Pendolariadi

Tempo fa ho ritrovato un mio diario delle superiori, una vecchia Smemoranda, tutta sformata per la quantità di ritagli che ci avevo appiccicato,  e ho iniziato a sfogliarla. Tra le varie cose che si scrivono a quell’età, c’era, racchiusa in una cornicetta tutta fiorita, con grafia curata, la frase:

Ogni mattina, in Africa, una gazzella si sveglia, sa che deve correre più in fretta del leone o verrà uccisa. Ogni mattina, in Africa, un leone si sveglia, sa che deve correre più in fretta della gazzella, o morirà di fame. Quando il sole sorge, non importa se sei un leone o una gazzella: L’importante è che cominci a correre…

Sono passati ormai venti anni, purtroppo non scrivo più sul diario della Smemoranda, anche se la rimpiango un po’ e più volte sono stata tentata di ricomprarmene una. Adesso scrivo su questo blog. Quindi, ecco una rielaborazione della frase precedente che rispecchia di più la mia realtà quotidiana attuale:

“Ogni mattina, nella stazione, un pendolare si sveglia, sa che deve correre più in fretta del treno, o lo perderà. Ogni mattina, nella stazione, un treno si sveglia, sa che deve correre, o i pendolari in orario si arrabbieranno. Quando il sole sorge, non importa se sei un pendolare o un treno. L’importante è che cominci a correre”.

In questi mesi il mio percorso pendolare include, due giorni alla settimana, un cambio nella stazione di Firenze Santa Maria Novella, tra un treno della linea Empoli-Pisa e uno Pontassieve-Arezzo. Il viaggio di andata, la mattina, di solito, non presenta particolari problemi, dato che ho un margine di un quarto d’ora tra uno e l’altro, che talvolta mi consente pure di prendere un caffè. La situazione si complica al ritorno, poiché il margine a quell’ora si riduce a sette minuti e il treno utile successivo parte dopo venticinque minuti. In questi sette minuti, che solitamente sono molto meno a causa dei fisiologici ritardi e della coda per scendere, devo in pratica attraversare tutta la stazione: i treni in arrivo da Arezzo di solito sono al binario sedici, mentre quelli per Empoli-Pisa partono dai binari uno o due.

Appena scesa, scatta quindi la corsa contro il tempo, una corsa disordinata e sconnessa, con sciarpe che svolazzano e borse che sbattono qua e là.  Una corsa a ostacoli che, contrariamente a quelli della disciplina sportiva, non sono fissi ed equispaziati, nel  mio caso sono mobili e imprevedibili: il gruppo dei corpulenti turisti tedeschi con i loro zaini e gli inconfondibili sandali con i calzini, inamovibili, di fronte ai binari dieci e undici  in attesa del Frecciarossa, i turisti giapponesi con i trolley scintillanti, che invece si muovono seguendo traiettorie caotiche e frenetiche, l’addetto alle pulizie con la sua macchinetta, che sterza sempre all’ultimo momento obbligandoti a bruschi cambi di traiettoria.

Come nelle gare ciclistiche gli addetti si affiancano ai corridori per dare loro qualcosa da bere, anche a me si affiancano vari personaggi, ma non per darmi un supporto. Mi parlano in varie lingue, ma le loro frasi finiscono puntualmente con “… un euro!”, io rispondo, in modo automatico, “No mi spiace non ho niente, devo scappare, scusa!” e continuo la mia corsa.

Non sono la sola a intraprendere questa sfida, durante il tragitto mi accorgo che ci sono altri che corrono nella mia stessa direzione, per raggiungere in tempo lo stesso treno. Allora, alla fretta, si aggiunge la competizione: l’obiettivo di prendere il treno diventa subordinato a quello di raggiungere e superare il pendolare corridore che ho davanti, appena lo faccio, anche lui accelera per riprendermi.  Leggevo giorni fa un articolo su National Geographic sull’argomento, intitolato, per l’appunto, “Siamo nati per correre”. Secondo gli autori dell’articolo, “la sensazione di euforia che regala la corsa è stata la spinta evolutiva che ci ha reso cacciatori più efficienti e, che ci piaccia o no, degli atleti.”

Arrivata al binario, a volte purtroppo mi accorgo che il treno si sta già muovendo, allora assaporo l’amaro della sconfitta. Altre volte le porte sono già chiuse, ma vedo, in fondo, la sagoma scura del capotreno che mi fa cenno di sbrigarmi. Allora, con l’energia rimasta, mi preparo allo scatto finale. Quando mi immagino questa scena da fuori, la vedo al rallentatore, con la colonna sonora di “Momenti di Gloria”, mentre con grandi falcate percorro tutta la lunghezza del treno, il capotreno avvicina il fischietto alla bocca e solleva il braccio con il fazzoletto verde. La realtà è un po’ diversa, il mio stile di corsa non è proprio elegante come quello di una gazzella, in questi momenti maledico la mia pigrizia e l’avversione nei confronti dell’attività fisica. L’ultima scintilla di energia mi serve per salire sul vagone, anche oggi ce l’ho fatta!

1 thoughts on “Pendolariadi

  1. bè, cara gazzella, spero che almeno tu non ti faccia mancare il tacco dal quale precipitare durante la corsa. Hai dato un’immagine vivida della tua attività agonistica e credo che la competizione tra pendolari possa essere la giusta leva sulla quale giocare per vincere la corsa… purtroppo credo che i capotreno abbiano delle spie nei sottopassaggi che gli segnalano, precisi al secondo, quando partire: 5 secondi prima che tu giunga a meta.

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