella mia testa le parole piano piano si mescolano con il rumore di fondo, diventano un tutt’uno omogeneo che mi consente di riprendere la lettura. Di tanto in tanto il volume del dialogo però aumenta e cattura di nuovo la mia attenzione (nella fretta di stamani ho dimenticato le cuffie, maledizione!). Gli argomenti evolvono, dallo spettegolare si passa alle attività quotidiane. A un certo punto, le mie orecchie captano questo stralcio di conversazione: “… poi oggi pomeriggio passo dalla mia amica all’erboristeria, per farmi dare qualcosa per dimagrire, che da quando so’ in menopausa, mangio come ‘na maiala, ho un gran caldo e so’ sempre tutta suda come ‘na cavalla!” Proprio così, giuro, testuali parole! Il ragazzo nel seggiolino dietro al suo si volta, incredulo. Sgrano gli occhi, faccio uno sforzo sovrumano per non scoppiare a ridere, a un tratto la mise della signora mi sembra meno impeccabile di prima e la mia autostima si riprende un po’, finalmente.